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Commissione Cultura: audizione del Ministro Franceschini

Pubblichiamo l’intervento del ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, sulle linee programmatiche del suo dicastero, che ha illustrato nell’audizione alla VII Commissione Cultura della Camera dei Deputati.

Il ministro dalle prime battute ha precisato che: «se il Governo e la Commissione cultura individuano insieme un’agenda di provvedimenti su temi e questioni trasversali rispetto alle fisiologiche distinzioni tra maggioranza e opposizione, diventa possibile fare molte cose, farle bene e anche velocemente».

franceschini2Testo integrale dell’intervento del Ministro

DARIO FRANCESCHINI. Le direzioni generali del Ministero mi hanno fornito una serie di elementi, ma, sia per ragioni di tempo, sia per ragioni di funzionalità di questo dibattito, in cui a me interessa molto ascoltare – l’audizione è del Governo, ma dà modo anche al Governo di ascoltare le indicazioni dei gruppi parlamentari –, vorrei limitarmi a esprimere alcune considerazioni di fondo sugli argomenti più urgenti all’ordine del giorno, o sulle questioni strutturali sulle quali si può iniziare un dibattito.
Parto dalla considerazione che ho enunciato il primo giorno in cui ho assunto l’incarico di Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo: sono convinto che questo possa essere davvero il Ministero economico più importante.

In molti anni ho visto alternarsi più Governi alla guida del Paese. Lo sa bene il Presidente Galan, che ha ricoperto anche l’incarico di Ministro. Al di là del colore dei Governi, c’è molto poca consapevolezza delle potenzialità enormi che questo settore, in particolare dopo la scelta di unire la delega del turismo a quella dei beni culturali, può avere.
È del tutto evidente che nel secolo della globalizzazione ogni Paese dovrà investire su ciò che lo rende più competitivo. Ciò che può rendere più competitivo il nostro Paese è esattamente la potenzialità della nostra storia, del nostro patrimonio culturale, della bellezza, in termini sia di attrazione turistica, sia di valorizzazione del Paese nella sua capacità di richiamare investimenti.

Purtroppo, questa consapevolezza finora non c’è stata in misura adeguata, ma io, come ha affermato anche il Presidente del Consiglio nelle sue dichiarazioni programmatiche, ho la consapevolezza che da questo settore possa provenire un grande contributo per la crescita.

La questione non è in alcun modo in contrasto con le esigenze di tutela del nostro patrimonio storico e artistico. I nostri Padri costituenti, che erano molto lungimiranti, nell’articolo 9 della Costituzione – il faro per chi lavora in questo settore – hanno messo insieme due concetti, che non sono in alcun modo in contrasto, la tutela e la valorizzazione, usando la parola «promozione». Si può e si deve assolutamente tutelare la bellezza e l’integrità del nostro patrimonio storico, architettonico e archeologico e insieme valorizzarlo ai fini di una crescita complessiva del Paese, ripeto, non soltanto in termini di promozione turistica.

Per questo motivo vorrei che alla parola «petrolio», che ho usato anch’io, a proposito dei Paesi che hanno come materia prima le risorse petrolifere – parola che però può indurre in inganno, perché si tratta di un bene che si consuma – sostituissimo la parola «ossigeno», con la consapevolezza che i beni culturali e le politiche culturali possono essere l’ossigeno per la nostra economia del futuro.

Veniamo ai nodi. Innanzitutto, ho incontrato molte categorie. Stamattina, ad esempio, ho incontrato rappresentanti del mondo del cinema. Esiste un problema che conoscete, ma che è bene riportare nel suo contesto. Occorre cioè sapere da dove partiamo, da dove parte questa legislatura e conoscere le risorse e i numeri.

Cito soltanto i grandi numeri. Nel 2000 il bilancio del MiBACT rappresentava lo 0,39 per cento del bilancio dello Stato. Nel 2013 si è passati allo 0,20 per cento: da 2,398 a 1,692 milioni di euro. Rispetto al PIL nel 2000 il bilancio del MiBACT rappresentava lo 0,18 per cento. Oggi è pari allo 0,10 per cento. Anche qui la metà circa. A un settore nel quale dovremmo investire per crescere, purtroppo, nel corso del tempo i Governi che si sono succeduti, per ragioni complessive, hanno ridotto lo spazio.

Tutto questo, anche in una stagione di crisi, non ha avuto una corrispondenza con quello che è avvenuto negli altri Paesi. È evidente, però – come spesso dico agli interlocutori che, giustamente, reclamano maggiore attenzione e maggiori risorse per i propri settori del mondo della cultura –, che dobbiamo ragionare tenendo conto della stagione in cui ci troviamo.

Alla vigilia di un’altra manovra del Governo che inciderà molto in termini di spending review, un conto è gestire le politiche culturali in una stagione di possibilità di spesa, un conto è gestire questo settore, come altri, in una stagione di tagli alla spesa.

In questo scenario, sono assolutamente convinto e certo che la Commissione cultura mi darà un aiuto. Se è vero che questo è uno dei settori su cui investire, occorre avere assolutamente la consapevolezza che in questo settore bisogna non operare tagli, ma, al limite, portare nuove risorse, se è vero che si tratta di uno dei settori trainanti e di una delle peculiarità italiane.

Il secondo tema riguarda la «macchina» amministrativa, di cui so che avete parlato anche voi. Il tema è stato al centro dell’attenzione. Il precedente Ministro ha istituito la Commissione D’Alberti, che prendeva il nome dal suo presidente, che si è occupata della riorganizzazione del Ministero.

Penso che ci sia un grande bisogno di riorganizzazione e soprattutto di modernizzazione, anche alla luce del fatto che la scelta di trasferire la competenza sul turismo al MiBACT ha creato una sfasatura rispetto alla competenza di questa Commissione. Questa è una delle stranezze del meccanismo di parlamentare. Soprattutto quando si compiono scelte legislative che incidono sulle competenze dei Ministeri, occorrerebbe valutare se il livello parlamentare si debba adeguare a quello di Governo, o viceversa. Diventa difficile capire perché in quasi tutti i settori non ci sia una sola Commissione parlamentare come interlocutore per materia del Governo. Le Commissioni sono molto articolate.

Domani la mia audizione si svolgerà in una seduta congiunta delle Commissioni Attività produttive, commercio e turismo della Camera e Industria, commercio e turismo del Senato, ma la scelta di unire in capo al MiBACT cultura e turismo è stata fatta in via legislativa, e, quindi, in via permanente. È del tutto evidente, dunque, la possibilità di creare sinergie, perché il turismo in Europa e in Italia è legato sempre più all’offerta culturale.

Per il resto, il turismo è un settore importante: penso al turismo balneare. Il mondo offre una gamma di opzioni per cui i turisti che vengono in Europa – prevalentemente scelgono di venire in Europa, non più in uno dei Paesi europei – fanno un viaggio tra le varie città e le varie capitali. Vengono per l’offerta culturale, per la bellezza e per la ricchezza del nostro patrimonio.

Aver integrato il turismo con la cultura comporta una serie di scelte organizzative, non solo l’aggiunta di una direzione generale – questione che affronteremo anche nei prossimi giorni –, ma anche una ristrutturazione complessiva del settore del turismo.

Sulla base del lavoro della commissione D’Alberti io intendo procedere alla riorganizzazione del Ministero, ma senza istituire nuove commissioni. Bisogna finirla con la logica secondo la quale un Ministro o un Governo ripartono da zero come se non fosse stato svolto un lavoro in precedenza. Naturalmente, però, si tratta di una base di lavoro che richiederà correzioni.

Ad esempio, ritengo che la Direzione generale per le antichità, cioè per l’archeologia, in un Paese come l’Italia non possa essere aggregata a un’altra, ma debba mantenere una sua peculiarità.

All’interno di questo tema generale di riorganizzazione del Ministero ve n’è uno più urgente, in base alla spending review. Appena diventato Ministro, ho firmato un decreto che scadeva il 28 febbraio e ho proposto al Consiglio dei ministri un decreto del Presidente del Consiglio, che è stato approvato il giorno prima del termine fissato per la sua emanazione, il 27 febbraio, ossia il giorno dopo la mia nomina. Il DPCM contempla il taglio, previsto dalle norme sulla spending review, di dirigenti di prima e seconda fascia.

La scelta che dovrò compiere, una volta che questo decreto verrà registrato, sarà il taglio di trentadue dirigenti di seconda fascia. Questi rappresentano una parte dei dirigenti centrali, i sovrintendenti e una parte dei direttori regionali. L’impatto di questo atto dovuto, dovendo essere rispettata in tempi brevi la norma di legge che lo prevede, comporterà un intervento sul sistema delle sovrintendenze, e cioè di quegli uffici ai quali è affidato in prima linea il compito di applicare l’articolo 9 della Costituzione, ossia il dovere di tutela.

Per fortuna, ciò è avvenuto rispetto all’esigenza di salvare il nostro territorio e la bellezza del nostro patrimonio storico e artistico. I comportamenti umani sono forieri di errori, di discrezionalità eccessive, e necessitano di una razionalizzazione del sistema. Io penso che su questo tema il primo nodo sarà legato al fatto che, poiché per eliminare trentadue posizioni, bisognerà necessariamente accorpare alcune sovrintendenze, si dovrà decidere se effettuare accorpamenti secondo un criterio territoriale (in molte regioni ci sono due o tre sovrintendenze, competenti sulla tutela dei beni artistici, dei beni architettonici e dei beni archeologici), o se, viceversa, optare per un sistema di sovrintendenze miste, che esistono già in alcune regioni, che semplificano il quadro ed evitano taluni inconvenienti che talvolta si producono. Ieri ho incontrato tutti i sovrintendenti e i direttori di archivi e biblioteche. È stata una riunione un po’ inedita. Ho ascoltato per quattro ore, come mi pareva doveroso, le loro proposte e i loro suggerimenti. Ho detto loro che, pur nella differenza di competenze, non risulta di agevole comprensione il fatto che talvolta da diversi livelli territoriali dello Stato provengono pareri diversi sullo stesso tema. Credo che una maggiore integrazione possa aiutare a evitare problemi di quel tipo.

Riguardo alla riorganizzazione, vorrei che fossero valorizzati due settori all’interno del Ministero. Il primo è il settore dell’arte e dell’architettura contemporanea. Il nostro è un Paese che, giustamente, per fortuna, ha come compito primario quello della tutela del proprio patrimonio storico e architettonico, tema che richiede, come sapete, strutture e risorse.

Deve anche essere, però, un Paese che guarda al futuro. Una delle forze dell’Italia è proprio quella dei talenti, della creatività, della fantasia. Io credo che sull’arte e sull’architettura contemporanea si debba effettuare un investimento di prospettiva, in particolare con riguardo ai giovani talenti.

In secondo luogo, stiamo lavorando affinché nel Ministero ci possa essere più spazio per le politiche dell’educazione, cioè un’integrazione con il mondo della scuola e con il mondo dell’università. Firmeremo nei prossimi giorni una convenzione con il Ministro Giannini per una prima integrazione di politiche tra le sezioni del MIUR che si occupano di cultura e le sezioni del MiBACT che si occupano di educazione.

Io penso che una delle priorità che dovremmo porci sia l’educazione alla cultura – dovremmo fare tutto ciò che serve nelle scuole –, nonché l’integrazione con l’università sul versante della ricerca. Penso a una maggiore integrazione tra le università e le sovrintendenze, come avviene, ad esempio, nel settore della sanità e, in taluni casi, anche per il CNR.

Nel dettaglio, con riferimento all’arte contemporanea e all’architettura contemporanea, vorrei che l’attenzione del legislatore e del Governo si focalizzasse sul tema delle periferie urbane. Noi siamo molto concentrati sulla tutela dei centri storici, ma la maggior parte degli italiani vive nelle periferie urbane. Non è detto che la pur doverosa scelta di tutela e riqualificazione dei centri storici comporti la rassegnazione a un inesorabile degrado o declino delle periferie urbane.

Le periferie urbane devono essere un grande luogo di riqualificazione in termini di attività, anche per l’architettura contemporanea. Penso che, da questo punto di vista, sia necessario portare avanti un discorso al riguardo con il sistema degli enti locali. Nel corso di un incontro con i sindaci la settimana scorsa, ho preso l’impegno di una permanente collaborazione.

Quando si parla di patrimonio culturale, di offerta museale o turistica, o di attività di questo tipo, per qualsiasi persona di buonsenso, oltre che ovviamente per qualsiasi turista, è coinvolto il sistema pubblico nel suo complesso. Molto spesso, invece, esiste a livello locale una rivalità o una competizione tra la struttura dello Stato e le strutture dei comuni, che francamente è difficile da comprendere. È importante lavorare sul tema delle periferie, che riguarda molto da vicino i comuni.

Ci sono altri due settori trascurati nell’«attenzione» dalle scelte della politica: quello degli archivi e quello delle biblioteche. Tali settori non producono e non possono produrre in alcun modo reddito. Non si vendono biglietti, non si svolgono eventi, se non di alta qualità, e tuttavia sono due settori fondamentali, soprattutto gli archivi, il luogo in cui si conserva la memoria storica di un Paese; essi versano in una situazione drammatica ed il personale ivi impiegato è molto invecchiato: quasi tutti i dipendenti superano i sessant’anni e presto andranno in pensione. Se non si immettono professionalità nuove, non ci sarà nemmeno il tempo necessario per trasferire le competenze tra chi subentra e chi va via.

Esiste poi un grande problema riguardante la digitalizzazione: sul tema non ci sono le competenze specifiche, proprio perché le persone hanno una certa età. Non ho bisogno di ricordare che questo è il settore in cui si conserva la memoria storica di un Paese, che sostiene costi enormi, anche per i numerosi locali che vengono affittati.

Stiamo cercando di lavorare anche su questo. Non vorrei che il Parlamento e il Governo lavorassero soltanto sui settori che fanno notizia, dimenticando gli altri, e non si accorgessero delle situazioni drammatiche troppo tardi per poter recuperare. Vorrei che sui questi temi si accendessero i riflettori.

Allo stesso modo dobbiamo lavorare molto sulle eccellenze. Abbiamo diversi istituti, a cominciare dall’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro, per arrivare all’Opificio delle pietre dure e al Nucleo dei carabinieri per la tutela del patrimonio artistico, che sono punti di eccellenza nel mondo e che arrancano in mezzo a molte difficoltà di reperimento di risorse e di raggiungimento di condizioni di autonomia.

Cito tre settori, in cui si assiste al fenomeno di persone che vengono dall’estero ad acquisire competenze e chiedono che le nostre eccellenze vadano all’estero a fare formazione. Dobbiamo investire sugli elementi di eccellenza.

Uno dei settori su cui bisognerà lavorare è la Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale. È evidente che tutto questo discorso, e soprattutto l’integrazione con il turismo, funziona se ci sono risorse per la promozione e la valorizzazione. Al riguardo voglio affrontare, e mi interesserebbe anche conoscere il vostro parere, il tema delle aperture dei musei e quello della gratuità o meno delle entrate dei musei.

Vorrei che si progredisse verso un sistema europeo, che non preveda un cambio anno per anno delle giornate con ingresso gratuito, ma che individui una giornata mensile di apertura, che elimini i vantaggi legati all’anagrafe per l’ingresso nei musei – che non hanno più una corrispondenza con le reali situazioni reddituali nel nostro Paese – e si inauguri, invece, un sistema come quello francese. In Francia i musei sono aperti la prima domenica del mese e non vige il meccanismo di agevolazioni, che reputo superato. Tutto questo evidentemente deve muoversi in una logica di promozione e di valorizzazione.

Il tema centrale nel dibattito di questi giorni e di queste settimane è il rapporto tra privato e pubblico nel mondo dei beni culturali. È il primo discorso che dobbiamo, credo, avere tutti chiaro. Non è possibile in alcun modo che l’intervento privato, per quanto crescente e importante, si sostituisca al dovere dello Stato di immettere risorse per la tutela del patrimonio. Più il patrimonio è grande, come quello del nostro Paese, più è importante immettere risorse. Il contributo dei privati, però, può essere importante e determinante.

Io vorrei che uscissimo tutti dal dibattito – posso definirlo tardo-ideologico ? – che schiera in modo semplificato e caricaturale i fronti su due posizioni che non sono così distanti: un fronte pensa che tutto il patrimonio pubblico possa essere dissacrato dal contatto con i privati e un altro, altrettanto caricaturale, ritiene che si debba mettere tutto in mano ai privati, che a quel punto riusciranno a trarre profitto dalla gestione del bene pubblico.

Non è così. Questa è una caricatura. Io penso che con il buonsenso si possa intervenire anche nell’ambito della normativa vigente. Ci sono diversi livelli: uno riguarda le sponsorizzazioni, che hanno linee guida e regole già stabilite; un livello più basso, su cui sembra che ci sia da rompere un tabù, riguarda gli atti di liberalità di privati (persone fisiche o imprese), per il recupero e il restauro, secondo le regole di tutela stabilite rigidamente dal pubblico per contribuire al recupero di un bene pubblico.

Ci sono diversi esempi di convenzione, uno dei quali, che ha fatto molto discutere, riguarda il Colosseo. Mi riferisco al contributo per il restauro del Colosseo. Altri due, però, sono contestualmente riconosciuti come un modello positivo possibile: la convenzione per il recupero di Ercolano e la convenzione per il recupero della Piramide a Roma.

Io sto lavorando per costruire una convenzione tipo che recuperi gli aspetti positivi di questi modelli ed eviti che ogni volta che si è in presenza di un atto di liberalità si debba riaprire la discussione su che cosa si concede e che cosa non si concede. A quel punto, si tratta di chiedere – non di accettare – l’intervento dei privati. In questo caso non parliamo di sponsorizzazione. Non c’è utilizzo dell’immagine, non ci sono cartelli, ma non c’è dubbio che ci sia un ritorno: un privato che restaura un grande monumento e che lo fa sapere ha comunque un ritorno d’immagine.

La settimana scorsa si è svolta una conferenza stampa con due società, Telespazio e Selex, del Gruppo Finmeccanica, le quali hanno offerto circa 2 milioni per la rilevazione satellitare di Pompei, per registrarne ogni piccolo movimento, anche di pochi centimetri. Non si prevede nulla di scritto, nessuna pubblicità e nessun utilizzo dell’immagine. È evidente, però, che le società possono comunicare di aver dato un contributo per il recupero di Pompei.

Si tratta, quindi, di atti di liberalità, in merito ai quali vi sono anche esperienze straniere. A fine maggio verrà in Italia il Ministro francese Philippe Petit, che ho incontrato al vertice europeo di due settimane fa. In Francia ha funzionato la legge sul mecenatismo, che prevede grandi incentivi fiscali. Penso che, quando un’esperienza funziona, la possiamo confrontare e accogliere.

Da questo punto di vista, penso a una convenzione che preveda un appello ai privati, chiamati anche per nome e cognome, per far sì che non diventi un alibi il fatto che non vogliamo i contributi. Una volta rotto questo schema, potremo chiamare le grandi imprese italiane e dir loro: «Questa è la lista dei beni monumentali, dalla piccola abbazia al monumento più importante, al Colosseo: scegliete e diteci di sì o di no». Vediamo se c’è una volontà vera o se è un bluff.

Sono favorevole all’introduzione, sulla quale stiamo lavorando, di un meccanismo di agevolazioni fiscali per chi interviene con atti di liberalità nella tutela del patrimonio monumentale. È evidente che l’intervento svolto da un privato – a cui concediamo un importante sgravio fiscale, oltre a far lavorare le imprese, a far recuperare l’IVA e con tutto ciò che concerne il meccanismo degli ecobonus – è un intervento che non sarà svolto dal pubblico, perché gli ecobonus intervengono sul patrimonio privato. Se non lo fa il privato, non lo fa nessuno. Nel nostro caso, se non c’è un contributo privato, comunque prima o poi noi dovremo intervenire, ragion per cui c’è un doppio vantaggio.

Io penso che il completamento di questo disegno, che è da costruire, naturalmente, perché richiede regole e coperture per le quali stiamo lavorando in queste ore, possa essere un ulteriore aiuto per rompere questo tabù e per fare le cose in modo moderno, senza cedere di un millimetro sul principio della tutela dei beni pubblici che appartengono alla collettività.

Stiamo lavorando, però, anche su alcune emergenze. Cito soltanto i titoli, perché immagino che saranno oggetto di domande.

Su Pompei – non voglio rimettere in discussione sempre ciò che è avvenuto prima anche in merito all’assetto organizzativo – si è costruito un equilibrio. Si poteva fare diversamente. Ci sono il Grande progetto Pompei, che ha il compito di spendere e di utilizzare le risorse che provengono dall’Unione europea, e la Sovrintendenza speciale, appena nata, perché scorporata da quella di Napoli, cui compete la gestione ordinaria del sito.
Io non voglio cambiare questo quadro. Sono stati appena nominati a capo delle strutture il generale Nistri, qualche mese fa, e il sovrintendente Osanna, qualche settimana fa. Sto lavorando per un’integrazione totale tra le due strutture, che, pur avendo competenze diverse, non devono sovrapporsi. Abbiamo i riflettori del mondo puntati addosso. Questo non è, come in molti campi, un problema di risorse, ma un problema di strutture, di capacità di fare le gare, di mantenere i termini europei nella trasparenza e nel controllo di legalità per andare avanti nell’utilizzo dei fondi europei per Pompei.

Il secondo tema, che verrà affrontato entro qualche giorno – mi pare giusto menzionarlo perché so che ha anche alimentato molte discussioni preventive – è il tema del diritto d’autore e del provvedimento sulla copia privata. Vorrei dire con molta chiarezza che, finché ci sono le norme di legge, io le devo applicare. Si possono cambiare, ma, finché ci sono, le devo applicare.

Il decreto ministeriale del 30 dicembre 2009 che regola la materia è scaduto nel 2012. Dal 2012 si sarebbero dovute modificare le tariffe, anche rispetto all’evoluzione tecnologica, ma non sono state modificate. Queste tariffe prevedono, in particolare, che su alcuni supporti, come il tablet e lo smartphone, per il diritto di copia privata venga pagato un contributo di 0,90 euro, inferiore rispetto a quello di altri Paesi europei. È un tema complicato. Io ho incontrato le parti, Confindustria digitale e gli autori. Contemporaneamente ci sono i consumatori che mi stanno facendo social bombing. Ho capito che è un esperimento nuovo e, quindi, sono vittima di un esperimento nuovo su cui lo stesso Twitter sta decidendo come comportarsi. La settimana prossima ci sarà un incontro tra le parti che comunque dovrà essere conclusivo. Io non posso non applicare una norma. Sto lavorando perché ci sia una mediazione ragionevole, sapendo che il diritto per copia privata non c’entra nulla con la pirateria, che è un altro tema, né con il download abusivo. Si tratta, peraltro, di un discorso complicato. L’evoluzione tecnologica sta spostando più verso lo streaming e meno verso l’utilizzo del download, ma la norma di legge impone di rivedere le tariffe. Dovremo trovare una soluzione equilibrata.

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