Flavia Piccoli Nardelli interviene in Aula alla Camera nella discussione generale sulla proposta di legge in materia di accesso aperto all’informazione scientifica presentata dal M5S.
Un provvedimento che Flavia Piccoli Nardelli ritiene in linea di principio condivisibile, sottolineando però che la proposta offre una lettura eccessivamente semplicistica della materia. Infatti, segnala che il testo è inadeguato, in questi termini, a guidare una transizione che tenga conto delle dinamiche del mercato e soprattutto dei criteri di valutazione delle opere scientifiche e delle norme relative alla proprietà intellettuale riconosciuta dal diritto d’autore.
Di seguito il testo integrale dell’intervento dell’on. Flavia Piccoli Nardelli
Camera dei deputati – XVIII Legislatura
Resoconto stenografico dell’Assemblea
Seduta n. 139 di lunedì 11 marzo 2019
Proposta di legge: Gallo ed altri: Modifiche all’articolo 4 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, nonché introduzione dell’articolo 42-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di accesso aperto all’informazione scientifica (A.C. 395-A)
Discussione sulle linee generali
FLAVIA PICCOLI NARDELLI (PD). Presidente, Governo, colleghi, la proposta di legge A.C. 395 del Movimento 5 Stelle a firma Gallo che propone modifiche all’articolo 4 della legge 7 ottobre 2013 n. 112 in materia di accesso aperto all’informazione scientifica e alla legge in materia di diritto d’autore, secondo il proponente, interverrebbe per garantire il libero accesso alla ricerca scientifica finanziata con risorse pubbliche, per potenziare la divulgazione scientifica in RAI, per modificare il diritto d’autore.
Obiettivi troppo ampi, da un lato, e una lettura eccessivamente semplicistica, dall’altro, a nostro avviso, a fronte di una tematica, quella dell’open access, che da più di vent’anni almeno accompagna la riflessione sulla società della conoscenza e sui suoi contenuti, in sintesi sui processi sociali di gestione della conoscenza stessa dai modi in cui viene prodotta e utilizzata a come viene distribuita, con due scuole di pensiero contrapposte, Presidente.
L’una vede nella conoscenza la principale risorsa sul mercato gestita secondo logiche di tipo industriale, che prevede leggi sulla libera concorrenza, sui brevetti, sulla proprietà intellettuale sia che si tratti di beni immateriali, codici, licenze d’uso, sia che si tratti di forme di conoscenza utilizzate all’interno di prodotti fisici, gli smartphone, per esempio.
Dall’altra parte la scuola di pensiero che considera, invece, la conoscenza come il risultato di uno sforzo condiviso e collettivo, tesa a favorire la libera circolazione della conoscenza anche sul terreno delle pubblicazioni scientifiche, dei libri, degli articoli, dei paper, delle relazioni a convegni, letteratura grigia compresa, e di tutte quelle opere che nuove tecnologie aiutano a produrre in forme innovative.
Le due concezioni si sono contrapposte e intrecciate in questi anni. La prima ha visto la progressiva estensione dei termini legali della durata del copyright, che oggi arriva fino a settant’anni dalla morte dell’autore; ha visto favorire concentrazioni editoriali sempre più massicce; ha sostenuto la diffusione di strumenti di misurazione dei risultati accademici basati su indici bibliometrici proprietari come l’impact factor; ha dovuto, infine, constatare l’aumento rapidissimo dei prezzi degli abbonamenti delle riviste scientifiche, cresciuti in maniera molto superiore all’inflazione.
L’altra concezione della conoscenza ha investito sull’open access, l’accesso aperto alla letteratura scientifica, con l’obiettivo di rendere le pubblicazioni scientifiche consultabili da chiunque in formato digitale a costi nulli o fortemente ridotti e con modalità di gestione dei diritti di proprietà intellettuale che le rendano liberamente riproducibili.
Noi, Presidente, sosteniamo che il tema è molto complesso, perché prevede interventi che riguardano autori, editori, scienziati, studiosi, lettori comuni, pubblico di non specialisti, bibliotecari, committenti e anche i finanziatori. Ricordiamo anche che il tema ha ormai una storia lunga alle spalle, in sede europea e in sede italiana: dalla Dichiarazione di Berlino ad oggi (vuol dire 2003-2019) il movimento internazionale nato in ambito accademico per promuovere la libera disponibilità online dei contributi scientifici ha fatto molta strada. Oggi quella dichiarazione, ripresa per l’Italia dalla Dichiarazione di Messina, è stata sottoscritta da oltre 70 fra università ed enti di ricerca italiani. Nell’ultimo decennio l’Unione europea ha impresso un’accelerazione molto netta alla promozione dell’accesso aperto: ne hanno parlato i miei colleghi prima di me, la Commissione ha sviluppato un’articolata politica a favore dell’open access applicandola ai progetti e ai programmi di ricerca Horizon 2020 e al Settimo programma quadro della Comunità europea per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, chiedendo agli Stati membri di attuare precise misure a favore dell’accesso aperto.
L’azione europea ha avuto una prima tappa nella raccomandazione della Commissione sull’accesso all’informazione e sulla sua conservazione, la raccomandazione n. 417 del 2012, che chiedeva già allora di assicurare quanto prima possibile un accesso aperto alle pubblicazioni preferibilmente subito, e comunque non più di 6 mesi dopo la loro data di pubblicazione, periodo esteso a 12 mesi nel caso delle pubblicazioni nell’area delle scienze sociali e umane. Sono sempre questi i termini che tornano: 6 mesi per la parte scientifica, 12 mesi per la parte umanistica. La Commissione spingeva ulteriormente, subordinando il finanziamento dei progetti europei di ricerca al deposito degli articoli su archivi aperti; faceva sua la legislazione sul diritto d’autore, prevedendo il rimborso delle spese sostenute per la pubblicazione dei contributi in riviste open access, in base naturalmente alla golden road.
Nella XVII legislatura, in ottemperanza a quanto previsto da quella raccomandazione, il decreto-legge cosiddetto Bray sul valore cultura, convertito poi nella legge 7 ottobre 2013, n. 112, riprendeva il testo della raccomandazione europea. Su quel testo intervennero le Commissioni cultura del Senato prima e della Camera poi. Si modificava il testo del decreto-legge che prevedeva l’obbligatorietà del deposito dei risultati delle ricerche indicate in archivi elettronici entro 6 mesi, come dicevamo prima, come stabilito dalle raccomandazioni della Comunità europea, prevedendo 18 e 24 mesi per le pubblicazioni scientifiche e per quelle umanistiche. Al contempo si introduceva il comma 2-bis, che escludeva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 2 quando i diritti sui risultati scientifici fossero tutelati come diritti di proprietà industriale, la cui protezione fosse aggiunta attraverso il brevetto. Infine il comma 3, nel testo come modificato dal Senato, disponeva che al fine di facilitare il reperimento e l’uso dell’informazione culturale-scientifica, nonché di ottimizzare le risorse disponibili, il Mibac, in quel caso, e il MIUR adottassero strategie coordinate per l’unificazione delle banche dati che rispettivamente gestiscono.
La versione finale della norma sull’accesso aperto, che è quella tuttora vigente, era depotenziata rispetto al testo iniziale del decreto-legge, Presidente. Le resistenze erano nate non solo dall’editoria specializzata, che guardava con grande diffidenza all’accesso aperto, ma soprattutto da una porzione consistente del mondo scientifico, che continuava a preferire il sistema tradizionale di pubblicazione, percepito come maggiormente garante dell’autorevolezza delle riviste scientifiche che selezionano gli articoli da pubblicare. Per questo motivo non sono mancate le critiche di alcuni importanti esponenti del movimento open access.
Alcune notazioni si impongono. In questi anni si è fatto più evidente che l’open access sfrutta le potenzialità del web in termini di immediatezza di diffusione, di impatto e di gratuità; che proprio grazie alla rete si può pubblicare in open access sulle riviste ad accesso aperto, la golden road, e su archivi aperti, la green road.
Sono entrate nel mercato molte riviste ad accesso aperto, completamente finanziate da enti o da pubblicità, ed è d’altra parte cresciuto in questi anni il numero di istituzioni che si sono dotate di archivi elettronici aperti. In questo secondo caso, sono gli autori stessi che ripubblicano o archiviano i propri contributi in modalità aperta: è un modo, evidentemente, per riappropriarsi dei contributi da parte delle istituzioni che li hanno prodotti e finanziati.
D’altra parte un ampio dibattito riguarda anche le norme dettate dall’Anvur per la valutazione della ricerca scientifica e le regole previste dalle procedure di abilitazione scientifica nazionale. Gli autori spesso scelgono editori che pubblicano in modalità classica, come dicevamo prima, per veder garantito maggiore controllo sull’editing, pur potendo oggi conciliare tale modalità con la pubblicazione ad accesso aperto.
Infatti, sempre più editori propongono politiche contrattuali che consentono il deposito degli archivi su piattaforme ad accesso aperto: ogni editore, Presidente, è classificato in base ad un colore, verde, blu, giallo o bianco, a connotare regimi che vanno da minori restrizioni (verdi) a maggiori restrizioni (bianco), per quelli che ammettono o vietano l’archiviazione o la pre-archiviazione o la post-archiviazione dei dati. Sempre più spesso anche le riviste tradizionali optano per un sistema ibrido, offrendo la cosiddetta opzione aperta.
Oggi l’affermazione del modello di open access impone agli autori maggiore consapevolezza sui diritti che possono esercitare sui prodotti della propria attività intellettuale: è l’autore che deve trattenere per sé alcuni diritti, per consentirsi la possibilità di riutilizzi per motivi scientifici o per ragioni didattiche.
Un ulteriore punto desidero sottolineare, Presidente, che emerge dalla raccomandazione della Commissione europea: è necessario garantire da parte degli Stati nazionali una pianificazione finanziaria che assicuri infrastrutture elettroniche adeguate all’interoperabilità, alla diffusione e alla conservazione.
Le forti spinte verso l’open access a livello nazionale si sono moltiplicate nel corso degli anni, sia col decreto direttoriale n. 197 del 2014 del MIUR relativo al programma Sir, che prevede l’obbligatorietà del deposito delle copie digitali di prodotti della ricerca in un apposito repository per le pubblicazioni scientifiche, che col bando PRIN del 2017, che impone a ciascun responsabile di unità progettuale di garantire l’accesso gratuito ed online ai risultati ottenuti.
L’ultima significativa spinta viene però dalla raccomandazione della Commissione europea n. 790 del 2018, quindi recentissima, che definisce obiettivi concreti, dà indicatori per misurare i progressi dell’open access, stabilisce i piani di attuazione ed espone la pianificazione finanziaria associata. Gli Stati membri, in base a questa raccomandazione, devono garantire una serie di indicazioni. Mi fermo solo a due. Tutte le pubblicazioni scientifiche derivanti dalla ricerca sostenuta da finanziamenti pubblici siano messe a disposizione in accesso aperto a partire al più tardi dal 2020. E la seconda: indipendentemente dal canale di pubblicazione, l’accesso aperto alle pubblicazioni, eccetera eccetera, sia concesso non appena possibile, preferibilmente al momento della pubblicazione e comunque non oltre i 6 mesi dalla data di pubblicazione, al più tardi entro 12 mesi per le scienze sociali ed umane; quindi ribadendo e riconfermando quello che già era presente nella raccomandazione del 2012.
In conclusione, Presidente, noi condividiamo le finalità della proposta di legge a prima firma Gallo; come si è ampiamente dimostrato, la normativa vigente è il frutto del lavoro del Governo a maggioranza del Partito Democratico nella scorsa legislatura; risponde a norme europee che noi condividiamo; ed è per questo motivo che in Commissione cultura abbiamo contribuito con nostri emendamenti alla definizione di questo testo di legge. Alcuni significativi emendamenti, tra quelli da noi presentati, sono stati prima bocciati nei lavori della Commissione per essere però poi riproposti nel testo finale come emendamenti del relatore, del che non posso non rallegrarmi, visto il buon senso di alcune delle indicazioni offerte.
Il nostro lavoro emendativo si è concentrato, ed è stato accolto, mi fa piacere dirlo, soprattutto sul comma 3-bis proposto dal MoVimento 5 Stelle per aumentare la divulgazione scientifica all’interno dei programmi della RAI.
Il testo della proposta di legge Gallo inizialmente stabiliva l’istituzione di una commissione – il testo è quello della prima proposta – per la divulgazione dell’informazione scientifica al fine di selezionare le migliori forme di diffusione della più recente informazione culturale e scientifica a favore della collettività da trasmettere attraverso il canale radiotelevisivo pubblico.
Il testo – vi ho dato soltanto tre righe centrali del testo – era comunque evidentemente discutibile, a nostro avviso, per le ambiguità di interpretazione che consentiva. La proposta emendativa del Partito Democratico ha voluto salvare gli obiettivi previsti, evitando i rischi di un indebito controllo sull’informazione scientifica.
L’ultima versione del provvedimento, frutto delle modifiche proposte dal relatore, ne amplia ulteriormente la portata, pur rimanendo all’interno delle norme già previste dal contratto nazionale di servizio, stipulato in base all’articolo 45 del decreto-legge n. 177, del 2005, della RAI con il MISE, che viene rinnovato ogni cinque anni.
Il testo finale del provvedimento propone quattro commi aggiuntivi – Presidente, vado veloce – per coprire i costi della realizzazione della manutenzione di un’infrastruttura nazionale, utilizzando per il 2019 risorse che provengono dall’autorizzazione di spesa relativa al reclutamento da parte del MIUR di nuove unità di personale amministrativo, per il 2020 mediante corrispondente riduzione dell’incremento del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche, dal 2021 mediante corrispondente riduzione del Fondo speciale di parte corrente, utilizzando parte dell’accantonamento di pertinenza del MIUR.
La proposta del Movimento 5 Stelle infatti prevede un finanziamento di 1 milione di euro per quest’anno e di 200 mila euro annuali a partire dal 2020, a nostro avviso troppo poco per garantire una pianificazione finanziaria che tenga conto delle necessità prospettate.
Infine, il provvedimento in esame inserisce un articolo, il 42-bis, nella legge n. 633 del 1941, sul diritto d’autore, disponendo che l’autore di un’opera scientifica pubblicata in un periodico, che sia il risultato di una ricerca finanziata con fondi pubblici per una quota almeno pari al 50 per cento, ha il diritto, purché senza fini commerciali, di renderla disponibile gratuitamente al pubblico nella rete Internet, in archivi elettronici istituzionali o disciplinari con accesso aperto, dopo che essa è stata messa a disposizione gratuita del pubblico da parte dell’editore o comunque dopo un periodo non superiore a sei mesi dalla prima pubblicazione a titolo non gratuito, quando si tratta di opere delle aree disciplinari scientifiche eccetera eccetera. Nell’esercizio di tale diritto l’autore deve indicare gli estremi della prima edizione e specificare il nome dell’editore. Il comma 2 dispone che l’autore rimane titolare del suddetto diritto anche qualora abbia ceduto in via esclusiva i diritti di utilizzazione economica della propria opera all’editore o al curatore. Dispone, altresì, che le clausole contrattuali pattuite in violazione delle previsioni del comma 1 sono nulle. Si tratta naturalmente di previsioni volte a tutelare l’autore.
Come pare evidente, Presidente, molto è stato già fatto, per cui alcune delle disposizioni presenti nel testo dell’atto Camera 395, a firma dell’onorevole Gallo, appaiono pleonastiche rispetto ad alcune delle norme vigenti, come al contratto di servizio della RAI, per esempio.
Noi quindi condividiamo l’obiettivo dell’intervento legislativo, ma segnaliamo che lo strumento è inadeguato in questi termini a guidare una transizione che tenga conto delle dinamiche del mercato e soprattutto dei criteri di valutazione della ricerca che condizionano i ricercatori. Bisognava forse, a nostro avviso, avere più coraggio, allargando gli orizzonti del provvedimento anche in relazione alle iniziative intraprese dall’Unione europea. E siamo convinti che sarà necessario un attento monitoraggio nella fase di applicazione delle nuove disposizioni, per evitare effetti indesiderati, quali possibili aumenti, ad esempio, del costo di pubblicazione in open access. Quindi, il provvedimento rimane, a nostro avviso, un’occasione mancata rispetto ad aspetti che l’open access porta con sé, sia a proposito – come dicevamo – della valutazione delle opere scientifiche per le carriere universitarie sia per quanto riguarda le norme relative alla proprietà intellettuale riconosciuta dal diritto d’autore.
Sono questi, Presidente, i motivi per cui, pur apprezzandone le motivazioni, il Partito Democratico non può riconoscersi in questo articolato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).