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La cultura come motore di crescita economica del Paese Flavia Piccoli Nardelli

Pubblichiamo il testo dell’intervento dell’On. Flavia Piccoli Nardelli relatrice del provvedimento cd. “del fare”, Decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, discusso in VII Commissione Cultura della Camera il 4 luglio scorso.

La relazione, illustrando puntualmente le luci e le ombre dei singoli articoli del decreto inerenti le tematiche di attinenza della Commissione Cultura, riafferma il principio che la cultura è uno strumento reale di crescita economica, è una risorsa strategica del Paese, non un peso ma uno stimolo, per cui è indispensabile rinnovarne la centralità nelle politiche economiche e sociali nazionali come motore di sviluppo per il superamento della grave crisi economica. 

Camera dei Deputati – XVII Legislatura

Resoconto di giovedì 4 luglio 2013

SEDE CONSULTIVA

Commissioni riunite I e V: Decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” (esame C. 1248 Governo – rel. Piccoli Nardelli)

Flavia PICCOLI NARDELLI, relatore, ricorda che la cornice di riferimento del provvedimento in esame deve essere raccordata con le raccomandazioni rivolte all’Italia dalla Commissione Europea il 29 maggio 2013 nel quadro della procedura di coordinamento delle riforme economiche per la competitività: «semestre europeo» e dovrà essere raccordato con il decreto-legge 28 giugno 2013, n. 75 recante: «Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale…», in discussione al Senato.

Il provvedimento prevede un insieme coordinato di interventi su livelli ed ambiti differenti per sostenere il rilancio dell’economia italiana, tra i quali un ampio e qualificato spettro attiene alle competenze della VII Commissione per ciò che riguarda l’istruzione, l’università e la ricerca, il patrimonio culturale, lo spettacolo e il cinema, lo sport, l’Agenda digitale.

Richiama l’attenzione innanzitutto sulla sottolineatura che da più parti viene posta sul ruolo della cultura per la ripresa dello sviluppo e il superamento della grave crisi economica in cui si trova il Paese e su come questa prospettiva rappresenti un elemento nuovo e importante che il Parlamento, il Governo, le istituzioni di ricerca, le Università e gli istituti culturali debbono saper cogliere e valorizzare. Spetta loro, nei campi diversissimi in cui operano, dimostrare che la cultura rappresenta davvero una leva per invertire rotta, rompere con il clima di depressione e apatia che sta colpendo molte fasce della popolazione, che demotiva i giovani, soprattutto quelli che non vedono valorizzata la loro preparazione e l’investimento fatto nello studio. La cultura, sia nelle specializzazioni avanzate della ricerca e della sperimentazione, sia nelle attività di formazione e diffusione volte ad elevare il capitale sociale di cui l’Italia dispone, è una risorsa strategica per affrontare la crisi. Su queste affermazioni il consenso è oggi ampio, anche se purtroppo non unanime, d’altro canto i riscontri attuali sui Paesi che hanno scelto con decisione e profitto tale strada sono inconfutabili. Non si tratta però di una battaglia vinta in partenza, tutt’altro. Infatti, la costruzione di collegamenti virtuosi tra economia e cultura, investimento e rendimento, reintroduce la retorica negativa del carattere superfluo delle attività culturali e della stessa ricerca quando queste non siano meramente strumentali. Nella misura in cui questo atteggiamento continua a tradursi in senso comune il destino delle istituzioni culturali resterà difficile e precario. Ricorda che mettere al centro della ripresa il settore della cultura, significa promuovere azioni concrete, ed oggi, con l’avvio della discussione del provvedimento in questione, si ha la possibilità di tradurre in una visione unitaria e strategica l’articolato, affinché la cultura sia considerata oltre che imprescindibile per la crescita della società, motore di crescita in termini economici: non un peso ma uno stimolo allo sviluppo. Ritiene che ciò sia possibile, anche nell’immediato, perché la cultura, la ricerca e le loro istituzioni, più di ogni altro soggetto o realtà istituzionale, sono attrezzate per trarre il meglio della rivoluzione tecnologica in atto e per farne uno strumento straordinario di crescita individuale e sociale, di organizzazione della produzione e della vita, di conservazione, diffusione, valorizzazione del patrimonio culturale in tutte le sue espressioni.

Per questo, nell’analizzare il provvedimento, è opportuno sottolineare l’importanza dell’articolo 13, relativo all’agenda digitale, per ora solo una potenziale occasione da cogliere introducendo l’elemento del potenziamento culturale fra quelli di interesse dell’agenda. È questa una proposta che sottopone. Nel caso specifico, la rivoluzione digitale e l’insieme delle tecnologie digitali offrono alle istituzioni culturali un’opportunità senza precedenti storici di democratizzare la cultura e farne uno strumento intelligente di sviluppo sostenibile. Ritiene che la digitalizzazione del patrimonio culturale diventi uno strumento per farlo conoscere, trasmetterlo, utilizzarlo in forme innovative e creative e, in ragione della vastità e varietà dei contenuti; la digitalizzazione costituisce un campo di grande rilevanza nell’innovazione e sperimentazione delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, consentendo un uso creativo, intelligente e diversificato del patrimonio culturale stesso in grado di sostenere lo sviluppo di una industria creativa di qualità coerente con le scelte sottese alla nuova programmazione della ricerca europea (2014-2020). In tale prospettiva, sottolinea come in primo luogo sia utile ed opportuno valorizzare il coordinamento tra le varie autorità competenti in materia ed in particolare le pregresse intese tra il Ministero dell’istruzione, dell’università e la ricerca e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per tutto ciò che attiene alla programmazione e coordinamento della ricerca e dell’innovazione. Sottolinea altresì che il provvedimento in esame affronta nei limiti delle disponibilità economiche, il tema delle risorse umane quale fattore prioritario ed ineludibile per la stessa sopravvivenza dell’intero Sistema Ricerca italiano ed europeo. Evidenzia come la consapevolezza del ruolo e della qualità dei ricercatori italiani ed europei per sostenere la stessa competitività europea non può essere sottesa perché costante riferimento e modo sostanziale di partecipare allo sviluppo del Paese, lungo la linea tracciata dalla strategia di Lisbona e ribadita da Europa 2020. La dimensione internazionale ed europea della ricerca e gli strumenti attuativi per la realizzazione dello Spazio Europeo della Ricerca non possono, infatti, non tener conto dell’attuale sottodimensionamento delle risorse umane, necessarie per mantenere le posizioni di leader della ricerca europea che viene riconosciuto all’Italia.

Ricorda, quindi, che il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia», composto da 86 articoli, contiene almeno una dozzina di articoli direttamente o indirettamente finalizzati allo sviluppo del sistema della cultura, della scuola, della ricerca, dell’università e dello sport. Si tratta, in particolare, dei capi I e III del Titolo I, recante misure per la crescita, nonché dei capi I, III e IV del Titolo II, recante misure per le semplificazioni (artt. 11, 13, 18, 30, 39, 40, 47, 57, 58, 59, 60, 61). Al capo I del Titolo I recante misure per la crescita, entrando nello specifico degli articoli che interessano i lavori della Commissione, osserva che l’articolo 11, proroga per l’anno 2014 i crediti d’imposta per la produzione, la distribuzione e l’esercizio cinematografico previsti dalla legge finanziaria 2008, nel limite massimo di spesa di 45 milioni di euro, metà del contributo concesso in precedenza. La disposizione prevede l’emanazione di un provvedimento dell’Agenzia delle entrate con cui sono dettati i termini e le modalità di fruizione dei crediti di imposta nonché ogni altra disposizione finalizzata a garantire il rispetto del limite massimo di spesa di cui al precedente periodo.

Sottolinea che la proposta mira a prorogare la disciplina del tax credit, la cui scadenza è fissata al 31 dicembre 2013, allo scopo di dare al settore cinematografico, la cui attività è fortemente connotata dalla necessità di programmazione a lunga scadenza, utili e significative certezze, nel presente difficile frangente economico, sul mantenimento di uno strumento di sostegno che ha dato, nei primi anni di attuazione, ottimi risultati, tanto da essere considerato ormai imprescindibile per il cinema italiano e tale da farne un possibile modello per altri settori culturali. Ricorda che, in particolare, sono estesi al periodo d’imposta 2014-2015 i crediti d’imposta previsti dall’articolo 1, commi da 325 a 328 e da 330 a 337, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008). In sostanza, si tratta di un credito di imposta ai soggetti passivi IRPEF e ai titolari di reddito di impresa a fini IRPEF, che non appartengono alla filiera del settore cinematografico ed audiovisivo (cosiddetto tax credit esterno) nella misura del 40 per cento degli apporti in denaro effettuati per la produzione di opere cinematografiche riconosciute di nazionalità italiana di cui all’articolo 5 del decreto legislativo n. 28 del 2004, entro il limite massimo di 1 milione di euro e purché sia rispettato il cosiddetto «requisito di territorialità», con l’obbligo di utilizzare l’80 per cento degli apporti nel territorio nazionale, impiegando manodopera e servizi italiani.

Aggiunge che per le imprese interne alla filiera del cinema (cosiddetto tax credit interno) vengono invece riconosciuti, ai fini delle imposte sui redditi, crediti di imposta differenziati in varie percentuali e con determinati limiti massimi, a seconda che si tratti di imprese di produzione cinematografica, di imprese di distribuzione cinematografica ovvero di imprese di esercizio cinematografico. I suindicati crediti d’imposta, con riferimento alla stessa opera filmica, non sono in ogni caso cumulabili a favore della stessa impresa ovvero delle imprese che facciano parte dello stesso gruppo societario, o ancora di soggetti legati tra loro da un rapporto di partecipazione o controllati anche indirettamente dallo stesso soggetto, secondo le norme civilistiche. Il successivo comma 335 attribuisce, inoltre, un credito d’imposta per spese relative a manodopera italiana: alle imprese di produzione esecutiva e di post-produzione nazionali viene riconosciuto un credito d’imposta, quando utilizzano manodopera italiana, del 25 per cento dei costi di produzione, entro il limite massimo di 5 milioni di euro per ciascun film, su commissione di produzioni estere di pellicole, o loro parti, girate sul territorio nazionale. Le norme attuative di tale agevolazione, da emanarsi con decreto del Ministero per i beni, le attività culturali e il turismo, come previsto al comma 336, sono contenute nel sopra richiamato decreto ministeriale 7 maggio 2009. La disposizione prevede l’emanazione di un provvedimento dell’Agenzia delle entrate con cui sono dettati termini e modalità di fruizione dei crediti di imposta. La relazione tecnica stabilisce un limite massimo di spesa pari a 45 milioni di euro, metà del contributo concesso in precedenza, coperti, come disposto dall’articolo 61, mediante l’aumento dell’aliquota dell’accisa sulla benzina e gasolio.

Evidenzia quindi che il capo II del Titolo I reca misure per il potenziamento dell’agenda digitale italiana. Si sofferma in particolare sulle modifiche previste dall’articolo 13, in materia di governance dell’Agenda digitale Italiana, che trattano temi trasversali poiché attengono alle competenze di una pluralità di autorità – beni culturali, università e ricerca, sviluppo economico, Presidenza del Consiglio, Agenzia per l’Italia Digitale – e alla sua valenza strategica. Auspica che, anzitutto nella governance dell’Agenzia per l’Italia digitale ed in particolare nella cabina di regia, sia previsto – anche di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali e che sia affidato all’Agenzia per l’Italia Digitale – un ruolo di catalizzatore e di sostegno di attività di digitalizzazione e diffusione del “patrimonio culturale” del Paese, promuovendo progetti condivisi e infrastrutture capaci di metterlo a disposizione dei cittadini e della comunità internazionale. In sostanza, così come auspicato dal «Comité des Sages» europeo sulla digitalizzazione del patrimonio culturale europeo, ritiene che dovrebbe essere affidata all’Agenzia per l’Italia digitale la transizione delle istituzioni culturali verso l’era digitale e la ricerca di nuovi ed efficaci modelli imprenditoriali che accelerino la digitalizzazione, attraverso un Piano straordinario di formazione e digitalizzazione del patrimonio culturale nazionale.

Osserva che l’introduzione nel provvedimento in esame di tale prospettiva rappresenta l’occasione per ribadire l’interesse da parte del Parlamento a proporre usi innovativi delle risorse digitali, rilanciando ed innovando i progetti di digitalizzazione verso prodotti capaci di condividere contenuti in modo diretto quanto flessibile che permetta di trasformare le sperimentazioni delle Istituzioni culturali italiane in progetti inclusivi, concreti e coerenti con le azioni previste dall’Agenda digitale europea. Ricorda ancora che l’articolo 13 modifica alcune disposizioni del decreto-legge «semplificazioni» (decreto-legge 5 del 2012) e del decreto-legge «crescita» (decreto-legge n. 83 del 2012) con i quali è stato delineato il quadro complessivo di intervento per l’Agenda digitale italiana. Infatti, al comma 1, si intende modificare la governance della Cabina di regia, mentre il comma 2 prevede modifiche che riguardano la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda. In particolare, le azioni indicate hanno trovato una specificazione per obiettivi nel comma 2-bis, la cui elencazione dalla lettera a) alla lettera i), riempie di contenuti concreti l’attività di coordinamento della cabina di regia, da svolgere nel quadro delle indicazioni dell’agenda digitale europea, che articola in sei gruppi di lavoro i seguenti obiettivi dell’Agenda digitale: infrastrutture e sicurezza; eCommerce; eGovernment Open Data; alfabetizzazione Informatica – competenze digitali; ricerca e innovazione; smart Cities and Communities.

Precisa che l’articolo 13, al comma 1, aggiunge ai componenti della cabina il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. La presidenza della cabina è attribuita al Presidente del Consiglio dei ministri o ad un suo delegato. Oltre ad individuare la composizione, costituita da rappresentanti degli Esecutivi statali, regionali e comunali, il comma 1 disciplina i rapporti tra la cabina di regia e il Parlamento assicurando a quest’ultimo uno strumento conoscitivo sullo stato dell’agenda digitale definito «quadro complessivo» che la cabina di regia presenta al Parlamento, entro novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge, di cui dovrà essere chiarita la forma e di cui dovrà essere ridefinita la collegialità.

L’ultimo periodo del comma 1 stabilisce poi che all’istituzione della cabina di regia si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Il comma 2, lettera b), del medesimo articolo amplia la competenza dell’Agenzia, in quanto sopprime la previsione di salvezza delle funzioni dell’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE) nel supporto allo sviluppo del piano di innovazione nelle istituzioni scolastiche, inserita nel testo previgente. Con specifico riferimento al piano di innovazione nelle istituzioni scolastiche, la Direzione generale per gli Studi, la Statistica e i Sistemi informativi del MIUR, ha avviato un Piano per la scuola digitale. L’articolato non si sofferma su tale tema che appare comunque di particolare importanza per la Commissione.

Sottolinea quindi che al capo III del Titolo I recante misure per il rilancio delle infrastrutture, l’articolo 18, comma 8, in materia di edilizia scolastica, prevede che l’INAIL, nell’ambito del piano di impiego dei fondi disponibili, destini, per il triennio 2014/2016, uno stanziamento di 100 milioni di euro finalizzati ad un piano di riqualificazione degli immobili scolastici (che andrebbe precisato con un emendamento abbia «almeno» tale consistenza) per innalzare il livello di sicurezza degli edifici scolastici, su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri, d’intesa con i Ministeri dell’istruzione, dell’università e della ricerca e delle infrastrutture e dei trasporti. Si tratta dunque di un piano da 300 milioni di euro per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle scuole, in una situazione in cui la responsabilità del settore è molto distribuita, riguarda, infatti, Comuni, Province, Regioni, Stato. Tale intervento è effettuato restando fermo quanto previsto dall’articolo 53, comma 5, del decreto-legge n. 5 del 2012, convertito in legge n. 35 del 2012, che demanda al CIPE, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata, l’approvazione di un Piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici esistenti e di costruzione di nuovi edifici scolastici. Ritiene, dunque, opportuno chiarire il rapporto fra il piano di edilizia scolastica previsto dal comma in esame e i piani previsti dall’articolo 53 del citato decreto-legge n. 5 del 2012.

Ricorda che lo stanziamento deve avvenire nell’ambito degli investimenti immobiliari previsti dal piano di impiego dei fondi disponibili a carico degli enti pubblici e delle persone giuridiche private che gestiscono forme di previdenza e assistenza, di cui all’articolo 65 della legge n. 153 del 1969, che stabilisce che, se non per particolari esigenze di bilancio, la percentuale da destinare agli investimenti immobiliari non può superare il 40 per cento né essere inferiore al 20 per cento dei fondi disponibili. Segnala il rischio che il fondo dell’INAIL possa essere utilizzato solo per la costruzione di nuovi edifici. Appare necessaria una precisazione in merito.

Evidenzia, ancora, l’assenza di una norma che preveda l’esclusione dal patto di stabilità per i comuni delle spese per gli interventi di edilizia scolastica per consentire l’utilizzo virtuoso di risorse già disponibili in bilancio o già assegnate. Ricorda che sono numerosi i Comuni che hanno avuto serie difficoltà a rispettare i vincoli imposti dal Patto di stabilità interno per la necessità di portare a termine lavori di completamento, di ampliamento o di messa in sicurezza delle scuole. Esiste quindi il reale rischio che le risorse indicate – che, considerata l’urgenza degli interventi saranno assegnate direttamente agli enti proprietari degli immobili, Comuni e Province –, non possano essere spese per non incorrere nelle sanzioni imposte dai vincoli del patto. Auspica infine che nel corso dell’esame venga inserito all’interno del provvedimento, che prevede misure per il rilancio delle infrastrutture, il tema di straordinaria importanza relativo alle infrastrutture culturali, attualmente in grande sofferenza. Rileva che è stata inserita una breve analisi dell’articolo 30 anche se di interesse indiretto per la Commissione, in quanto relativo al paesaggio come elemento a pieno titolo parte dell’art. 9 della Costituzione.

Ricorda che al capo I del Titolo II recante misure per la semplificazione amministrativa, l’articolo 30disciplina le semplificazioni in materia di edilizia introducendo al T.U. dell’Edilizia DPR n. 380 del 2001 alcune modifiche. All’art. 3 comma 1 lett. d) che contiene la definizione di ristrutturazione edilizia come ripristino o sostituzione di alcuni elementi costitutivo dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Sono compresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria [e sagoma] di quello preesistente….”nonché quelli volti al ripristino di edifici o parti di essi eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertare la preesistente consistenza”, l’art. 30 sopprime nel testo le parole “e sagoma” e aggiunge il testo tra virgolette. La modifica non è rivolta naturalmente agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del Codice dei beni culturali e il paesaggio.

Una riflessione va fatta sulla soppressione del riferimento alla sagoma, ancorché applicata a beni non culturali, in quanto potrebbe determinare un impatto molto forte sui contesti urbani anche mantenendo ferma la volumetria. È molto differente l’effetto se la volumetria, per esempio, si sviluppa in orizzontale o in verticale; un volume tradotto in un edificio di maggiore estensione di superficie e in minore altezza, impatta con il contesto molto meno di un edificio di ridotta superficie di base e maggiore elevato. La diffusione di interventi di questo tipo, potrebbe cambiare profondamente la configurazione dei luoghi.

Aggiunge che l’articolo 39, recante disposizioni in materia di beni culturali, modifica alcune norme del codice dei beni culturali e del paesaggio. La lettera a), del comma 1 sostituisce all’articolo 106, comma 2 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42 del 2004) la parola «soprintendente» con quella «Ministero», facendo sì che per i beni culturali concessi in uso, presi in consegna al Ministero per i beni e le attività culturali, sia lo stesso Ministero a determinare il canone dovuto e ad adottare il relativo provvedimento, anziché il soprintendente. Naturalmente sostituire il termine Soprintendente con Ministero, se inteso come ufficio centrale, fa venir meno i criteri di decentramento che, senza particolari esiti positivi, hanno fin qui informato le riforme del ministero. La volontà sembra essere quella di rendere più omogenei i comportamenti dell’amministrazione sul territorio nazionale. L’art. 106 del d.lgs. 42/2004 dispone che lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere a singoli richiedenti l’uso dei beni culturali che hanno in consegna, purché per finalità compatibili con la loro destinazione culturale (ad esempio, un immobile può essere concesso ad una università, purché ne faccia sede di conferenze e di studio).

La lettera b) del comma 1 dell’art. 39, che novella i commi 4, 5 e 9 dell’articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio 146, riguarda l’autorizzazione paesaggistica. In particolare prevede la modifica di alcuni commi.

Il comma 4, oltre a riconoscere che l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire, specifica anche che l’autorizzazione è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l’esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione. A tale comma è stato aggiunto alla fine che “qualora i lavori siano iniziati nel quinquennio, l’autorizzazione si considera efficace per tutta la durata degli stessi e, comunque, per un periodo non superiore a 12 mesi”. Va detto che questa interpretazione è stata ormai ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza, per cui l’integrazione non fa che adeguare il testo normativo a ciò che è ormai di interpretazione comune.

Il comma 5 secondo periodo, che, all’esito dell’approvazione delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici nonché della positiva verifica da parte della Regione e del Ministero dell’avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici, ritiene il parere del Soprintendente obbligatorio non vincolante. Mentre fino ad ora, se non reso entro 90 giorni, veniva considerato favorevole, nella nuova versione deve essere reso entro il termine di 45 giorni dalla ricezione degli atti, decorsi i quali l’amministrazione competente (Comune) provvede sulla domanda di autorizzazione. Viene quindi meno il silenzio assenso e nello stesso tempo si riduce il termine dando certezza temporale alla conclusione del procedimento, potendo l’amministrazione procedente provvedere subito sulla domanda di autorizzazione. Va detto che la relazione di accompagnamento parla di sostituzione del concetto di silenzio-assenso con quello di silenzio-diniego, mentre la formulazione della norma non appare così chiara.

Il comma 9 secondo il quale il Soprintendente, nell’ambito della valutazione della compatibilità paesaggistica, esprime il suo parere entro il termine di 45 giorni, decorso il quale l’amministrazione competente nel testo precedente poteva indire una conferenza di servizi con l’obbligo di pronunciarsi entro il termine perentorio di 15 giorni. Nella nuova versione, viene meno il passaggio alla conferenza dei servizi e si riporta semplicemente che “decorso inutilmente il termine di 45 giorni senza che il Soprintendente abbia reso il suo parere, l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione”. La modifica in commento eliminando il ricorso alla conferenza dei servizi conseguentemente riduce il termine (da sessanta a quarantacinque giorni) oltre il quale l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione a prescindere dal suddetto parere. La disposizione è comprensibile, data la necessità di dare certezza di tempi al rilascio dei permessi e autorizzazioni, anche se non si può non considerare che in tutta questa materia la drastica riduzione degli organici delle Soprintendenze, in particolar modo delle figure tecniche, mette sistematicamente in difficoltà gli Istituti ogni volta che si impongono termini perentori.

Illustra quindi l’articolo 40, il quale prevede la possibilità che il ministro per i beni e le attività culturali versi all’entrata del bilancio dello Stato risorse disponibili nei conti di tesoreria delle Soprintendenze dotate di autonomia speciale, per la successiva riassegnazione, a fini di reintegro, allo stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali, in aggiunta agli ordinari stanziamenti di bilancio, per l’attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Fa presente che ciò comporta un’importante razionalizzazione dei fondi del Ministero per i beni e le attività culturali che consentirà al ministro di gestire i fondi non spesi dei diversi comparti, evitando che vadano persi o restituiti al tesoro garantendo così anche la copertura delle emergenze. La norma non comporta oneri a carico delle finanze dello Stato e permette di ottimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili all’interno dell’amministrazione.

Ricorda che le Soprintendenze dotate di autonomia speciale sono: Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei; Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma; Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Venezia e dei comuni della Gronda lagunare; Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Napoli; Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Roma; Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Firenze. Alle Soprintendenze sopra citate si aggiungono l’Istituto superiore per la conservazione ed il restauro, la Biblioteca nazionale centrale di Roma, la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, il Centro per il libro e la lettura, l’Archivio centrale dello Stato per la gestione dei fondi loro assegnati in applicazione dei piani di spesa per la realizzazione di interventi nel settore dei beni culturali.

Sottolinea infine due importanti problemi che andrebbero affrontati con appositi emendamenti: l’eliminazione dall’elenco ISTAT di enti, fondazioni, e istituti assimilati alle amministrazioni pubbliche e quindi sottoposti a tutti i limiti dell’apparato burocratico per salvarne l’autonomia gestionale. Infine il ripristino dei Comitati Tecnici e degli altri organi collegiali del Ministero per consentire il corretto funzionamento del Consiglio superiore dei beni culturali (l’operazione è a costo zero perché non sono previsti nuovi emolumenti se non rimborsi per eventuali missioni).

Ricorda quindi che l’articolo 47, in materia di Fondo per gli impianti sportivi, reca modifiche all’articolo 90 della legge n. 289 del 2002 in relazione al Fondo di garanzia per i mutui relativi alla costruzione, all’ampliamento, all’attrezzatura, al miglioramento o all’acquisto di impianti sportivi. Segnala che si tratta di un mero adeguamento per attualizzare il riferimento all’autorità competente per adottare i criteri in base ai quali dovrà essere gestito il Fondo di garanzia istituito presso l’Istituto di credito sportivo (vigilato dall’Autorità di Governo con la delega allo sport). Prevede che essi siano approvati dal Presidente del Consiglio dei ministri, o dall’autorità di Governo delegato per lo sport, ove nominata. Tale disposizione si rende necessaria alla luce delle continue modifiche della struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri dovute al conferimento delle deleghe ai Ministri senza portafoglio nelle successive compagini governative. L’attuale formulazione “Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport” è stata infatti introdotta nel 2012 quando la delega per lo sport era stata ad esso attribuita.

La successiva lettera b) abroga il comma 15 dell’articolo 90, ai sensi del quale la garanzia prestata dal Fondo è di natura sussidiaria, e si esplica nei limiti e con le modalità stabiliti dal regolamento e opera entro i limiti delle disponibilità del Fondo. La soppressione della garanzia sussidiaria (già eliminata in sede di modifica del comma 12 ad opera del decreto-legge n. 78 del 2012) ha lo scopo di rendere più fruibile l’accesso al fondo di garanzia per il finanziamento per la costruzione di impianti sportivi, per cui continuano a sussistere le ordinarie forme di garanzia. La relazione tecnica afferma che dalla disposizione non derivano effetti finanziari sui saldi di finanza pubblica.

Aggiunge che il capo III del Titolo II reca misure in materia di istruzione, università e ricerca. In particolare, l’articolo 57, concernente interventi straordinari a favore della ricerca per lo sviluppo del Paese, è parzialmente riconducibile al tema del sostegno alle imprese e prevede una serie di finalità volte a favorire lo sviluppo delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale, tramite il sostegno del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Tale sostegno si sostanzia in un contributo alla spesa, nel limite del 50 per cento della quota relativa alla contribuzione a fondo perduto disponibili nel Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR). Tali finalità fanno riferimento, tra l’altro, alla creazione e allo sviluppo di start up innovative e spin-off universitari; al potenziamento del rapporto tra mondo della ricerca pubblica e imprese; al sostegno agli investimenti in ricerca delle piccole e medie imprese, e in particolare delle società nelle quali la maggioranza delle quote o delle azioni del capitale sia posseduta da giovani al di sotto dei 35 anni.

Rileva inoltre che lo stesso articolo prevede il potenziamento del rapporto tra la ricerca pubblica e le imprese, attraverso l’incentivo alla partecipazione del mondo industriale al finanziamento dei corsi di dottorato e assegni di ricerca post-doc; il potenziamento infrastrutturale delle università e degli enti pubblici di ricerca, in linea con il programma Horizon 2020; la valorizzazione di grandi progetti o programmi a medio-lungo termine di partenariato tra imprese e mondo pubblico della ricerca, con l’obiettivo di affrontare le grandi sfide sociali; l’incentivazione dei ricercatori che risultino vincitori di grant europei o di progetti a carico dei fondi PRIN o FIRB; il sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese che partecipano a bandi europei di ricerca.

Sottolinea poi che a causa della grave crisi economica di questi ultimi anni le imprese si sono trovate in grandi difficoltà a utilizzare il finanziamento di progetti di ricerca sotto la forma di mutui/prestiti e di credito agevolato, nonostante le condizioni particolarmente favorevoli sia con riferimento al tempo di restituzione (piano di ammortamento in dieci anni) che al tasso molto agevolato accordato (0,5 per cento). Si rende pertanto necessario un intervento mirato di sostegno alle imprese privilegiando il contributo alla spesa. Ricorda infine che la relazione tecnica specifica che le risorse disponibili sul Fondo FAR, ad oggi, ammontano a 100 milioni di euro, di cui il 12 per cento destinato ai contributi alla spesa e l’88 per cento al credito agevolato. La norma succitata si limita a dare una diversa finalizzazione, per questo non comporta nuovi o maggiori oneri.

Con riferimento all’articolo 58, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo del sistema universitario e degli enti di ricerca, rileva che lo stesso stabilisce alcune disposizioni urgenti per lo sviluppo del sistema universitario e degli enti di ricerca, novellando l’articolo 29, comma 7, della legge n. 240 del 2010.

In particolare, il comma 1 aumenta la facoltà di assumere, sia per le università sia per gli enti di ricerca, elevando, per l’anno 2014, dal 20 per cento al 50 per cento il limite di spesa, previsto dall’articolo 66, commi 13-bis e 14, del decreto-legge n. 112 del 2008, rispetto alle cessazioni del precedente anno. Ricorda come in base al comunicato stampa presente sul sito del Governo, in tal modo «si liberano posti per 1.500 professori ordinari e 1.500 nuovi ricercatori in «tenure track» (di cui all’articolo 24 della legge n. 240 del 2010).

Sottolinea come, pur apprezzando la norma in esame, non si possa nascondere grande preoccupazione per la copertura finanziaria utilizzata, pari a 25 milioni di euro per l’anno 2014 e complessivi 49,8 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015, che riduce drasticamente le risorse per i servizi esternalizzati di pulizia e di servizi ausiliari nelle istituzioni scolastiche. Auspica che in fase di discussione emerga la possibilità di reperire risorse che non vadano a penalizzare i servizi scolastici. Aggiunge che l’articolo 29, comma 7, della legge n. 240 del 2010 ha aggiunto alle due possibilità di chiamata diretta, da parte delle università, di professori ordinari e associati e di ricercatore, già previste dall’articolo 1, comma 9, della legge n. 230 del 2005 (studiosi impegnati all’estero da almeno un triennio in attività di ricerca o insegnamento universitario, che ricoprano una posizione accademica equipollente in istituzioni universitarie estere; studiosi che abbiano già svolto per chiamata diretta autorizzata dal MIUR, nell’ambito del «programma di rientro dei cervelli», un periodo di almeno 3 anni di ricerca e di docenza nelle università italiane e conseguito risultati scientifici congrui rispetto al posto per il quale ne viene proposta la chiamata), una terza possibilità, riferita a studiosi che siano risultati vincitori nell’ambito di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione, finanziati dall’Unione europea o dallo stesso MIUR. I programmi in questione sono stati individuati con decreto ministeriale del MIUR 1 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 256 del 3 novembre 2011. In particolare, l’articolo 2 di questo decreto ministeriale ha disposto che i programmi devono avere una durata almeno triennale e non devono essersi conclusi, al momento della proposta di chiamata, da più di tre anni. Gli articoli 3 e 4 hanno identificato gli specifici programmi finanziati, rispettivamente, dal MIUR e dall’Unione europea, mentre l’articolo 5 ha disposto la revisione del decreto ministeriale ogni due anni.

Ricorda quindi che l’articolo 59, concernente borse di mobilità per gli studenti universitari, prevede un’autorizzazione di spesa di complessivi 17 milioni di euro per gli anni 2013-2015, finalizzata all’erogazione di borse per la mobilità in favore di studenti che intendano iscriversi nell’anno accademico 2013/2014 ad una università che abbia sede in una regione diversa da quella di residenza. Per avere accesso al beneficio è necessario aver conseguito in Italia, nell’anno scolastico 2012/2013, un diploma di istruzione secondaria di secondo grado con voto almeno pari a 95/100. Sono poi individuati ulteriori criteri per l’inserimento nella graduatoria di ammissione al beneficio.

Appare necessario – per il relatore – chiarire se sono inclusi nella possibilità di ricevere le borse di studio per la mobilità gli studenti che si iscrivano ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico in scienze della formazione primaria e ai corsi della classe di laurea magistrale a ciclo unico in conservazione e restauro dei beni culturali che non rientrano nel modello 3+2 previsti per gli altri corsi di laurea. Specifica che le condizioni economiche dello studente sono individuate sulla base dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) e che il criterio logistico attiene alla distanza fra la sede di residenza dello studente e la sede dell’università alla quale questi intende iscriversi. In base ai commi 2 e 4, le risorse sono suddivise fra le regioni con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentita la Conferenza Stato-regioni. Ogni regione elabora una graduatoria per le università site nel suo territorio ed attribuisce le borse fino ad esaurimento delle risorse spettanti. Sottolinea a tale proposito che le graduatorie sono comunicate al MIUR che, in base al comma 8, assegna le somme direttamente all’università presso la quale lo studente è iscritto, all’atto della sua effettiva immatricolazione. L’università provvede poi all’erogazione a favore dello studente. Ricorda come con riferimento alla formazione della graduatoria, il comma 4 dispone, inoltre, che, in caso di parità di punteggio, prevale, nell’ordine, il candidato che presenta un punteggio più alto relativo al criterio afferente alla condizione economica, quindi alla distanza fra la sede di residenza e quella dell’università prescelta e, infine, al voto conseguito nell’esame di Stato. Peraltro, la definizione dei punteggi e delle modalità di attribuzione degli stessi per ciascuno dei criteri individuati dal comma 3 non è esplicitamente prevista dal provvedimento. Infatti, il comma 5 prevede che con un decreto interministeriale MIUR-MEF, da adottare, sentita la Conferenza Stato-regioni, entro il 30 luglio 2013, sono definiti «ulteriori criteri per la formazione della graduatoria».

Reputa, dunque, opportuno chiarire se con l’espressione utilizzata si intenda fare riferimento anche all’aspetto indicato. Ricorda come allo stesso decreto è demandata, altresì, la definizione dell’importo delle borse di mobilità (che, secondo la relazione tecnica, potrebbe essere differenziato per regione, in rapporto ai costi del territorio) e le modalità di presentazione delle domande da parte degli studenti, per via telematica. Con riferimento al decreto previsto al comma 5, evidenzia, inoltre, che il termine previsto per la sua emanazione – 30 luglio 2013 – potrebbe essere antecedente alla data di conversione in legge del decreto-legge in esame e, dunque, esso potrebbe essere emanato senza tener conto delle modifiche eventualmente apportate nel corso dell’esame parlamentare. Il comma 7 dispone che le borse di mobilità sono cumulabili con le borse di studio assegnate ai sensi del decreto legislativo 68 del 2012. Ricorda come il provvedimento ipotizza un importo della borsa di mobilità individuale pari a 5.000 euro in base al quale la somma di 5 milioni consentirebbe di finanziare la borsa per 1.000 studenti. Ribadisce poi che all’onere derivante dall’attuazione dell’intervento previsto, si provvede mediante l’utilizzo delle risorse concernenti l’autorizzazione di spesa relativa agli interventi per il merito. Tali risorse sono mantenute in bilancio per essere versate all’entrata del bilancio dello Stato per i corrispondenti importi autorizzati.

Con riferimento all’articolo 60 recante semplificazione del sistema di finanziamento delle università e delle procedure di valutazione del sistema universitario ricorda che esso dispone che, a decorrere dal 2014, nel Fondo di finanziamento ordinario delle università statali e nel contributo alle università non statali legalmente riconosciute confluiscono le risorse attualmente destinate alla programmazione dello sviluppo del sistema universitario, alle borse di studio post laurea, nonché al Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti. Rinvia alla documentazione predisposta dagli uffici per gli approfondimenti relativi a tale norma. Ricorda che per l’anno 2014, si prevede uno stanziamento di 72,2 milioni di euro per il fondo indicato. Aggiunge inoltre che si dispone che il sistema di valutazione delle attività amministrative delle università e di 12 enti di ricerca vigilati dal MIUR venga svolto dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR). In base al comma 3, l’ANVUR deve svolgere le funzioni indicate al comma 2 utilizzando le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Sottolinea come in relazione alla formulazione letterale utilizzata, appare opportuno chiarire se restano ferme le attività di valutazione della gestione amministrativa affidate ai nuclei di valutazione interna degli atenei. In merito ai profili di copertura finanziaria, segnala che il comma 1 prevede la semplificazione e il riordino del sistema di finanziamento delle università mediante una riallocazione delle risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

Ricorda, infine, che l’articolo 61 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle disposizioni considerate e rinvia alla documentazione predisposta dagli uffici al riguardo. Si riserva quindi di presentare una proposta di parere nel seguito dell’esame.

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