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Per una storia delle culture costituzionali nell’Italia repubblicana

Solo le tradizioni culturali sono in grado di dare solidità e credibilità alle novità politiche: è un punto su cui avvenimenti recenti ed esperienze consolidate sembrano convergere. Le culture politiche affondano le loro radici migliori, quelle degne di essere salvaguardate, nelle carte e nei centri studi che le conservano, attraverso il continuo, faticoso e costoso aggiornamento degli strumenti ad esse dedicati. Una delle manifestazioni della crisi di legittimazione della politica è, non a caso, la quasi totale cancellazione, nella sfera pubblica, proprio del suo profilo storico: il più nobile, austero e – carte alla mano – fondato.

Il giudizio sommario cui vengono talora sottoposti i partiti , rischia di travolgere tutta la nostra storia costituzionale: ma ad essere messa a rischio, per questa via, è l’identità stessa dell’Italia repubblicana. Si tratta allora di mettere in opera dispositivi capaci di mettere in sicurezza le fonti della nostra identità, riaffidandoci alla memoria proprio per ripartire con un progetto nuovo.
Quanto più inedito vogliamo che sia il nuovo, tanto più è necessario portarsi dietro il meglio della propria tradizione, scegliendo e «salvando» quel passato che ci fa essere ciò che siamo nel presente. È questo l’obiettivo che si propone la proposta di legge sull’istituzione di un Istituto per la storia politica della Repubblica italiana (AC 837), presentata alla Camera il 23 aprile 2013, a firma dei deputati Piccoli Nardelli, Galan, Coscia, Bazoli, Fratoianni, Adornato, Capua, Orfini, Centemero, Gelli, Preziosi, Fregolent, Tabacci, Santerini. La finalità del testo è di mettere in sicurezza archivi la cui conservazione è fondamentale per la memoria storica delle culture politiche che hanno caratterizzato il ‘900 italiano.

La proposta di legge era stata presentata nella XVI legislatura a firma De Biase, Mantini ed altri, ma non avendo completato l’iter di approvazione, è stata opportunamente ripresa in questa legislatura. È inutile dire che senza gli archivi di Einaudi, di Sturzo, di Gramsci, di Turati, di De Gasperi, di Matteotti, senza gli archivi della destra, del partito Socialista, del partito Popolare, della D.C., del P.C.I., scrivere la storia dell’ultimo secolo del nostro Paese sarebbe pressoché impossibile. Come noto, si tratta di archivi dichiarati di interesse storico nazionale che sono custoditi in fondazioni private perché sono parte essenziale di un patrimonio plurimo che comprende grandi biblioteche, moltissimo materiale grigio, moltissimo materiale fotografico e multimediale, che solo nella loro complementarietà consentono di contestualizzare cento anni di storia italiana e di mettere a fuoco le identità delle diverse culture politiche. Gli istituti che conservano gli archivi da anni lavorano insieme per riordinare con criteri univoci l’enorme materiale conservato.

Non hanno mai avuto contributi dai partiti per questo lavoro. Partecipano a progetti di ricerca, godono di un contributo del MIBAC per i servizi di apertura di biblioteche di archivi, definito da una tabella triennale in base alla legge 534/96, negli ultimi dieci anni decurtata del 40% circa. La ratio della legge proposta è quella di trovare un coordinamento virtuale che consenta di lasciare gli archivi la dove sono depositati e studiati, ma che aiuti la digitalizzazione e la valorizzazione di questa riserva straordinaria di fonti per il Paese, attraverso un coordinamento comune e con la garanzia di un Comitato Scientifico di alto livello che si faccia promotore di ricerche su progetti europei e di borse di studio per i ricercatori.

Non dunque un nuovo super istituto, ma una modalità nuova di gestire insieme dei patrimoni che costituiscono la ricchezza identitaria del Paese. Si tratta di mettere insieme gli archivi degli Istituti privati, il patrimonio posseduto dagli Archivi di Stato, quello della documentazione del partito Radicale per farne uno straordinario deposito di fonti. Inutile aggiungere che naturalmente tutte le cariche sono gratuite, che le risorse pubbliche eventualmente disponibili, previste sui fondi della presidenza del consiglio dei ministri, sono da investire in lavoro di digitalizzazione, che il personale impiegato proviene da enti e università nazionali e stranieri autorizzato a prestare servizio sulla base di convenzioni, senza oneri di spese. È evidente che questo lavoro comune, iniziato molti anni fa dagli Istituti, ha un obiettivo preciso: quello di educare alla cittadinanza, aprendosi alla scuola in un rapporto virtuoso che porta a vedere nel MIUR il referente più importante, tanto che gli è affidato il compito di tutela.

Educare alla cittadinanza italiana ed europea significa anche educare ad un corretto rapporto tra rappresentati e rappresentanti, poiché l’esercizio contemporaneo della cittadinanza non può che strutturarsi nella dimensione mista della democrazia della rete e della rappresentanza parlamentare, nazionale ed europea.

Va aggiunto solo che gli Istituti citati nel testo della proposta di legge rappresentato un elenco aperto che va integrato con quelli delle altre fondazioni che hanno patrimoni complementari. La riflessione in merito a questi temi nasce dai contributi di Gabriella Bonacchi, Giancarlo Monina, Beppe Vacca, Silvio Pons, Flavia Nardelli, Chiara Daniele, Giuseppe Parlato e di tutti gli amici che si occupano di archivi e di fondazioni.

Leggi la proposta di legge «Istituzione e disciplina dell’Istituto per la storia politica della Repubblica italiana» (AC 837)

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