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Sistema scolastico e mondo produttivo: dialogo avviato con l’alternanza scuola – lavoro

L’alternanza scuola lavoro è uno dei principi fondamentali previsti nella legge per “La Buona Scuola”, la legge 107, approvata nella scorsa estate, che ha incontrato notevoli resistenze nel suo cammino. In particolare, per quel che riguarda il tema dell’alternanza, veniamo da una cultura che ha sempre visto forti cesure tra due tipi di istruzione e che considerava l’istruzione tecnica di serie B, dividendo in modo molto netto i segmenti dell’istruzione secondaria superiore. Invertendo questa tendenza abbiamo posto le basi di un cambiamento culturale. La scommessa, naturalmente, interessa la scuola ma nello stesso modo anche l’impresa: perché un investimento vero, culturale oltre che economico, è necessario da una parte e dall’altra. 

Come noto, la legge ha l’ambizione di riallacciare il dialogo tra il sistema scolastico e il mondo produttivo per riallineare i percorsi formativi e le prospettive occupazionali offerte dalle imprese, colmando il gap di competenze in uscita dai percorsi di studio in relazione alle aspettative del mondo del lavoro. Con questo intervento normativo, l’Italia si allinea d’altra parte ai parametri europei fissati dal programma ET educazione e formazione 2020, affrontando i principali elementi di criticità del nostro sistema di istruzione e formazione, messi in luce dalle conclusioni della Commissione Europea. Per il periodo 2016-2020 la relazione della Commissione e degli Stati membri, adottata dal Consiglio dei ministri europei dell’Istruzione nel novembre 2015, ha definito sei nuove priorità tra cui figurano gli interventi rivolti a ridurre l’abbandono scolastico e l’acquisizione di competenze facilmente spendibili nel mercato del lavoro.

Per contrastare il fenomeno dell’alto tasso di disoccupazione giovanile in Europa, superiore al 20% e in alcuni paesi addirittura il 50%, si pone oggi l’accento sulla dimensione “pratica” dei curricula, si chiede cioè una maggiore diffusione di esperienze “sul campo” all’interno dei percorsi di istruzione e di formazione.

L’intero impianto della riforma si fonda sul potenziamento dell’autonomia scolastica, per garantire la massima flessibilità, la diversificazione, l’efficienza e l’efficacia del servizio scolastico nel contesto territoriale, attraverso un migliore utilizzo delle risorse.

L’Italia è il secondo paese europeo dopo la Germania per valore della produzione manifatturiera e numero di addetti. Tuttavia, il livello formativo del paese si sta progressivamente impoverendo. Il riflesso indiretto è facilmente leggibile nell’andamento della produttività italiana per unità di prodotto che non cresce anche per investimenti insufficienti nella formazione e nell’information technology. In assenza d’interventi tempestivi e radicalmente innovativi l’Italia rischia di perdere la sfida del nuovo sviluppo industriale.  Nel prossimo futuro si assisterà a un’intensa competizione internazionale anche sulla qualità dell’education e a un forte incremento nella domanda di competenze. I paesi che avranno costruito un’efficace connessione tra la formazione e il lavoro avranno un vantaggio ulteriore.

L’inserimento lavorativo deve essere percepito sempre meno come l’approdo di un percorso di studio e sempre più come l’inizio di un percorso di sviluppo individuale.

Dobbiamo investire su questo sapendo quale passo avanti è stato fatto, ma anche consci di quali impegni comporta in termini di strategie, decisioni da prendere, adempimenti ed investimenti.

Per raggiungere questi obiettivi la legge 107 ha previsto di poter contare su dirigenti scolastici con più strumenti per garantire la qualità dell’offerta formativa della scuola; docenti motivati e aggiornati; un apprendimento fondato sulla metodologia laboratoriale;  più esperienze di apprendimento in contesti reali di lavoro attraverso sia la metodologia dell’alternanza scuola lavoro sia attraverso l’apprendistato.

Anche su questi temi il governo ha messo risorse: per la didattica 40 milioni di euro in termini di formazione in servizio per gli insegnanti che devono essere in grado di accettare anche le didattiche imposte dai nuovi contenuti digitali; 90 milioni di euro per il piano digitale; 45 milioni di euro per i laboratori.

Sono gli strumenti su cui potranno lavorare i dirigenti scolastici.

“La Buona Scuola” ha puntato ad un obiettivo molto ambizioso: con un investimento a regime di 100 milioni, che diventeranno circa 200 milioni. Far diventare i percorsi di alternanza scuola lavoro una regola per tutti gli studenti della scuola secondaria, aumentando le ore in alternanza e facendole diventare parte del curriculum (400 ore negli ultimi tre anni degli Istituti tecnici e professionali e 200 ore nei licei).

Garantendo una maggiore integrazione all’interno del curricolo tra gli apprendimenti in aula e quelli in ambiente lavorativo.

Assicurando una migliore definizione degli obiettivi dell’alternanza e dell’organizzazione delle attività. Quello che i ragazzi apprendono nell’impresa deve essere parte integrante del percorso formativo, con una ricaduta sui voti in pagella e sulla certificazione delle competenze.

Nella Buona Scuola alle 400 ore previste per gli istituti tecnici sono state aggiunte 200 ore per i licei da spendere anche in istituti dei beni culturali, musei, archivi, biblioteche e questo diventa un punto di grande significato per un Paese come l’Italia.

In queste settimane molte scuole si stanno interrogando su quali cambiamenti nella vita concreta e nella didattica porterà con sé l’introduzione di un numero così significativo di ore di Alternanza Scuola-Lavoro all’interno del curricolo. In effetti, è una metodologia didattica che comporta un ripensamento della stessa funzione educativa, formativa e socializzante della scuola nel suo rinnovato rapporto con l’impresa. Non è possibile introdurre l’Alternanza Scuola-Lavoro senza modificare la struttura organizzativa, l’impianto didattico e il modello pedagogico della scuola italiana.

Ovviamente, questo è un primo anno di transizione e occorrerà trarne tutte le informazioni necessarie per migliorare il sistema correggendo errori o difetti. In primo luogo, dovremmo essere capaci di eliminare dal terreno della discussione un alibi molto frequente che, di fatto, impedisce la piena realizzazione dell’alternanza. Mi riferisco al tema del costo sostenuto dalle imprese.  Dall’iscrizione al Registro che è a pagamento, pur se con cifre ridotte (tra gli 80 e i 150 euro), ai costi più significativi che comprendono: trasporto, assicurazione, tutor aziendale, per citare solo alcuni esempi. Noi però sappiamo che favorire e sostenere l’alternanza rientra nella funzione sociale dell’impresa, crediamo -dunque- si possano predisporre strumenti che consentano di incentivare le imprese a mettersi in gioco. Una soluzione potrebbe essere quella di assicurare un credito di imposta alle aziende legandolo al numero degli studenti ospitati: le aziende potrebbero certificare a fine anno ad un ente esterno il numero degli studenti coinvolti nel progetto di alternanza. L’operazione a regime potrebbe costare circa un milione di euro il primo anno, 2 milioni il secondo e 3 il terzo anno, secondo calcoli di previsione effettuati di recente.

Ma dobbiamo intervenire anche sull’orientamento perché rappresenta uno strumento chiave per costruire le future scelte legate al mondo del lavoro. In una situazione sociale e politica in rapida e continua evoluzione, l’orientamento costituisce oggi più che mai il punto culminante di ogni processo educativo e formativo. Un altro aspetto su cui occorre aprire una discussione è la differenza di ore dedicate all’alternanza tra licei e istituti tecnici o professionali: 200 contro 400, perché questo presuppone un’idea di fondo -a mio avviso errata- che tra gli studi superiori ve ne siano alcuni di serie A e altri di serie B. E in un momento in cui tutti riconoscono la necessità che le piccole e medie imprese italiane debbano essere aiutate a crescere, investire sulla classe dirigente è elemento fondante delle politiche del Paese. Infine, andrà affrontato il diverso problema che si pone tra il centro-nord e il Mezzogiorno del Paese.  Infatti, mentre l’interazione famiglia-scuola-impresa al Nord dimostra di funzionare, al Sud spesso la stessa interazione non riesce a svolgersi per le carenze del sistema industriale e produttivo. Per questo potremmo pensare di considerare nei progetti di alternanza anche il lavoro fatto in remoto. Tuttavia, anche questa soluzione presenta un rischio: al nord i ragazzi andranno in azienda mentre al sud potranno lavorare esclusivamente dal PC? E’evidente che anche questo è un problema che va posto e affrontato. Considerando questa come una fase transitoria dovremmo valutare quale direzione prendere in futuro. Sullo sfondo rimane il sistema duale tedesco. In Germania, a differenza di quanto accade in Italia, il sistema è guidato dalle imprese che offrono agli studenti un contratto di apprendistato a pagamento. I ragazzi che scelgono questo percorso trascorrono metà della settimana a casa e metà in azienda e la valutazione finale del loro percorso è affidata a un soggetto terzo (camere di commercio o sindacati). Le imprese, dunque, spendono mediamente 15 mila euro all’anno per ogni apprendista: ma in Germania l’età media di accesso al mondo del lavoro è di 19 anni, in Italia 28. Il problema dell’alternanza ha evidentemente riflessi anche sulla concezione dell’università così com’è attualmente organizzata. Con l’introduzione del 3 + 2 si immaginava di costruire un sistema che consentisse a chi decideva di non proseguire con la laurea magistrale di avere in tempi ragionevoli un titolo valido di studio e la formazione necessaria per entrare nel mondo del lavoro.

Purtroppo, oggi dobbiamo constatare che il sistema nella stragrande maggioranza dei casi non ha sortito gli effetti sperati. Con l’aggravante che, spesso, il secondo biennio rappresenta una stanca ripetizione delle conoscenze maturate nel primo triennio. Accanto al sistema universitario è stato creato un sistema parallelo con una forte professionalizzazione, quello degli ITS che funziona molto bene ma tocca una platea limitata di studenti, circa 5.000. In questo quadro, la funzione degli ITS deve essere ulteriormente potenziata. Si è cominciato quest’anno aumentandone il finanziamento del 30%, ma deve essere integrata la platea degli studenti.

Credo, dunque, che vadano definite con molta chiarezza le scelte di fondo sia in termini di obiettivi e strategie, sia anche in termini di investimento di risorse da parte della scuola. Occorre però che anche gli imprenditori investano in capitale umano, perché i giovani sono gli attori fondamentali del cambiamento.

La riforma, lo abbiamo detto e lo ripetiamo, si fa in due: istituzioni pubbliche e mondo del lavoro.