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Quale scuola?  Le proposte dei Lincei

Pubblichiamo l’intervento dell’onorevole Flavia Piccoli Nardelli al convegno che si è svolto nella giornata di lunedì 4 aprile sul libro  “Quale scuola? Le proposte dei Lincei per l’italiano, la matematica, le scienze” a cura di Francesco Clementi e Luca Serianni (con l’introduzione del prof. Tullio De Mauro):

“Siamo reduci dall’inaugurazione della mostra “I libri che hanno fatto l’Europa” organizzata dall’Accademia dei Lincei insieme al Ministero dei Beni e delle Attività culturali in cui sono presentati 186 manoscritti e stampe, in gran parte della Biblioteca Corsiniana  dell’Accademia dei Lincei e in parte da altre grandi Biblioteche pubbliche romane, oltre che della collezione della Biblioteca Apostolica Vaticana.

E le riflessioni e proposte contenute in questo saggio rappresentano un’altra iniziativa di grande impatto che ha connotato il lavoro dell’Accademia al di fuori del tradizionale ambito di riferimento.

Da anni, infatti, l’Accademia, grazie all’impulso del presidente Maffei prima e Quadrio Curzio ora, si è fatta carico della necessità di sostenere la cultura scientifica nella società italiana. Ha, dunque, studiato una serie di interventi ed iniziative di ampio respiro che possano essere un suggerimento e uno stimolo per le istituzioni scolastiche.

Perché nasce questa iniziativa? Dalle ultime indagini sull’Educazione scientifica in Europa, in particolare, dal Rapporto Euridyce del novembre 2011, risulta che l’Italia -al contrario di altri paesi- fin ora non ha ancora messo in campo una strategia nazionale innovativa per la promozione dell’educazione scientifica. Le principali indagini internazionali TIMSS e soprattutto OCSE PISA dimostrano che gli alunni italiani che entrano nelle scuole superiori non hanno in Matematica e nelle Scienze una conoscenza in linea con la dimensione europea. Siamo consapevoli che la comprensione delle informazioni scientifiche e il loro impatto sulla vita e sui modelli di vita sono essenziali. Ed è, soprattutto a scuola che si realizza il primo fondamentale approccio nei confronti della conoscenza scientifica. E, in questo senso, è fondamentale che gli insegnanti siano messi nelle condizioni di interagire con gli studenti. Per questo è urgente consolidare la qualità del personale docente, elemento determinante per il miglioramento dei risultati e di sviluppare le loro competenze didattiche garantendo la qualità di uno sviluppo professionale per tutto l’arco della loro carriera. Presupposto delle ricerche pubblicate in questo libro è mirare a una conoscenza adeguata e non settoriale della lingua italiana che ne ampli l’uso passivo (ascolto e lettura) e attivo (parlato e scritto), con particolare riferimento alla lingua scritta e alla compenetrazione della sua dimensione colta con i nuovi stili comunicativi imposti dalla rete. Questo è un obiettivo da perseguire anche in vista di un accostamento proficuo alla scienza e alla matematica. Rinnovare e rafforzare il modo di trattare queste tre discipline rappresenta un fondamentale requisito di cittadinanza che andrebbe garantito, come segnalano i curatori, a tutti gli studenti. Lo strumento per realizzare questo ambizioso progetto è l’insegnamento del metodo laboratoriale, un metodo che riproduca anche nell’insegnamento le tappe dell’investigazione scientifica, che stimoli lo studente a porsi domande, a trovare da sé le risposte e a suggerire gli esperimenti per arrivare alla soluzione dei problemi.

In tal senso, vorrei segnalare l’importanza della scelta fatta dall’Accademia dei Lincei che, con questa iniziativa, ha deciso di estendere il campo dei suoi progetti innovativi anche all’istruzione pubblica ampliando i suoi ambiti di intervento.

Di particolare interesse è naturalmente la brillante introduzione di Tullio De Mauro. A suo avviso le fratture del complessivo percorso educativo e quelle che chiama “le persistenti canalizzazioni” della secondaria superiore non hanno facilitato la progettazione di organiche linee di sviluppo o di curricoli “verticali” delle competenze e delle conoscenze.

Per realizzare questi obiettivi, a suo dire, sarebbe stato necessario intervenire sulla formazione in servizio del personale docente visto che la maggior parte degli insegnanti ha acquisito una formazione soltanto disciplinare durante il corso universitario.

Come è noto, nel luglio dello scorso anno il Parlamento ha approvato la legge 107, sulla “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”. Nel suo saggio introduttivo De Mauro non approfondisce il tema poiché il testo risale al luglio 2014. Oggi mi sembra interessante capire se la legge in questione abbia fornito una prima risposta ai principali elementi di criticità del sistema italiano di istruzione e formazione rilevati da Tullio De Mauro nella sua introduzione, dal programma Education and Training 2020 e, più in generale, dalle ricerche svolte dalle organizzazioni, dai centri di ricerca, dagli istituti che a vario titolo si occupano di istruzione e formazione.

Un primo tema che si presta ad un confronto con gli effetti prodotti dalla Legge 107 riguarda gli insegnanti e, in particolare, la loro formazione che è chiaramente un elemento fondamentale per migliorare alcuni parametri. Come segnala De Mauro “l’enorme maggioranza degli insegnanti di ruolo in servizio ha acquisito una formazione soltanto disciplinare nel corso degli studi universitari e, quando a strappi, con cadenze decennali lo Stato ha concesso concorsi a cattedra, le competenze disciplinari sono state al centro di selezioni e valutazioni. La filosofia seguita è che nell’insegnare conta il che e non il come”

Quindi è evidente che proprio in questo ambito occorra profondere il maggiore impegno. E’ possibile tracciare un rapido confronto tra le nuove norme italiane che riguardano il reclutamento e la valutazione degli insegnanti e quanto previsto dal programma europeo “ET 2020”, nel settore di cooperazione dedicato al “Forte sostegno agli educatori”.

Da questo punto di vista, la legge 13 luglio 2015, n. 107 introduce misure importanti per la professione docente. La Commissione europea ne evidenzia soprattutto tre, che, una volta attuate, consentirebbero al sistema di istruzione e formazione italiano di compiere un deciso salto di qualità: la sostituzione del sistema di carriera degli insegnanti basato solo sull’anzianità di servizio con un sistema basato sul merito; l’assunzione a tempo indeterminato di circa 100.000 insegnanti precari a partire da settembre 2015 e l’accesso alla professione solo mediante concorsi aperti a partire dal 2016.

Inoltre, per la prima volta sono stati investiti dei fondi sulla formazione in servizio dei docenti (40 milioni di euro) che diventa permanente, obbligatoria e strutturale e sul rafforzamento  delle loro competenze digitali. In tal senso, le azioni nazionali saranno rivolte alla formazione di particolari “figure strategiche” legate al Piano nazionale scuola digitale e all’inclusione o “di docenti in grado di accompagnare i colleghi nei processi di ricerca didattica, formazione sul campo, innovazione in aula”.

Più in particolare, l’ultima relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione della Commissione europea (2015) evidenzia come il nostro Paese abbia compiuto dei progressi migliorando il proprio sistema di istruzione: finalmente è in corso l’introduzione di un sistema di valutazione delle scuole, le competenze di base –secondo studi internazionali- sono migliorate, il tasso di abbandono scolastico sta diminuendo e la partecipazione all’educazione della prima infanzia è quasi universale tra i bambini di età compresa tra i 4 e i 6 anni. E, come tutti sappiamo, il quadro di partenza era sconfortante: il rapporto Ocse 2012-2013 evidenziava come il nostro Paese fosse al di sotto della media per le competenze dei giovani, i metodi di sviluppo di queste competenze negli studenti e la promozione del loro utilizzo sul posto di lavoro.

Ciononostante, gli ultimi dati segnalano aumento dei livelli di competenza della popolazione è uno degli obiettivi al centro dell’agenda di Lisbona, confermato successivamente dalla Strategia 2020. Il progetto Pisa (Programme for International Student Assessment), promosso dall’Oecd e realizzato in Italia dall’Invalsi ci dice che l’Italia consegue una performance inferiore alla media Oecd e a quella dei paesi Ue che partecipano all’indagine, ma conferma i segnali di miglioramento, già evidenziati tra il 2006 e il 2009. Ampi sono i divari territoriali, con le regioni del Nord-ovest e del Nord-est avanti, e il Mezzogiorno, pur migliorando dal 2006, ancora sotto la media nazionale, sui cui valori si situa il Centro. Tuttavia, nonostante i progressi segnalati nella relazione ET 2015, il nostro sistema di istruzione risente ancora di annosi problemi: il tasso di abbandono scolastico, per esempio, pur diminuendo rimane nettamente superiore alla media UE. Si riscontrano notevoli differenze regionali nelle competenze di base, il tasso di istruzione terziaria dei giovani è il più basso dell’Unione. L’apprendimento basato sul lavoro non è sufficientemente sviluppato e l’ingresso nel mercato del lavoro è assai difficile per i ragazzi, compresi quelli altamente qualificati ma ancor più grave, la spesa pubblica per l’istruzione in rapporto al PIL è fra le più basse della UE. Ciononostante, la Commissione Europea segnala come con la legge di stabilità 2015 siano stati ridotti i tagli previsti dalle norme precedenti e per finanziare la legge 107 sia stato istituito un fondo specifico nel quale sono stati investiti 4 miliardi di euro.

Il dato su cui siamo davvero indietro, ma è un dato generalizzato a livello mondiale (anche se questa non deve essere un alibi per non intervenire con forza), è quello relativo all’insufficiente competenza degli adulti, lo De Mauro segnala come la regressione rispetto ai livelli di competenza acquisiti nel percorso scolastico colpisca dappertutto gli adulti. Su questo tema il governo è consapevole di dover procedere a scelte profonde e significative.

Un dato indicato da De Mauro, tuttavia, mi colpisce particolarmente: un dato tanto rilevante da meritare un capitolo specifico (Key findings) nel rapporto generale PIAAC. In poche parole per quel che riguarda la capacità di cercare, interpretare e sintetizzare informazioni da testi complessi, un ragazzo giapponese, olandese o australiano in possesso di una istruzione secondaria superiore  ha conoscenze e competenze maggiori di un giovane laureato italiano. Questo certamente chiama in causa il nostro sistema di formazione ma, come evidenziato chiaramente da Tullio De Mauro, ancora di più, dimostra come il nostro sistema abbia rendimenti assai diversi nei diversi livelli di istruzione: ottimo rendimento negli anni della scuola di base, difficoltà nel primo anno dopo la scuola di base, crollo nella scuola secondaria superiore.

In questo senso, credo occorra tornare ad una riflessione del professor De Mauro: e cioè che per tener conto di tutti gli elementi di cui abbiamo parlato fin ora occorre osservare la scuola non solo in sé stessa, ma anche nel suo “più ampio rapporto di dare e avere con la vita sociale”. Per questo sono convinta che la scuola debba tessere un rapporto profondo con la società, con le imprese, con il mondo della cultura e che il Paese debba cominciare ad essere più generoso nei confronti della scuola in un rapporto reciproco di dare ed avere che le restituisca il suo ruolo e la rafforzi nella sua missione: la scuola è il cuore pulsante e la leva su cui investire per il futuro del nostro Paese. Vi è, infatti, una profonda correlazione tra lo sviluppo economico di una nazione e la sua capacità di incidere attraverso la scuola, la ricerca, l’innovazione, la conoscenza, nella vita delle persone.