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70 anni dalla Repubblica, 70 anni dal voto alle donne

Venerdì 15 aprile presso la Sala Santa Maria delle Grazie a Mestre si è svolto il convegno “1946-2016. 70 anni dalla Repubblica, 70 anni dal voto alle donne”, cui ha preso parte Flavia Piccoli Nardelli. Di seguito si riporta il testo del suo intervento:

Il 2 giugno del 1946 è la data in cui le donne italiane furono chiamate per la prima volta, se non si considera il voto amministrativo di marzo del’46, a esprimere, attraverso lo strumento democratico del voto, una loro idea di Stato.

Una data che per le donne italiane ha rappresentato uno spartiacque: da quel momento in poi si parlerà del prima e del dopo il 2 giugno del ’46, quando si parla della condizione della donna nel Paese.

Per chi è venuto dopo, penso a tutte le ragazze di oggi e alle giovani donne, che spesso non hanno coscienza di ciò che è stato, alcune conquiste appaiono diritti acquisiti e alcune limitazioni inconcepibili fardelli, ma è alla luce della storia che bisogna valutare il percorso che ci ha portato alla odierna posizione della donna nella società italiana.

Percorso che sicuramente non si è concluso perché ancora sono lontani alcuni obbiettivi che già le Costituenti si erano posti.

Nei documenti dell’epoca il volto simbolo di quella giornata del 2 giugno del’46 è proprio quello delle donne; le prime elezioni politiche dopo la Liberazione sono associate ai volti femminili.

Tutti i giornali del periodo li riportano: le giovani madri in coda con i bimbi, le donne più anziane, le ragazze vestite a festa, tutte animate da questa possibilità di partecipare alla vita civile del Paese.

Già la campagna elettorale si era presentata con alcune novità, era stata caratterizzata dall’inconfondibile capacità femminile di portare avanti insieme e bene più situazioni. Le riunioni femminili, così come ci sono state raccontate dalle protagoniste, erano spesso condotte con i figli, quei bambini che, anche nelle campagne elettorali hanno un loro posto. Si era così attuato quanto si cercherà di confermare con gli articoli della Costituzione, ovvero che la maternità è una occasione, non un ostacolo, è un’opportunità per una donna ma può essere intelligentemente gestita senza rinunciare ad altri compiti che può assumere su di sé.

Ed è poi quanto sperimentano ogni giorno, anche oggi, le italiane alle prese con la famiglia e il lavoro, divise, spesso, tra la giusta ambizione di affermarsi professionalmente e la volontà di seguire i figli nel percorso della crescita. Oggi non c’è italiana che non sappia che queste aspirazioni non si escludono l’una con l’altra ma che dovrà gestirle con grande fatica: perché è vero che i principi sono stati affermati e scritti nella nostra Costituzione, grazie alle donne della Costituente, ma ancora nel Paese si fa fatica ad attuarli.

Mi ha fatto sorridere in particolare il ricordo di Teresa Noce quando racconta di quella campagna elettorale condotta con suo figlio Luigi Libero sempre in braccio. Racconta la Noce di come un pomeriggio avesse provato a chiedere al marito, che era Luigi Longo, di tenere il piccolo, ma come a quella domanda non ci fosse stata alcuna risposta. E trovo attuale anche il racconto di Nadia Gallico Spano che ricorda la folta presenza di bambini al grande comizio conclusivo dedicato alle donne alla vigilia del voto:

“Organizzammo la chiusura della campagna con una grande festa dedicata alla donna nell’Ippodromo del Palatino, che poteva contenere più di novantamila persone ed era pieno…Io avevo portato le bambine e durante tutto il comizio, mentre la folla ascoltava attenta e applaudiva, in fondo all’ippodromo un folto gruppo di bambini continuò senza sosta il suo girotondo”.

Le prime donne che hanno partecipato attivamente alla vita parlamentare del Paese avevano saputo dimostrare che era possibile disegnare un nuovo ruolo per la donna nella società.

La guerra le aveva spinte a forza nella vita civile, erano rimaste nelle case ad attendere il ritorno di padri, fratelli , mariti e figli, lavorando tutti i giorni per mandare avanti una quotidianità che sembrava un miraggio.

Molte in prima linea nella stessa Resistenza, staffette o infermiere quando non combattenti esse stesse.

Dunque il diritto al voto e a una maggiore considerazione le donne italiane lo avevano vinto sul campo. Ma determinante fu anche il sostegno dei due grandi partiti di massa: la Democrazia Cristiana di De Gasperi e il Partito Comunista di Togliatti.

Di grande interesse il loro carteggio in proposito.

Diversa la posizione dei partiti laici dove prevaleva la diffidenza e la sfiducia nella capacità delle donne di essere indipendenti rispetto ai mariti, ai preti e ad ogni possibile forma di pressione. I risultati del voto confermano le posizioni dei partiti.

Il 2 giugno del 1946 le donne andarono a votare numerose raggiungendo, in alcuni casi, percentuali maggiori degli uomini.

Il numero delle elette non fu alto: 21 su 226 candidate, la lista con il maggior numero di presenze femminili, quella del PCI, aveva 68 candidate. Ne furono elette 9 di donne, come nella DC, che però ne aveva presentate solo 30: Maria Federici, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi Cingolani, Maria Nicotra e Vittoria Titomanlio.

Due donne furono elette con il PSI e 1 per il Partito dell’Uomo Qualunque.

Queste 21 donne elette in rappresentanza delle cittadine italiane erano profondamente diverse fra loro per età, estrazione sociale, formazione ma ugualmente portarono avanti insieme in Parlamento un disegno unitario.

Ma il messaggio politico di queste prime costituenti è lineare.

Angela Maria Cingolani Guidi nel 1944 al IV Congresso dell’Italia liberata presentò una mozione sull’importanza della presenza femminile nel partito: “In merito alla posizione e ai compiti della donna nella vita politica e in particolare nelle file della Democrazia Cristiana, fondamento di questa partecipazione è la missione familiare della donna”.

Le cattoliche vogliono la modernizzazione del Paese e vedono nella figura della donna la chiave di volta per ottenerla ma la loro idea di donna moderna si differenzia da quella coltivata in altri ambienti. È un’idea meno estrema ma per certi versi più attuale di una persona capace di tenere insieme i molti aspetti della vita.

Le democristiane della prima generazione repubblicana perseguirono il principio della parità dei diritti tra uomini e donne che fu difeso senza incertezze nella Costituzione.

Molti gli articoli su cui si lavorò: l’art 3; l’art. 29; l’art. 30; art. 37; l’art. 48 e l’art. 51.

Ricordiamo dunque il lavoro delle Costituenti Maria Federici e Angela Gottelli in commissione dei 75, per creare, pur fra dissensi importanti, una convergenza di tutte le costituenti sui passaggi chiave delle questioni aperte, come avvenne per l’ingresso in magistratura delle donne.

Ad opera delle Costituenti nasce una Costituzione in forte anticipo sui tempi e sulla cultura del Paese, capace di apparire addirittura utopica ma che fu la base solida delle campagne per i diritti che attraversarono gli anni Cinquanta e Sessanta.

Ci sono altre posizioni della Federici e della Gottelli da ricordare per la loro modernità, come le forme di sostentamento alla famiglia e alla maternità inizialmente esteso in “egual misura” alle unioni irregolari e il sostegno forte al principio della parità dei coniugi nel matrimonio.

Il portato delle democristiane della prima generazione nella creazione del nuovo stato democratico è molto evidente anche nella figura della De Unterrichter.

Maria De Unterrichter Jervolino eletta nella lista della Democrazia Cristiana, è portatrice di una compiuta visione nazionale del movimento femminile.

La sua cultura e la sua esperienza come presidente delle Universitarie la spingevano a valorizzare le organizzazioni cattoliche di massa in vista di un organico inserimento della componente femminile nella DC, ma soprattutto a sollecitarne costantemente un’assunzione di responsabilità politica matura.

Il Movimento femminile era da lei concepito come punta avanzata che faceva perno sul lavoro di formazione politica delle attiviste democristiane.

Espressione di questo nuovo corso dato dalla De Unterrichter è anche la pubblicazione del nuovo organo mensile del Movimento Donne d’Italia che apparve in edizione autonoma il 20 marzo 1950. Il fine era “di preparare, con le conoscenze della complessa realtà sociale ed economica, il terreno sul quale la donna italiana potesse coscientemente collaborare a dare al paese una legislazione che la inserisse in pieno nella vita della nazione.”

Non possiamo, poi, non ricordare il suo impegno, sin dagli anni Quaranta, nella battaglia per l’abolizione della regolamentazione della prostituzione che lei concepiva come adempimento degli articoli 2 e 3 della Costituzione.

È la stessa De Unterrichter a dirci che era felice di “trovare comuni denominatori morali” con la senatrice socialista Merlin e di averne condiviso le linee programmatiche. In una relazione del 1949 illustrava ad Amsterdam l’impegno delle donne del parlamento italiano per l’abolizione delle case chiuse e per la formazione di una corrente di opinione favorevole all’applicazione della futura legge e per procurare a tutte le donne un lavoro onesto e dignitoso.

Quando nel 1958 fu approvata la legge Merlin non si spensero le polemiche nel Paese e la De Unterrichter era cosciente che molto c’era da fare per sensibilizzare le coscienze.

I suoi scritti ci riportano numerose riflessioni sulla condizione femminile in Italia, sul fatto che era stata oggetto, per lungo tempo, di pregiudizi, legati ad una presunta innata superiorità maschile o a credenze popolari. Occorreva correggere un costume sociale e morale, cambiare le testa delle persone.

Ma anche la seconda generazione delle politiche democristiane si muove secondo quei valori.

La stessa determinazione nel portare avanti le battaglie in favore del miglioramento della condizione femminile la ritroviamo in Maria Eletta Martini, di differente generazione rispetto alla De Unterrichter e alle altre Costituenti della democrazia cristiana.

Del suo impegno va ricordata la legge 151 del 1975 sul diritto di famiglia che trova le sue radici nel lavoro delle Costituenti, ponendo definitivamente fine alla diseguaglianza dei ruoli giuridico- patrimoniali tra uomo e donna nella società coniugale.

Un iter lungo, difficile dal 1959 al 1975 ma seguito, come dice la Martini, tutto in prima persona. Collaborando anche con personalità come quella di Nilde Iotti, che seppe comprendere a fondo la portata di questa legge, sostenendola nella consapevole necessità di affrontare il delicatissimo problema dei rapporti interni di famiglia.

A lei si deve, poi in collaborazione con Tina Anselmi, allora ministro della Sanità, la legge che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale basato sul principio di automatismo delle prestazioni che rispondeva con maggiore equità alle necessità sanitarie soprattutto delle fasce più deboli dal punto di vista lavorativo: donne, giovani e disoccupati.

La sua fu un idea fortemente laica della DC.

Di poco più giovane della Martini, Tina Anselmi è un altra delle donne democristiane che ha lavorato a lungo per l’affermazione dei diritti femminili. L’Anselmi, come voi tutti sapete, è stata la prima donna ministro del Paese nel 1976, in un ministero chiave per il progresso femminile quello del Lavoro e della Previdenza Sociale.

Come la Martini anche l’Anselmi è stata una giovanissima protagonista della Resistenza.

Sua la riflessione sulla partecipazione cattolica alla resistenza, quando ricordava che la donna cattolica è stata chiamata al dovere di una presenza, che era anche un diritto: bisognava esserci per accelerare la fine della guerra. Dice l’Anselmi “È  stato un impegno per la libertà. Una presenza di pace anche se ha fatto azioni di guerra. La fede ha dato la forza di fare delle scelte anche dirompenti, rischiose, trasgressive … Lottare per la libertà ci ha dato la spinta per impegnarci in politica”.

A lei si deve la legge n. 903 del 1977 sulla “Parità di trattamento di uomini e donne in materia di lavoro”, che vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro in qualsivoglia ramo o attività professionale.

Bella la motivazione con cui fu insignita del premio Art.3 nel 2008:“riconoscimento all’attività svolta durante tutta una vita spesa – anche a rischio della medesima – al servizio della libertà e dei valori di uguaglianza sanciti proprio dall’articolo 3 della nostra Carta Costituzionale. Questo ricordando in particolare l’attività dell’onorevole Anselmi come giovanissima staffetta partigiana, di sindacalista, di madre della legge sulle pari opportunità, di ministro, di principale autore della riforma che introdusse il Servizio sanitario nazionale e di guida esemplare della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia P2”.

Oggi sono in molti a sostenere che in tanti campi l’apporto femminile è sostanziale proprio per la sua diversità rispetto a quello maschile e anche in questo mi sembra che si debba riconoscere il fondamentale lavoro fatto da quelle prime costituenti che sempre hanno creduto di dover portare avanti la donna nella sua complessità.

Vorrei concludere il mio intervento ricordando un’immagine molto attuale e che mi ha colpito molto e che richiama la prima immagine da cui sono partita. Questa volta non è un manifesto che condanna la guerra, è una fotografia che fa capire quanto le donne siano insostituibili e importanti ieri, oggi, domani.

Ritrae tre donne anziane sedute su una panchina nell’isola di Lesbo mentre una di loro culla un bimbo siriano e gli dà il biberon. Ed è lei la “persona fisica” scelta per la candidatura del premio Nobel per la Pace.

Mentre l’Europa si divide sulle quote d’ingresso dei migranti e mette in pericolo l’accordo di Schengen, mentre alcuni Stati alzano muri o confiscano i beni ai richiedenti asilo, c’è chi in questi mesi di esodo biblico ha aperto le proprie case per accogliere e salvare i rifugiati: bambini, donne, uomini in fuga dalle guerre e dal terrore. Pescatori, pensionati, insegnanti, casalinghe, che vivono nelle isole greche o volontari arrivati per aiutare chi fugge in cerca di sopravvivenza.

La foto delle anziane donne di Lesbo che tengono in braccio i bambini impauriti per aiutarli a dormire sono un potente messaggio che supera le nazioni e la politica: compassione e coraggio, empatia e sacrificio, ma soprattutto la profonda umanità delle donne, di tutte le donne.