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La pedagogia della Costituzione

Flavia Piccoli Nardelli è intervenuta all’incontro di studio “La pedagogia della Costituzione. Costruire una cultura costituzionale, policies, linguaggi, narrazione“, organizzato dall’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica nel quadro delle iniziative seminariali programmate per i 75 anni dalla entrata in vigore della nostra Carta costituzionale, al fine di avvicinare i giovani alla storia ed ai processi che hanno accompagnato e favorito la nascita della Repubblica e l’affermarsi di una cultura repubblicana, ha inteso richiamare l’attenzione verso le policies di educazione alla cittadinanza, ma anche verso le iniziative, i linguaggi, le narrazioni, adottati da soggetti pubblici e privati al fine di promuovere, attraverso la conoscenza della Costituzione, una rigorosa e solida cultura costituzionale, ispirata ai principi e valori trasmessi dai Costituenti.

All’incontro, svoltosi il 13 dicembre 2023 a Palazzo Sant’Andrea di Roma, sono intervenuti: Marina Giannetto, Sovrintendente dell’Archivio storico della Presidenza della Repubblica; Francesco Bonini, Professore ordinario di Storia delle istituzioni politiche, Rettore della Università Lumsa;  Andrea De Pasquale, Direttore generale Educazione, ricerca e istituti culturali (MiC);  Emilio Isgrò, artista concettuale, pittore e scrittore; Flavia Nardelli, Presidente dell’AICI-Associazione Istituzioni di Cultura Italiane;  Silvana Sciarra, Presidente emerito della Corte costituzionale, Accademico dei Lincei;  Diana Toccafondi, Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Prato.

 

Pubblichiamo di seguito la versione integrale dell’intervento di Flavia Piccoli Nardelli.

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“LA PEDAGOGIA DELLA COSTITUZIONE”
Costruire una cultura costituzionale. Policies, linguaggi, narrazioni
Archivio Storico della Presidenza della Repubblica, 13/12/‘23, ore 15.00

di Flavia Piccoli Nardelli

Buongiorno a tutti, ringrazio per l’invito a partecipare al nostro incontro di oggi, come sempre occasione prestigiosa e impegnativa al contempo.

Saluto Marina Giannetto, cui va il merito di aver organizzato questo nostro pomeriggio, e tutte le personalità oggi intervenute.

Parlare della Costituzione a 75 anni dalla sua entrata in vigore è giusto ed è importante.

Ieri alla Camera due relazioni, una di Enzo Cheli ed una di Cesare Mirabelli, ne hanno fatto argomento di riflessione davanti ad una platea di ex parlamentari e di ragazzi. E l’ho trovato particolarmente importante quando a parlarne sono intervenuti gli ex presidenti delle Assemblee parlamentari: Bertinotti, Casini, Fini, Scognamiglio, i loro interventi hanno dato il senso della vitalità del testo, della complessità del confronto.

Siamo convinti che è una Costituzione, come ha detto Cheli, che ha dato buona prova di sé, ma siamo tutti consapevoli che inverarne, nei nostri comportamenti, i valori e gli insegnamenti è anche un dovere quotidiano.

Prima ancora che una fonte del diritto e un patto politico tra gli attori istituzionali del tempo – vale a dire i partiti che uscivano dalla clandestinità del fascismo e dell’occupazione tedesca del suolo italiano – la Costituzione è un progetto di vita in comune di una collettività ritrovata ed è la narrazione di una nuova cittadinanza.

Mentre dal punto di vista giuridico e politico la Costituzione poteva anche restare un documento dall’alto tasso tecnico: De Mita nel 2005 alla Camera parlò di un insieme di formule tutto sommato “brevi e oscure”, ma dal punto di vista del progetto civico e della narrazione civica, il testo costituzionale doveva essere – invece – trasparente, evidente, accessibile: doveva essere un nuovo lessico familiare della Repubblica, se vogliamo prendere a prestito una felice espressione di Natalia Ginzburg.

I costituenti vollero che la successione degli articoli della nuova Carta fosse una storia futura capace di dipanarsi con chiarezza sotto gli occhi del popolo (proprio quel popolo cui veniva solennemente restituita la sovranità con l’art. 1) e che gli parlasse con semplicità. Per questo – è fatto noto – ebbero lo scrupolo di dare il testo finale della Costituzione a un letterato non parlamentare, a Pietro Pancrazi, affinché lo leggesse con occhio “terzo” e desse consigli sullo stile e sul linguaggio adoperato.

È questa una prima dimensione pedagogica della Costituzione a cui fare riferimento, a mio avviso.

Sappiaqmo bene che possiamo parlare di pedagogia della Costituzione e la pedagogia nella Costituzione.

La pedagogia della Costituzione è stata studiata, tra i tanti, da Tullio De Mauro che – lo ricordiamo – ha contato le parole ricorrenti nel testo, ha identificato i principali riferimenti territoriali, economici e sociali presenti. Proprio l’aggettivo “sociale” è uno dei vocaboli che leggiamo più spesso, insieme a “diritto” (o “diritti”) e – nella prima parte – a “lavoro” e a “lavoratori”, a marcare come nel nuovo ordine repubblicano i cittadini sono soggetti di diritti e come quei diritti si esercitano in un contesto collettivo e non individualistico.

Poi, a mio avviso, uno dei tratti che con più evidenza parla agli italiani è costituito dalla successione delle norme che riguardano famiglia, salute e scuola. Con parole secche, quasi lapidarie, la Costituzione ci parla di società naturale, di maternità, d’infanzia e – giova ripetere – di diritto alla salute e di scuola.

Sono parole che tutti possono capire perché appartengono alla quotidianità e alle aspirazioni di tutti.

Ed è in questo passaggio che s’innesta la pedagogia nella Costituzione, cioè l’attenzione che i costituenti (che in questo caso avevano i nomi di Aldo Moro, Concetto Marchesi, Nilde Iotti, Walter Binni fra gli altri) intesero prestare alla crescita dei giovani, cioè di quanti avrebbero nel futuro attuato il loro disegno.

Un primo luogo di pedagogia e di apprendimento è la famiglia: ai genitori è assegnato il compito di mantenere, istruire ed educare i figli. Nel progetto della Costituzione la famiglia è un luogo di armonia e di serenità entro cui i figli hanno il diritto di essere curati e istruiti. La discussione, di grande spessore ideale, che si ebbe in Assemblea costituente tra Moro e Marchesi su questo punto è molto rivelatrice.

Il corpo intermedio che – tra individuo e Stato – doveva farsi carico per primo dell’educazione dei ragazzi era, per Moro, l’istituto familiare, portatore di affidabilità tradizionale e, quindi, di stabilità e di collaudato nesso con la Chiesa; per Marchesi, viceversa, il ruolo principale doveva essere svolto dalla scuola pubblica, cioè l’istanza che poteva far fronte alle carenze, storicamente sperimentate, della realtà sociale e familiare italiana (ricordiamo in proposito che l’analfabetismo era molto alto, specie al Meridione).

Ne venne – ed è questa la seconda sede pedagogica – la scuola aperta a tutti e l’obbligo scolastico per almeno 8 anni (quest’ultimo sarà davvero attuato solo nel 1962 con la legge sulla scuola media unica, ispirata da Ernesto Codignola). È noto poi che precisamente qui s’inserisce una delle frasi più dense e riuscite di tutta la Costituzione: i capaci e i meritevoli – anche se privi di mezzi – hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

In questo comma s’incrociano mirabilmente l’afflato ugualitario dell’art. 3 e la sapienza pedagogica dello stimolo a migliorarsi; l’assegnazione di un vero e proprio diritto allo studio e la saldatura con le ulteriori norme della Costituzione che parlano di libertà di scienza e d’insegnamento, di cultura e di università.

È una riflessione che deve continuare, che non si può dire risolta e che verrà portata avanti dalle politiche culturali degli istituti e per questo concludo ringraziando ancora l’Archivio della Presidenza della Repubblica per averla proposta alla nostra attenzione.