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L’Italia generativa. Logiche e pratiche del Paese che genera valore

Pubblichiamo l’intervento di Flavia Piccoli Nardelli tenuto lo scorso 21 giugno dal titolo “Cittadinanza contributiva e politiche generative” al convegno “L’Italia generativa. Logiche e pratiche del Paese che genera valore” e che si  è svolto all’Istituto Luigi Sturzo di Roma.

“Devo rivendicare per l’istituto Sturzo la capacità di cogliere negli anni passati alcuni dei grandi temi su cui oggi siamo arrivati a misurarci costretti dalle cose: dai primi lavori sul Niger a proposito di migrazioni, partendo dall’ipotesi di disciplinare i flussi là dove nascono o là dove vengono incanalati, fino al progetto sulla generatività. 

La generatività nel corso di questi anni non solo non ha perso interesse ma si è rivelata validissima chiave di interpretazione e di proposta in epoca di crisi e di smarrimento personale e generale.

  • Il welfare tradizionale, nelle forme e nei modelli che il nostro Paese ha conosciuto e ha sperimentato fino ad oggi, non è più sufficiente. O meglio non è adeguato alle nuove esigenze della società. Tra i bisogni della collettività, a iniziare dalle categorie sociali più deboli, e gli strumenti che oggi operano, c’è una distanza evidente, che occorre colmare.
  • Il superamento del welfare tradizionale, fondato sulla funzione di raccolta e di redistribuzione delle risorse, è a favore di un modello di welfare incentrato sull’investimento nelle risorse attraverso la loro rigenerazione, la loro messa a rendimento e la responsabilizzazione delle persone coinvolte.
  • Perché il welfare non può e non deve essere puro assistenzialismo, ma deve puntare a porre il soggetto beneficiario in un’ottica attiva e non passiva; non più semplice fruitore di un servizio,  ma generatore, a sua volta, di nuovo welfare.
  • Questa riflessione ha portato alla proposta di legge, a firma Iori e Lenzi, dal titolo “Welfare generativo e azioni a corrispettivo sociale”, depositata alla Camera dei deputati, che fra molte altre meglio le rappresenta. Si tratta di una proposta che guarda alla società nel suo insieme e alle singole persone destinatarie di interventi di sostegno sociale, valorizzando l’apporto che esse possono offrire al perseguimento del bene comune. Gli attori istituzionali (Stato, Regioni e Province autonome, autonomie locali), ognuno per le proprie competenze e funzioni, sono i primi responsabili dell’attuazione della legge, in un sistema di collaborazione aperto a tutti gli attori del territorio. La leva con la quale dare attuazione a questa prospettiva sono le “azioni a corrispettivo sociale”, ossia le attività che coinvolgono i percettori di forme di sostegno al reddito, che vengono proposte a livello locale da enti promotori pubblici e privati, nell’ambito di progetti valutati e monitorati dalle istituzioni stesse.
  • La proposta di legge vuole ipotizzare una nuova integrazione tra la dimensione personalista e quella solidarista prevista nella nostra Carta costituzionale, propria della garanzia dei diritti sociali e del raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale.
  • Limitare le diseguaglianze esistenti e perseguire la pari dignità sociale sono obiettivi che non possono essere perseguiti soltanto sul versante dei diritti, ma richiedono di considerare insieme anche il piano dei doveri o, per meglio dire, della solidarietà.

In questo solco, e non solo, si inserisce l’Italia generativa. Le logiche e le pratiche di un Paese che genera valore. C’è ancora molto da fare sia sul welfare sia sulle sue possibili declinazioni.

L’approvazione mercoledì scorso, 15 giugno, della nuova legge quadro sul terzo settore, la 106 del 2016, ne è la dimostrazione. Sappiamo bene che nel dare attuazione al provvedimento, attraverso la necessaria decretazione, si chiariranno le effettive possibilità di questa legge di rappresentare una reale innovazione per un comparto che conta 300mila organizzazioni non profit. Come sappiamo la legge delega ridefinisce il terzo settore. E per terzo settore, la legge intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che, in attuazione del principio di sussidiarietà, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontarie e gratuite o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi.

Ma già ora possiamo dire che se la generatività è un modo di pensare e di dare significato all’esistenza, che si traduce in un’azione creativa e di valorizzazione, possono dirsi generative tutte quelle realtà capaci di mobilitare, connettere e orientare energie e risorse di valore – economico, sociale, culturale, artistico, relazionale. Di quello culturale vorrei dire qualcosa di più.

L’Italia dispone di un patrimonio ineguagliabile in termini storici, artistici e culturali che, se adeguatamente valorizzato, può costituire un motore di sviluppo per intere città e territori. Purtroppo non sempre prevale questa logica. Spesso, beni di incomparabile bellezza e pregio sono abbandonati all’usura del tempo oppure, nella migliore delle ipotesi, finiscono per costituire una voce di costo che, in epoca di crisi, si fatica sempre più a giustificare.

La valorizzazione dei beni storici, artistici e culturali non può essere ridotta ad una pura questione gestionale o organizzativa. È un’azione culturale essa stessa, a cui occorre educare e rieducarsi, in un percorso di progressiva corresponsabilizzazione personale e collettiva nei confronti di una eredità che non ha eguali nel mondo e attorno alla quale è possibile ricostruire nuove trame identitarie e nuovi percorsi di sviluppo socio-economico.

Per questo, per quanto riguarda il nostro patrimonio culturale bisogna iniziare a pensare ad un modello di valorizzazione che utilizzi anche i nuovi strumenti legati alla rete come ad esempio il crowdfunding o le società benefit.

Dietro la spinta della diffusione delle tecnologie dell’informazione e dell’affermazione di nuove economie emergenti, dentro una geografia mondiale in continuo e accelerato mutamento è in corso da tempo una decisa riorganizzazione produttiva, che incide sul modello di organizzazione che cambia il modo di vivere il rapporto tra locale e globale.

Bisogna consolidare e diffondere nuovi modelli ibridi di impresa. Il fare, l’associarsi, il partecipare, il condividere si esercitano in modo sempre più diffuso attraverso matrici nuove che ridefiniscono mezzi e fini dell’azione in senso più cooperativo.

In questa prospettiva i nuovi attori ibridi rispondono allestendo community hub dove si affrontano in chiave imprenditoriale le sfide che la società del rischio propone. È fondamentale incrociare piattaforme di sharing economy non solo per essere più sostenibili ma anche per favorire i beneficiari.

Incontrando imprenditori e artigiani in tutta Italia, volontari e amministratori pubblici, spesso parlo con loro di art bonus, società benefit, crowdfunding e di quei sistemi che meglio aiutano la valorizzazione del nostro patrimonio. È importante sperimentare nuove pratiche e ridare vita a valori tradizionali perché ci si accorge che esiste un Paese che vuole scommettere sul futuro.

Si tratta di trovare un nuovo modello di sviluppo post-crisi e ancor prima una nuova antropologia, una nuova possibilità di esistere e dare forma e senso alla vita personale e sociale.

Sono certa che superando questa lunga crisi economica, sociale, culturale, antropologica, ripartirà una crescita diversa, nuovamente attenta alle tante dimensioni dell’umano e del sociale: dallo spirituale al tecnologico, dall’individuale al comunitario.