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Disegno di legge sul consumo del suolo: le osservazioni della Commissione Cultura

La riduzione del consumo del suolo, il riuso del medesimo e la rigenerazione urbana. Sono questi gli obiettivi di un importante disegno di legge. Che contiene un’epocale cambio di punto di vista e inversione di tendenza: gli strumenti urbanistici diventeranno la guida per la riduzione del consumo del suolo (si punta all’azzeramento entro il 2050) e non quindi, come ora, intesi quali mezzi per regolare l’attività edilizia e infrastrutturale. La vera rivoluzione copernicana consiste in tre concetti fondamentali: riuso, rigenerazione e edilizia di qualità. Con il riuso, si intende che si debba sempre tentare ogni sforzo per modificare in meglio l’esistente; con la rigenerazione si punta a far passare il concetto che l’intervento urbanistico e edilizio debba essere considerato sempre in una dimensione sociale e produttiva.

Il disegno di legge mira a un’elevazione del livello urbano e mira a ottenere una migliore compatibilità tra spazi privati e pubblici (specie agli articoli 4 e 5, che prescrivono, per esempio, interventi di efficienza energetica, accessibilità ciclabile e interventi di architettonici di pregio, attraverso concorso).

Tuttavia, durante il vaglio del disegno di legge, lo sorso 12 gennaio in Commissione Cultura, sono state individuate alcune criticità in particolare rispetto agli articoli 5 e 6 del disegno di legge.

L’art. 5 concerne gli interventi di rigenerazione delle aree urbanizzate degradate, per le quali sono previste operazioni di recupero attraverso progetti organici, relativi a edifici e spazi pubblici e privati, basati sul riuso del suolo, sulla demolizione e ricostruzione e sulla sostituzione di edifici esistenti; creazione di aree verdi, aree pedonali, piste ciclabili e inserimento di nuove funzioni. Precisa inoltre che queste operazioni hanno lo scopo di migliorare la qualità della vita dei residenti, attraverso l’innalzamento della qualità degli spazi urbani anche utilizzando nuove tecnologie che garantiscano elevati standard, minimi impatti ambientali e risparmi energetici.

All’articolo 5 si prevedono anche incentivi al riuso (dalle predette disposizioni, sono esclusi i centri storici e le aree e immobili di cui agli articoli 10 e 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, che reca il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio).

L’articolo 6 introduce una vera e propria novità nella nomenclatura urbanistica, ossia quella dei “Compendi agricoli neorurali”, che comportano una nuova “destinazione urbanistica”. Precisa che i presupposti di tale nuova destinazione sono il recupero edilizio – anche con la demolizione e ricostruzione – e il recupero del patrimonio agricolo, purché compatibile con il paesaggio a dominanza rurale e con la presenza di adeguata accessibilità. Sono esclusi dalla demolizione e ricostruzione gli edifici di interesse storico-culturale.

Il disegno di legge prevede che gli interventi edilizi realizzati non comportino maggiore consumo di suolo e che le Regioni e i Comuni provvedano a definire le percentuali ricostruibili. Esso stabilisce inoltre che i nuovi fabbricati siano da realizzarsi con tipologie, morfologie e scelte materiche e architettoniche tali da consentire “un inserimento paesaggistico adeguato e migliorativo rispetto al contesto dell’intervento, secondo i criteri stabiliti dall’ente territoriale competente nel rispetto della normativa e della pianificazione urbanistica, territoriale, paesaggistica e paesistica vigente, del valore storico-culturale o testimoniale dei manufatti, ferme restando le competenze di tutela del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo”.

Rileva inoltre che, all’interno del compendio agricolo neorurale, possono prevedersi le seguenti destinazioni d’uso: attività amministrative, servizi ludico-ricreativi, servizi turistico-ricettivi, servizi dedicati all’istruzione, attività di agricoltura sociale, servizi medici e di cura, servizi sociali, attività di vendita di prodotti agricoli o ambientali locali, artigianato artistico.

Sono escluse le attività residenziali e produttive di tipo industriale o artigianale.

Dall’analisi del disegno di legge è emerso, inoltre, che l’articolo 6, nell’istituire la nozione di compendio agricolo neo-rurale, incorre in un’evidente aporia metodologica, giacché il compendio non è un elemento che la legge si incarica di definire in via preliminare, ma è qualificato come oggetto dell’attività e dell’intervento di recupero che la legge sottopone ad autorizzazione.

In altri termini, l’attività edilizia che si vorrebbe autorizzare è, per definizione, quella autorizzata: dunque una chiara tautologia.

Si aggiunge che l’articolo 6 consentirebbe la trasformazione del cosiddetto compendio neo-rurale verso destinazioni d’uso incompatibili con l’ambiente rurale, per l’evidente aggravio di carico urbanistico (si pensi all’attività medica e di cura o a quella scolastica).

Quindi ha destato preoccupazione per l’impatto sul panorama agricolo già fortemente compromesso e sulla tutela dell’architettura rurale, che rappresenta l’elemento saliente del paesaggio italiano.

Di poi, il disegno di legge fa più volte riferimento alla legislazione paesaggistica  e però solo tre Regioni hanno un Piano paesaggistico approvato, le altre sono ancora o alla fase di adozione se non a quella di redazione.

Si è rilevato inoltre che non esiste una catalogazione della architettura rurale, per la maggior parte delle Regioni e che pochissimi sono gli edifici rurali vincolati ai sensi dell’articolo 10 del Codice. Tutto dunque resterebbe nelle mani dell’ente territoriale competente per quelle parti di territorio che non siano sottoposte a vincoli paesaggistici, anche con riferimento alla ricostruzione, senza dimenticare che, anche in presenza di vincoli paesaggistici, con la recente legge di riforma sulla Pubblica Amministrazione si è stabilito il principio del silenzio-assenso.

Ricordando che la finalità del disegno di legge è “in coerenza con gli articoli 9, 44, e 117 della Costituzione e con gli articoli 11 e 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, [quella di dettare] principi fondamentali per la valorizzazione e la tutela del suolo, con particolare riguardo alle superfici agricole e alle aree sottoposte a tutela paesaggistica, al fine di promuovere e tutelare l’attività agricola, il paesaggio e l’ambiente, nonché di contenere il consumo del suolo quale bene comune e risorsa non rinnovabile che esplica funzioni e produce servizi ecosistemici, anche in funzione della prevenzione e della mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico e delle strategie di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici”.

Tenendo in vivo conto il giudizio dell’Osservatorio per la Qualità del Paesaggio si è dato un parere positivo al disegno di legge, condizionato però all’accettazione di tutte le modifiche apportate al testo da parte dell’Osservatorio.

Queste nella sostanza si concentrano sugli articoli 5 e 6 stabilendo per l’articolo 5 un maggior coinvolgimento del Mibact nell’adozione per conto del Governo dei decreti legislativi per semplificare le procedure di rigenerazione e recupero delle aree e che debbano essere emanati nel rispetto delle norme sulla difesa del suolo e sulla riduzione del rischio idrogeologico, e debbano riguardare anche aree urbanizzate degradate dal punto di vista paesaggistico; per quel che riguarda l’articolo 6 la modifica più importante richiesta dall’Osservatorio, e condivisa dalla Commissione Cultura, è quella che sottopone gli interventi previsti per i compendi agricoli neorurali all’esistenza di un Piano Paesaggistico approvato.

Nella convinzione che il Piano quale strumento in primo luogo di conoscenza dell’intero territorio e poi di pianificazione paesaggistica puntuale diretta all’intero paesaggio, sia l’unico strumento valido di modifica. Perché certamente il paesaggio è un opera aperta e dunque votata al cambiamento ma ogni attività sul paesaggio, e tanto più su quello agricolo, deve essere studiata e approfondita in una concezione e visione unitaria che solo un Piano può dare.