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“Enrico Berlinguer” il libro di Chiara Valentini

A trent’anni dalla drammatica scomparsa, la Camera dei deputati rende omaggio alla memoria di Enrico Berlinguer con una serie di iniziative volte a ricordarne la storia politica. Si colloca in questo solco la presentazione della nuova edizione del libro di Chiara Valentini dal titolo “Berlinguer”, Feltrinelli Editore, una biografia completa e dettagliata, ampliata da interviste e documenti inediti che si aggiunge ai due libri che l’Autrice scrisse poco dopo la morte del famoso politico. Nel suo libro, Chiara Valentini, ne ricostruisce la storia: dall’infanzia ferita da un dramma familiare a un’adolescenza ribelle, all’incontro con i comunisti e con Togliatti, si snodano la vita e la carriera di questo politico diverso.

Berlinguer-ValentiniNell’incontro, svoltosi lo scorso 5 giugno, hanno portato la loro testimonianza, insieme all’Autrice, Gero Grassi, Flavia Piccoli Nardelli, Roberta Agostini Miguel Gotor Emanuele Macaluso, moderati dal giornalista Paolo Franchi.

Pubblichiamo l’intervento dell’on. Flavia Piccoli Nardelli.

«Ringrazio Chiara Valentini per avermi voluto tra coloro che presentano il suo Berlinguer pubblicato a 30 anni dalla morte del Segretario del PCI.

In questi giorni sono relatrice di un provvedimento di legge che cerca di promuovere e far ripartire in Italia la lettura. Mi ha colpito quanto dice Gian Arturo Ferrari in un suo recente volume che ha come titolo “Il libro”. Secondo Ferrari “Indagare, ricercare, discernere e alla fine capire e conoscere. E preservare, salvare”, sono i compiti affidati all’oggetto libro.

Mi sembra un definizione che vale sempre, ma in particolare in questa occasione.

Il libro di Chiara Valentini fa questo: indaga, ricerca, per capire e conoscere e naturalmente per preservare e salvare.

Ed è l’ultima espressione di un costante interesse per la figura di Berlinguer che va fatta risalire già al suo primo libro pubblicato nel 1987 e poi nel 1989, con un introduzione di Spriano.

Contribuisce a rispondere ad una questione che riguarda non solo i politici o gli storici di professione, ma molti italiani di convinzioni politiche diverse, che hanno guardato a Berlinguer con stima ed interesse.

Ancora oggi la sua vita e la sua morte suscitano un rispetto, un interesse che trascende la pur importante valutazione della sua concreta attività politica, e attingono ad un diverso registro, quello dell’esemplarità, cioè quello di una vita vissuta sia nei suoi momenti di successo, sia nelle inevitabili sconfitte, come testimonianza di alcuni valori e convinzioni profonde.

Le immagini di Berlinguer che conclude, già colpito dall’emorragia celebrale che lo ucciderà, il suo ultimo comizio a Padova, nel giugno 1984; quelle della folla commossa per l’ultimo addio nella piazza romana di San Giovanni; il ritornare di molti, anche oggi, ad alcune sue posizioni, testimoniano, come scrive Valentini, del perdurare di un mito, al di là delle appartenenze politiche.

Quello che in parte spiega il perdurare di questa presenza, suggerisce la Valentini, è il fatto che Berlinguer da una parte “ viveva orgogliosamente la politica come impegno morale e come responsabilità verso gli altri”; dall’altra aveva il “coraggio di usare la politica con i suoi rischi e le sue sfide perché così è possibile cambiare i connotati del mondo” (p.10).

La prima parte del libro, che si legge in un fiato, ricostruisce la formazione umana e politica di Berlinguer, dalla ribellione giovanile all’equilibrio raggiunto nei primi anni dell’università, impegni coraggiosi come leader dei giovani comunisti di Sassari.

Per questa prima parte la nostra autrice si serve, come lei stessa racconta, del ricco materiale che le forniscono una serie di interviste. Interviste con persone che hanno frequentato, stimato, forse amato Berlinguer, che comunque lo hanno incrociato nella loro vita e che hanno voglia, una gran voglia di raccontare, di testimoniare: vecchi militanti sassaresi, ex giovani sovversivi, compagni di poker, parenti, autorevoli testimoni politici come Bufalini, Natta, Luciano Barca, ma anche Nilde Iotti e Giovanni Berlinguer, Giancarlo Pajetta ed Antonio Giolitti, Aldo Tortorella e Luigi Pintor, Emanuele Macaluso, Roberto Nucci e Giorgio Napolitano, per ricordare quelli citati.

Ed è sempre materiale di grande fascino “questo” per chi voglia indagare e capire il modo di pensare ma soprattutto di essere di personaggi come Berlinguer.

Per la seconda parte, invece, la dove comincia il percorso politico strutturato di Berlinguer, Valentini utilizza fonti più tradizionali ma non meno importanti: documenti di partito, articoli di giornale, interviste, materiali fondamentali come i verbali della Direzione del PCI diventati ormai di accesso pubblico, informazioni su fatti politici internazionali, ricavati dagli archivi americani ed inglesi, che fanno chiarezza sulle decisioni e gli scontri al vertice del PCI degli anni dal ‘56 all’80.

In questa parte si tiene conto del lavoro degli storici che hanno studiato il contesto in cui si inserisce l’opera di Berlinguer e il suo stesso operato. Parlo dei lavori di Francesco Barbagallo, di Silvio Pons, di Beppe Vacca, solo per citarne alcuni.

Per me sono particolarmente interessanti i suoi primi incarichi ufficiali, anche quello di responsabile del Fronte della Gioventù, quando si impegna per riunire i giovani delle diverse forze dei partiti democratici. Come voi sapete, il Fronte era nato nel 1943 per iniziativa di Giancarlo Pajetta e poi di Eugenio Curiel, e aveva visto un primo investimento del PCI, dopo la svolta di Salerno, per mantenere attraverso i giovani uno stretto collegamento con le altre forze politiche. Interessante quel primo Congresso nazionale del Fronte nel 1946 a Bologna, di cui Berlinguer fu il regista.

Naturalmente, la sua esperienza di segretario della FGCI, ruolo in cui Berlinguer oltre a rilanciare quelle che erano le parole d’ordine del Partito, cioè il patriottismo, il tema della pace, il dialogo, si impegna per diffondere tra i giovani comunisti “un compatto sistema di valori, di regole di vita e di cultura” (p.80).

E poi, non a caso, la scuola delle Frattocchie, che affidata alla sua responsabilità, diventa un modello di formazione politica di quadri, non solo per il PCI, visto che la Camilluccia diventa per la DC uno strumento analogo.

Dal 1956, l’anno del XIX congresso del Partito comunista sovietico, della denuncia dei crimini di Stalin, dell’invasione dell’Ungheria è quello nel quale inizia per Berlinguer un lungo percorso nel quale egli tenterà, come dice Valentini, “la ricerca della quadratura del cerchio tra comunismo e democrazia” (p.119): certamente si tratta dei rapporti con il comunismo sovietico, ma anche della sua attenzione, mai acritica ai movimenti del 1968, al valore con gli anni sempre più grande, che riconobbe al movimento delle donne, ai suoi rapporti con Ercoli/Togliatti ma anche a quello, per me meno noto, con Luigi Longo.

La parte del volume, che analizza la politica di Berlinguer dal 1972, anno nel quale diviene segretario del PCI è quella inevitabilmente più complessa: per molti versi la sua vicenda si intreccia con la storia nazionale e internazionale e con alcuni snodi che ancora oggi sono oggetto di dibattito tra gli storici.

I principali momenti della sua azione politica, dal compromesso storico, al rapporto con Aldo Moro, fino alle elezioni del 1975, quando il PCI arriva al 33 per cento, mi sono noti per altri archivi su cui ho lavorato.

Nel libro di Chiara Valentini la proposta dell’eurocomunismo, la strategia della fermezza durante il rapimento di Moro, fino al 1979, “l’anno delle sconfitte” (p.317), come la nostra Autrice lo chiama, vengono analizzati privilegiando un’ottica biografica, ma con grande attenzione alle complesse vicende della storia della nazione in questi anni.

Le diverse edizioni della biografia della Valentini quella Mondadori (“Il compagno Berlinguer” del 1985, poi ripresa con “Berlinguer il Segretario” nel 1987 e successivamente con “Berlinguer” nel 1989 poi sempre ripubblicati), quella degli Editori Riuniti (“Berlinguer. L’eredità difficile”, nel 2004) e infine la nostra, quella Feltrinelli (“Enrico Berlinguer”, 2014), segnano un percorso interessante anche perché dimostrano la diversa fortuna del personaggio Berlinguer nel corso degli anni e le diverse letture che se ne dà.

Interessante per me, che sono andata a cercare in Biblioteca allo Sturzo le edizioni precedenti a questa, è stato trovare che quella dell’89 – questa – è quella di Giulio Andreotti che riporta in prima pagina le sue note e conserva all’interno l’invito alla presentazione del libro fatta al Circolo di Montecitorio il 18 gennaio del 1988, avvalendosi della presentazione di Flores d’Arcais, di Natta, di Nichols e di Andreotti.

A me sembra si debba dire che Berlinguer in situazioni complesse e a volte irrisolvibili ebbe vivissimo il senso della responsabilità nei confronti del partito e dell’Italia. In una lettera del 1973 a un vecchio compagno di Sassari scrive: “non si può rinunciare alla lotta per cambiare quello che non va. Il difficile, certo, è stare in mezzo alla mischia mantenendo fermo un ideale e non lasciandosi invischiare negli aspetti più o meno deteriori che vi sono in ogni battaglia. Ma alternative non ne esistono” (p.185).

Al di là delle pur utili ricostruzioni del dibattito interno al mondo PCI, che Valentini propone, il valore di questo libro ci sembra, come dicevamo, nell’aver riproposto una ricostruzione biografica, inserita nella storia nazionale, di una delle figure esemplari dell’Italia del secondo dopoguerra.

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