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Senza comunicazione non c’è valorizzazione perché il valore identitario passa per la cultura

Il testo che segue è l’intervento di Flavia Piccoli Nardelli al convegno Internazionale di Studi. Comunicare il museo oggi : dalle scelte Museologiche al Digitale che si è svolto ieri e oggi alla Facoltà La Sapienza di Roma

Valorizzare il nostro patrimonio culturale è un passaggio obbligato per il Paese e per farlo davvero occorre servirsi di un’adeguata comunicazione agendo sulla base di ricerche specifiche, dedicate ai diversi pubblici di riferimento, alle esperienze innovative esistenti a quanto accade in campo europeo ed internazionale.

Penso alle competenze chiave previste per tutti i cittadini dell’Unione Europea, relative al patrimonio culturale, ma anche ai principi della Convenzione di Faro.

In Commissione abbiamo vissuto come un grande traguardo l’avvento del “decreto Colosseo” che ha  riconosciuto  al nostro patrimonio culturale la dignità di “servizio essenziale per il cittadino”, al pari della scuola, dei trasporti e della sanità.

È la convinzione che anima tutti coloro che si occupano di patrimonio culturale: l’art. 9 della Costituzione deve garantire accanto alla tutela e valorizzazione anche la piena fruizione del nostro patrimonio culturale.

Il mancato riconoscimento del valore identitario del patrimonio culturale è fra le prime cause di perdita di interesse dei cittadini per i propri beni culturali, è la prima grande barriera che si frappone fra i cittadini e il patrimonio. Ve ne sono poi altre fisiche, economiche e culturali, tutte da rimuove per far si che il patrimonio torni ad essere di tutti.

Arrivare quindi all’ampliamento della partecipazione culturale è un obiettivo per noi fondamentale.

Questo vale in particolare per i musei, delegati a conservare testimonianza della identità collettiva e a traghettarla nella cultura del presente. Vi sono, lo sappiamo, molti studi che confermano quanto valore abbia la partecipazione collettiva al sostentamento della memoria di un popolo; si conserva ciò a cui viene dato un “valore” sia esso artistico, storico o di “memoria”.

Sono queste le ragioni per cui abbiamo visto con favore le politiche culturali messe in atto da questo governo.

Proprio la riorganizzazione del sistema museale del Paese è uno dei punti nodali della recente riforma del Ministero e si ricollega alle riflessioni elaborate, in questi anni, dalle più importanti istituzioni nazionali e internazionali che si occupano di musei.

Si sono così definiti: la nuova Direzione Generale Musei, i 20 Poli Museali di interesse nazionale dotati di autonomia amministrativa e i 17 Poli Museali regionali. Altri 10 Istituti autonomi tra Poli Museali e Parchi Archeologici sono previsti nella seconda parte della Riforma che ha anche istituito la Soprintendenza Unica archeologia, belle arti e paesaggio.

Si viene, dunque, a creare un sistema museale nazionale composto da Poli Museali di interesse nazionale e Poli Museali Regionali; questo punta a garantire una struttura capace di assicurare un dialogo necessario e continuo fra Stato e regioni e fra le diverse realtà museali pubbliche e private del territorio.

La creazione di un sistema museale nazionale prevede con la nascita dei Poli Regionali la possibilità di dare vita su scala regionale a dei sistemi “misti” che garantiscano l’impegno comune di tutti gli istituti di adeguarsi a determinati standard richiesti ormai a livello internazionale.

I musei statali con la Riforma  tornano ad essere tali in senso pieno, con uno status non diverso da quello degli altri musei nel mondo, sia recependo per la definizione di Museo quella dell’ICOM, sia in senso generale strutturandosi su un organizzazione definita da: un direttore, uno statuto, un bilancio, un organizzazione e una carta dei servizi.

Il nostro Paese si è allineato così ad una concezione del Museo diffusa a livello internazionale.

Mi interessa sottolineare che l’idea di dotare i Musei nazionali di maggiore autonomia gestionale e scientifica non è idea nata in questi ultimi mesi ma trova le sue ragioni in decenni di dibattito sul ruolo del museo e sulle aspettative che deve soddisfare.

Ottenere che questo sistema museale nazionale funzioni non sarà né semplice né immediato ma appare una logica risposta ad anni di aspre critiche e diffuse lamentele.

La seconda parte della Riforma del Mibact oltre a creare altri 10 istituti autonomi divisi in Musei e Parchi archeologici (alcuni di grande importanza come il Parco archeologico dell’Appia Antica, quello dei Campi Flegrei e di Ercolano) istituisce le “Soprintendenze uniche archeologia belle arti e paesaggio”.

Non entro nel merito delle critiche e delle ansie legate al provvedimento.

Dico solo che la “Soprintendenza Unica archeologia, belle arti e paesaggio” permetterà di inquadrare le problematiche in maniera multidisciplinare come per altro multidisciplinare è il nostro patrimonio culturale.

Non vi è chi, abituato a lavorare sul territorio, non sappia che il carattere proprio del patrimonio culturale del paese è quello di essere composito, ovvero nato dall’insieme di aspetti indivisibili, da quello archeologico, a quello artistico e storico fino a quello paesaggistico che è la cornice che ne raccoglie e ne amplifica il significato.

Io credo che se inquadriamo in questi termini la Riforma del Mibact diventa più chiaro l’intento di ricostituire un nuovo rapporto con i territori, con il patrimonio e anche con l’utenza.

La riforma che il Governo sta portando avanti nei beni culturali si fonda sul principio di una tutela attiva che riconosce nella valorizzazione un valido strumento per una nuova e più integrata politica di gestione dei beni culturali e comprende molte delle istanze che sono emerse in questi anni.

Sono anche il  frutto di una modifica del pensiero: penso alla rivoluzione che la Convenzione di Faro del 2005 ha portato nel modo di pensare al patrimonio culturale spostando l’attenzione dal valore in sé dei beni a quello che debbono poterne conseguire le persone, al loro rapporto con l’ambiente circostante e alla loro partecipazione attiva al processo di riconoscimento dei valori culturali, ponendo il patrimonio come risorsa al centro di una visione di  sviluppo sostenibile e di promozione della diversità culturale per la costruzione di una società pacifica e democratica.

Si registra dunque un diverso rapporto fra noi e il patrimonio culturale oltre ad un ampliamento delle categorie di tali beni.

Questa è la nuova sfida che dobbiamo vincere, saper cogliere le nuove necessità  anche con i nostri Musei, luoghi sempre più strategici di diffusione culturale nei territori e che vogliamo sempre più aperti e permeabili a tutti, fulcri essenziali del vivere civile.