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Istituto Sturzo memorie d’Italia – l’Unità 2-9-13

A colloquio con Flavia Nardelli che per 23 anni ha diretto la struttura

Di STEFANIA MICCOLIS, intervista pubblicata su L’UNITÀ di lunedì 2 settembre 2013

Il doppio ruolo, la doppia responsabilità, la passione e la conoscenza. Tutte doti riunite in una sola persona, Flavia Nardelli, donna caparbia e tenace. Per ventitré anni segretario generale dell’Istituto Luigi Sturzo, che custodisce la storia del popolarismo e del cattolicesimo democratico in Italia a partire dalla fine dell’Ottocento.

Circa ottanta fondi che comprendono archivi personali e archivi di partito per un totale di più di diecimila buste di documenti, da Luigi Sturzo a Giulio Andreotti, da Filippo Meda a Giulio Rodinò e Mario Scelba, da Alcide De Gasperi, a Gronchi a Flaminio Piccoli e Gabriele De Rosa e Scoppola: «C’è il Codice di Camaldoli, ci sono la storia della Democrazia Cristiana e la storia politica d’Italia, ci sono carte di politici e di intellettuali». Fondi che sono stati riordinati e inventariati e parte di loro è già in rete: «Naturalmente per digitalizzarli sono necessarie una scelta autoriale, una logica e un percorso all’interno di ciascun fondo».

Flavia Nardelli è stata eletta nelle liste del Partito Democratico, «Un partito che riconosce regole democratiche di vita interna, che si adopera per un obiettivo comune nel quale io credo molto».

Figlia del doroteo Flaminio Piccoli, la passione politica l’ha respirata in casa da sempre. Il rapporto col padre è stato molto forte e le ha dato «un senso alto della politica». «Il compito di un politico è stabilire le priorità, fare delle scelte e assumersene le responsabilità; con un discorso di fondo che è quello di ascoltare le persone, aiutarle a trovare l’obiettivo da raggiungere cercando di mediare gli interessi dei singoli». Ha deciso di lasciare la carica di segretario generale dell’Istituto, «perché lo Sturzo deve stare sopra le parti», ma continua a seguirlo come membro del consiglio di amministrazione e per il neo impegno nella Commissione cultura, dove in realtà segue tutto il mondo degli archivi e delle biblioteche: «Guardo alla loro evoluzione e li seguo nei rapporti con il Ministero dei beni culturali (Mibac) e con il Ministero dell’università e della ricerca (Miur)».

Conosce il mondo degli istituti a menadito: «Mi sono occupata per anni di Istituti, ne condivido finalità, obiettivi, difficoltà. Stare dall’altra parte, in Commissione, aiuta ad essere di supporto per trovare la strada più giusta».

SISTEMA CONDIVISO
Molti sono stati i risultati ottenuti, ma molti devono ancora arrivare. Grazie alla legge 534/96 voluta da Gabriele De Rosa (presidente dell’Istituto Luigi Sturzo dal 1979 al 2007) e da tutti gli istituti «gli istituti e gli archivi hanno questo punto di forza: affrontano insieme le difficoltà» sono stati stabiliti i termini e i criteri di finanziamento, è stato definito il peso da dare al patrimonio, alla ricerca, ai rapporti internazionali. Un modello che per venti anni ha funzionato: «Insieme, i responsabili delle grandi fondazioni come l’Istituto della Enciclopedia italiana, la Fondazione Gramsci, la Fondazione Basso, la Società Geografica, il Feltrinelli, l’Istituto Sturzo, che si occupano di storia del ‘900 e di beni culturali hanno condiviso uno straordinario progetto, “Archivi del 900”, per salvare i patrimoni archivistici, riordinarli e valorizzarli, cercando di andare al passo con i grandi cambiamenti della cultura italiana».

Ci sono state la scelta di Sbn, il servizio bibliotecario nazionale che unisce oggi cinquemila biblioteche, e di un software condiviso che consente di gestire in modo informatico gli archivi, elaborato direttamente dagli istituti: «Oggi tutte le nuove biblioteche usano Sbn, un sistema che va ripensato, snellito, modificato, ma va mantenuto, perché rappresenta un punto di forza. Anche per i collegamenti che garantisce con i sistemi bibliotecari europei. È stato ed è un progetto di avanguardia».

Gli archivi e le biblioteche fanno di questi istituti i detentori di un patrimonio di inestimabile valore: «La differenza fra questi istituti e le fondazioni politiche nate recentemente è che i primi sono contraddistinti da un percorso fortemente identitario basato su uno straordinario patrimonio di biblioteche e archivi, che mettono a disposizione degli studiosi e di un pubblico di non addetti ai lavori, altrettanto importante», spiega Flavia Nardelli. Lo scorso anno la Direzione Generale del Mibac, che si occupa degli istituti, ha lavorato ad un regolamento attuativo per aggiornare la legge, indubbiamente valida, ma datata perché scritta venti anni fa e che quindi non tiene conto in modo sufficiente della rete e del digitale. «Finora abbiamo lavorato col Ministero dei beni culturali sulla tutela del patrimonio; ora bisogna lavorare per valorizzarlo attraverso il Miur che gestisce la scuola, l’università e la ricerca: se gli insegnanti potessero utilizzare questo materiale, costruire dei percorsi, e ne riconoscessero il valore, sarebbe una vera occasione per la scuola». La legge 6/2000 finanzia con circa cinque milioni di euro progetti di divulgazione della ricerca tecnico scientifica: «La nostra ambizione è che ci sia una cifra uguale che finanzi la ricerca umanistica in Italia».

LA CULTURA UMANISTICA
Il mondo di queste fondazioni rappresenta una grande opportunità per il nostro Paese: «Sono realtà private ma di interesse pubblico e rappresentano un modello che può essere utilizzato al meglio, perché in ambienti di questo genere, piccoli e gestiti bene, riusciamo a sperimentare molto e meglio che su grandi realtà (i grandi progetti di informatizzazione a livello di Ministero sono rischiosi, non ammettono errori). Potremmo vedere quello che funziona e che non funziona, comprendere e decidere come andare avanti sui beni culturali e sulla ricerca in Italia. Potrebbero essere dei mondi interessanti per chi fa ricerca umanistica, dovrebbero diventare la spalla per il mondo accademico, per le università. Gli Istituti sono in grado di rimettersi in gioco, c’è attenzione, desiderio di capire e volontà di non lasciar perdere patrimoni di tale valore, trovando il modo di valorizzarli e di farli vivere».

L’Istituto Luigi Sturzo che ha sede a Palazzo Baldassini, nel centro antico di Roma, è in effetti un esempio da seguire. Nella costruzione dei primi del ‘500, gioiello architettonico affrescato (una miniatura di Palazzo Farnese), ci si perde nelle numerose sale disposte su tre piani, ricoperte da libri e da archivi premurosamente conservati.

Sono evidenti le conquiste ottenute nel corso degli anni senza mollare mai.

Leggi l’intervista in formato .pdf

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