Sulle unioni civili Silvio Berlusconi non “insegue” i cattolici ma ancora una volta se ne allontana di più.
Il Parlamento responsabilmente in questa ultima legislatura, dopo anni di dibattito, ha trovato un punto di sintesi riguardo le ricadute civili dei rapporti affettivi che non si riconoscono nell’ambito della famiglia tradizionale con la legge, appunto, sulle unioni civili. E’ un dato di composizione sociale che una parte del Paese attendeva da tempo, e che come si è visto da questa prima fase di applicazione della legge non confligge con l’istituto del matrimonio come esso è felicemente delineato dall’articolo 29 della Costituzione.
Matrimonio è l’unione di un uomo e una donna con l’obiettivo di dare vita a una famiglia e generare dei figli. E’ un istituto millenario, che si è strutturato nel corso dei secoli ancora prima che il cristianesimo lo elevasse a sacramento religioso. Le unioni civili sono una cosa diversa, come è indicato dalla stessa etimologia delle parole usate. Perché Berlusconi strumentalmente vuole identificare questi significati e questi contenuti così diversi?
L’ “inseguimento” del voto cattolico è in questo caso del tutto divisivo, già questo mostra come esso sia estraneo a una cultura cattolica della comprensione e della inclusione sociale. Non a caso l’annuncio dell’abrogazione della legge sulle unioni civili fa il paio con una posizione nei confronti dell’immigrazione che riduce la complessità del problema al puro inseguimento del voto della paura.
Se si vuole riprendere in Italia il discorso sulla famiglia, e la sua reale tutela anche a fronte del calo delle nascite di nuovo documentato dall’Istat, la via maestra è una politica che dia interamente seguito a tutte le indicazioni contenute nel titolo dei rapporti etico sociali della Costituzione, gli articoli da 29 a 34.
Il PD propone, come ampiamente dimostra nel suo programma elettorale, il confronto su questi temi: per una politica che unisce contro una demagogia che divide.