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La digitalizzazione culturale: opportunità di crescita sociale ed economica

In occasione della presentazione del report di fine mandato del Corecom Trentino, presso la facoltà di Sociologia dell’Università di Trento, si è tenuta la tavola rotonda intitolata «Dalla rete all’impresa. Innovazione e nuovi media, la possibilità di accesso e il ruolo locale», una interessante riflessione sul tema del digitale applicato alla cultura e sulle opportunità e sfide offerte nel settore dai nuovi strumenti di comunicazione.

È stata un’occasione preziosa perché intercetta alcuni dei temi all’ordine del giorno dei lavori parlamentari della Commissione Cultura alla Camera dei Deputati. Infatti, ci siamo occupati in questi giorni di recepire la direttiva europea sui diritti connessi che prevede a breve una revisione generale della normativa. È questa una direttiva che mira fattivamente a liberare risorse creative facilitando l’accesso e l’utilizzo di materiali fino ad ora “coperti”.

Anche perché sulla digitalizzazione dei contenuti culturali l’Italia si trova ad un bivio: «dobbiamo decidere se fungere esclusivamente da content provider, oppure diventare protagonisti della nostra cultura»

Di seguito l’intervento svolto dall’On. Flavia Piccoli Nardelli alla Tavola Rotonda «Dalla rete all’impresa. Innovazione e nuovi media, la possibilità di accesso e il ruolo locale»

Venerdì 17 gennaio 2014 

Aula “Bruno Kessler” – Facoltà di Sociologia, Università Trento – Via Verdi, 26

Intervento a cura dell’On. Flavia Piccoli Nardelli

Ringrazio Enrico Paissan, a cui mi lega un’antica ed affettuosa amicizia, e gli organizzatori del Seminario «Dalla rete all’impresa. Innovazione e nuovi media, la possibilità di accesso e il ruolo locale», che si tiene all’Università di Trento, per me particolarmente interessante, perché intercetta alcuni dei temi che mi stanno a cuore e che seguo per il mio lavoro.

L’occasione è il report di fine mandato di Enrico Paissan, Presidente del Corecom Trentino. Ciò mi impone di spiegare il senso del mio intervento. Il mio orizzonte è quello della Commissione Cultura della Camera di cui faccio parte dall’inizio di questa legislatura.

Rete-impresaLa Commissione, come voi sapete, si occupa di scuola, università, ricerca, cultura e comunicazione. Quindi temi fortemente connessi fra loro e che in questo momento rappresentano alcune delle priorità all’ordine del giorno del Paese.

Enrico Letta, nel suo discorso di insediamento alla Camera nell’aprile dello scorso anno, e Giorgio Napolitano, nel suo intervento tante volte ripreso agli Stati Generali della Cultura, ma anche in quello di agosto 2013, in occasione della nomina dei nuovi Senatori a vita, hanno ribadito con forza come le istituzioni ed i lavoratori della cultura costituiscano, al pari di monumenti e paesaggi, una ricchezza che il nostro Paese deve sostenere non solo per ragioni culturali ma anche sociali ed economiche.

Le Commissioni Cultura di Camera e Senato se ne sono fatte carico a ottobre con il decreto legge sul “Valore della cultura”, a novembre con il decreto legge “La scuola riparte” e, tre giorni fa, con l’approvazione della proposta di legge sul riconoscimento delle professioni culturali e il loro inserimento nel Codice dei Beni Culturali.

Le Commissioni devono tener conto di due diversi orizzonti di riferimento: quello della legislazione europea e le norme che via via produce e che vanno recepite, e quello del titolo V della Costituzione, che vede il potere centrale sempre più di coordinamento e di indirizzo e che affida valorizzazione e promozione ai territori.

La recente risoluzione sull’editoria presentata in Commissione Cultura dall’on. Sandra Zampa ricorda come «la persistenza nel nostro Paese della congiuntura economica sfavorevole ha esposto il sistema editoriale italiano ad una condizione di crisi profonda, acuita dalla peculiare condizione del mercato dei media, investito dalle trasformazioni legate alla diffusione degli strumenti più innovativi di fruizione multimediale dei contenuti»… «Nel quinquennio 2007-2012 le vendite di giornali sono diminuite del 22 %, con una caduta che in numeri assoluti corrisponde a circa un milione di copie vendute al giorno» … «Alla forte perdita di ricavi ha concorso anche l’incontrollata diffusione di contenuti editoriali sul web, imponendo la ricerca di strumenti che, senza pregiudicare la libertà della rete, assicurino una efficace e selettiva tutela del diritto d’autore online» … «La Commissione considera quindi che le imprese editoriali debbano poter investire maggiori risorse nella digitalizzazione e nell’innovazione tecnologica, in modo da realizzare una migliore integrazione tra prodotti cartacei e prodotti digitali o tra prodotti digitali stessi, recuperando così concorrenzialità rispetto alle tendenze del mercato e del pubblico più giovane» … «Impegna quindi il governo ad avviare un processo di riforma e di adeguamento della disciplina per l’editoria digitale, definendo il prodotto digitale anche nel settore radiotelevisivo, e ad avviare un processo di riforma e di adeguamento della disciplina del diritto d’autore e dei diritti connessi …».

Tutte tematiche che abbiamo visto ben presenti nel seminario di oggi.

Il termine “dematerializzazione” è entrato a far parte del linguaggio tecnico e del lessico giuridico. La progressiva perdita di consistenza fisica del patrimonio documentale è andata di pari passo con la sua sostituzione informatica.

Un processo che segue la tendenza, ormai generale, all’uso degli strumenti dell’information and communication technology in ogni settore dell’agire umano e della vita delle istituzioni.

Questo costringe ad una mutazione della mentalità, non si tratta tanto di tecnologie, ma di “cultura”. Importanti e documentati studi condotti in Germania con la collaborazione di diversi centri di ricerca nel settore delle neuroscienze indicano con chiarezza che l’approccio agli strumenti di condivisione necessita una cultura di base maggiore di quella necessaria prima, per questo tutto il settore dell’istruzione e della formazione deve tenerne conto. Prima di tutto la politica culturale, che deve guidare, indirizzare e coordinare le scelte in un quadro di azione Europeo.

L’avvento del digitale e la rapida evoluzione dei modelli di business, legati alla moderna tecnologia, hanno evidenziato la necessità di rivedere profondamente la normativa in vigore in materia di diritti d’autore.

La Commissione Cultura si è occupata in questi giorni di recepire la direttiva europea sui diritti connessi che prevede a breve una revisione generale della normativa. È necessario assicurare una gestione collettiva dei diritti più efficace, accurata, trasparente e responsabile. Occorre che il diritto d’autore sia in equilibrio con il diritto ad essere informati e a poter raggiungere le fonti di informazione.

Per garantire un’adeguata prestazione di servizi, che consenta l’utilizzo di opere o altri materiali protetti dai diritti d’autore e dai diritti connessi nel mercato interno, le società di gestione collettiva dovranno essere indotte a modificare il loro modus operandi a beneficio dei creativi, dei portatori di servizi, dei consumatori e dell’economia europea nel suo insieme. La creatività si avvia a diventare il nuovo diritto di cittadinanza, l’integrazione di culture, il superamento delle barriere storiche e ideologiche.

Le risorse economiche per la cultura verranno per il futuro dalla Comunità Europea.

I nuovi progetti, Horizon 2020 ed Europa Creativa, di cui sono già usciti i primi bandi – i secondi sono previsti per febbraio marzo prossimo – ci impongono però non più la tutela, il riordino e la valorizzazione del bene culturale, ma ci chiedono di produrre cultura.

È una modifica sostanziale che cambia completamente il quadro di riferimento e che è tutt’altro che indolore. Significa infatti mettere a disposizione i dati dei nostri archivi, delle biblioteche, dei musei, di cui è così ricco il nostro mondo, alle imprese che a vario titolo producono cultura.

L’obiettivo, come sappiamo, non è quello di distribuire risorse, ma di mettere a disposizione il sapere custodito nelle Accademie affinché ne possa beneficiare l’industria creativa tutta. Così come accade negli altri Paesi europei.

Il mondo italiano della cultura è fatto di realtà spesso piccole ed impreparate ad affrontare, senza le dovute strutture e senza adeguate consulenze, i bandi stessi. Troppo spesso in Italia l’aspetto creativo è confuso con quello esecutivo, questo mortifica la progettazione in favore di quello che è maggiormente misurabile sul piano burocratico. Questo è il primo dei cambiamenti di mentalità cui deve abituarsi la politica e gli amministratori.

Per questo nel decreto “Valore della cultura” al comma 9 dell’art. 8 è prevista l’attivazione di un tavolo Miur – Mibact che segua Europa Creativa aiutando le piccole imprese e i diversi attori. Non sono ancora pronti i regolamenti attuativi e stiamo insistendo perché si acceleri il processo.

Un altro elemento da considerare è l’attenzione dovuta a tutto il sistema delle imprese culturali nazionali, che gravita sulla piattaforma tecnologica del Cultural Heritage, e che ha bisogno di disegnare una politica industriale in cui innovazione e nuovi modelli di fruizione sono fattori essenziali.

I problemi che si frappongono al raggiungimento di questo obiettivo sono noti: dalla difficoltà di far passare leggi che aprano all’uso del nostro patrimonio in rete, al superamento della parcellizzazione dei saperi e delle risorse.

Per il primo tema, relativo all’apertura all’uso del nostro patrimonio culturale, vale la pena ricordare che è stata recepita recentemente la normativa europea sugli open data. Si prevede per la prima volta l’apertura obbligatoria di biblioteche archivi e musei i cui dati debbono essere messi a disposizione dell’impresa culturale.

In particolare, la norma recepita interviene in materia di riutilizzo dell’informazione nel settore pubblico, attraverso la modifica della cosiddetta direttiva PSI (Public Sector Information), con la finalità di favorire il riuso dei dati delle pubbliche amministrazioni dell’Unione europea. La nuova direttiva PSI, salvo eccezioni specifiche, rende ora obbligatorio per gli enti pubblici, istituzioni culturali comprese (biblioteche, anche quelle universitarie, musei e archivi), di rendere riutilizzabili tutte le informazioni in loro possesso, sia per scopi commerciali sia per scopi non commerciali, a condizione che le informazioni non siano escluse dal diritto di accesso ai sensi del diritto nazionale e in conformità alla normativa sulla protezione dei dati.

L’obiettivo è quello di agevolare la creazione di prodotti e servizi a contenuto informativo estesi all’intera Unione basati su documenti del settore pubblico, andando verso una totale condivisione del patrimonio culturale europeo, in particolare grazie all’apertura dei dati nelle tre istituzioni cardine di questa Direttiva: biblioteche, musei e archivi.

In questo senso una prima risposta che vede protagonista questo territorio è la scadenza della commemorazione della grande guerra. Una occasione privilegiata per celebrarne i valori nazionali e per una riflessione sulla letteratura, sulla poesia, sulla cultura nazionale che un momento difficile e drammatico ha significato. Una guerra non si celebra, i valori che al suo interno sono rimasti nella nazione si commemorano e sarà la creatività a trasformare documenti e riflessioni storiche in un una cultura condivisa e consapevole.

Siamo in ritardo sulle tecnologie che sono patrimonio di altre aree del pianeta, ma esiste nel mondo dell’industria creativa legata al patrimonio culturale un’occasione che non possiamo perdere. Quella del racconto, dei linguaggi di interpretazione e narrazione. Il nostro Paese è all’avanguardia in questo settore, non fosse altro per l’enorme quantità di patrimonio culturale disponibile che oggi diventi l’occasione e lo spunto per “interpretare il mondo contemporaneo per i nostri figli e le giovani generazioni. La grande guerra è una occasione da non perdere.

Questo Seminario conferma che, l’Italia ha due strade davanti a sè: o restare mero fornitore di materia prima culturale, che sarà utilizzata da soggetti non italiani per creare valore a beneficio di altre economie, oppure essere protagonisti nel creare valore aggiunto in tutte le forme rese possibili dall’incontro di un patrimonio senza uguali con le potenzialità delle tecnologie informatico-digitali.

Come dice Aldo di Russo in un importante articolo pubblicato domenica scorsa sul Sole 24 Ore: «…La British Library ha messo in rete un milione di immagini libere da diritti derivanti dal programma di digitalizzazione del patrimonio culturale che la stessa Unione Europea ha finanziato negli anni passati. Lo aveva già fatto l’Olanda, le immagini erano 125mila e provenivano dal Rijksmuseum, con l’inclusione dei grandi capolavori di Rembrandt e Vermeer. Per capire come sia diverso l’approccio europeo da quello italiano osserviamo che, nel dare la notizia, tanto gli olandesi quanto i britannici, hanno usato espressioni simili a proposito dello scopo per cui la digitalizzazione e la messa a disposizione del pubblico è stata fatta: …for anyone to use, remix and repurpose.

Che la digitalizzazione permetta di mettere a disposizione i documenti in modo semplice è ovvio, lo scopo comune dei due musei europei, però, contiene due azioni ulteriori al semplice “usarli” che sono sconosciute da noi. Remix: è una tipica espressione nel gergo musicale. … Sembra di capire che la possibilità di una manipolazione delle immagini che i due musei mettono a disposizione del mondo, sia addirittura uno degli scopi per cui sono state digitalizzate. Ma c’è di più, repurpose contiene la radice di «scopo ultimo», «destinazione d’uso», «intenzione», sembra che la modificazione della destinazione d’uso di una immagine, l’inserimento all’interno di una storia diversa da quella per la quale sia stata creata, la sua alterazione o animazione, sia un altro degli scopi dichiarati».

Questo seminario è una occasione privilegiata per delineare le future strategie in questo campo.

Come ho detto anche in altre occasioni questo seminario conferma che il Trentino, fornito più di ogni altro territorio nel nostro Paese delle infrastrutture digitali di base, dalla banda larga a quanto altro necessario, è in grado di sviluppare comportamenti virtuosi che servano da modello ad altre realtà territoriali e potrebbe diventare un paradigma nazionale, un caso di studio e di ricerca.

Dunque non un Trentino ingiustamente privilegiato, ma un territorio che ha saputo fare di questi privilegi, duramente conquistati, un laboratorio, occasione di crescita per tutta la Nazione.

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