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Professionisti dei beni culturali: via libera alla istituzione degli elenchi nazionali

Siamo molto soddisfatti per l’approvazione della legge che istituisce gli elenchi dei professionisti dei beni culturali, settore che è strategico per il futuro del nostro Paese.

Si tratta di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali, storici dell’arte a cui affidare gli interventi operativi di tutela, protezione, conservazione, valorizzazione e fruizione dei beni culturali. Tutte queste professioni non sono organizzate in ordini o collegi e sono state fino ad oggi prive di tutele.

È questo il principio che si chiede sia riconosciuto con la proposta di legge presentata dai parlamentari del Partito Democratico in Commissione Cultura alla Camera, in cui si chiede che siano attestate e certificate nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio il ruolo, le competenze e la qualificazione dei professionisti dei beni culturali.

Questi professionisti, che svolgono un lavoro di rilevante interesse pubblico poiché presidiano fattivamente l’articolo 9 della nostra Costituzione, attendono che sia riconosciuto il loro ruolo lavorativo, economico e culturale, attualmente mortificato da condizioni lavorative difficoltose, in un mercato sofferente, dove la domanda pubblica di interventi è sempre più ridotta.

Siamo consapevoli che l’approvazione della proposta di legge non rappresenterà la soluzione a tutti i problemi che i professionisti dei beni culturali hanno denunciato, ma è un atto necessario per orientare nella direzione giusta le future politiche per il patrimonio e per la buona occupazione nel settore dei beni culturali.

Di seguito il testo del mio intervento svolto in Aula nella discussione generale della proposta di legge.

CAMERA DEI DEPUTATI – XVII LEGISLATURA
Lunedì 13 gennaio 2014 – Ore 11
Discussione della proposta di legge: MADIA ed altri: Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di professioni dei beni culturali. (C. 362-A)

Relazione a cura dell’On. Flavia Piccoli Nardelli

Signor Presidente, On.li Colleghi, la proposta di legge che oggi è in discussione (DL 362-A) va a colmare un vuoto normativo intervenendo sul decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il c.d. “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (ai sensi dell’art. 10 L. 6 luglio 2002, n. 137), attraverso un emendamento che riconosce il ruolo e la qualificazione dei professionisti che operano nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio culturale.

L’approvazione della proposta di legge è di grande importanza per le figure professionali che operano nel campo dei beni culturali. Infatti, rappresenta un primo passo verso forme di attestazione e certificazione della professionalità che favoriranno qualità e responsabilità nel settore.

La legge arriva in ritardo e disciplina l’esistente ma presenta indubbi punti di forza: contribuisce a mettere ordine in settori in cui serve chiarezza e offre certezze ad un gran numero di operatori del settore. Considera professionisti diversi per tipologie di lavoro, conservatori tutti, a vario titolo, della memoria del Paese, favorendo lo spirito di collaborazione fra loro e dissuadendo da separazioni verticali per incoraggiare il lavoro comune.

Considera profili quali: archeologi, storici dell’arte, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi che svolgono attività per le istituzioni di tutela dello stato e per gli enti pubblici territoriali, ma anche per privati. Sul piano identitario le professionalità che afferiscono a tale area strategica si sono moltiplicate nel corso degli ultimi anni, connotandosi di specificità culturali e tecnico-scientifiche in continuo aggiornamento.

La legge si sofferma anche sul tipo di interventi richiesti. Parla di “tutela, vigilanza, ispezione, protezione, conservazione e fruizione dei beni cultuali”. Ci sembra importante l’inserimento tra gli interventi regolamentati anche quello della fruizione, un’area professionale importantissima che ha assunto una dimensione di grande interesse sotto il profilo dell’occupazione dei giovani di formazione umanistica.

Una manifestazione che raccoglieva le sigle di otre 40 associazioni professionali ha manifestato due giorni orsono a Roma rivendicando il “riconoscimento pubblico dei profili, delle competenze e della dignità dei professionisti dei beni culturali”.

I manifestanti chiedevano l’approvazione della legge in discussione. Occorre, secondo loro, riconoscere nel codice dei beni culturali e del paesaggio “il ruolo, le competenze e le qualifiche di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi, esperti di diagnostica applicata ai beni culturali, storici dell’arte”. È esattamente l’obiettivo che intendiamo raggiungere con l’approvazione della proposta di legge 362 del 20 marzo 2013: garantire maggiore qualità e responsabilità degli operatori sostenendo, al contempo, l’occupabilità, ma in una prospettiva di sviluppo del settore e in un corretto rapporto pubblico-privato”.

La protesta – on.li Colleghi – rivendicava anche altre misure a sostegno dei professionisti del settore, provvedimenti sulla cui urgenza concordiamo, come la previsione di un nuovo concorso pubblico per i profili professionali tecnico-scientifici che sia in grado di premiare competenze e merito, visto che gli organici del MIBACT sono di gran lunga sottodimensionati nei propri numeri e in assenza di nuove assunzioni da qui a pochi anni non riusciranno a garantire un livello adeguato di tutela.

Infine, i manifestanti chiedevano anche la riformulazione del bando “500 giovani per la cultura” previsto dal decreto “Valore della Cultura”.

Vorrei dire che questo Parlamento ha visto in quella proposta l’opportunità di una sperimentazione rispetto alle richieste che emergono di nuove professionalità legate al digitale piuttosto che una forma di ulteriore precariato come è stato da alcuni interpretato. Invitiamo il ministro ad una ulteriore valutazione in merito.

Per i professionisti del settore, in questa fase storica di cambiamento in cui da un lato si sono modificati i compiti dello Stato di fronte alle Regioni in una materia come la valorizzazione dei beni culturali, con l’esistenza di competenze concorrenti e dall’altro con una cornice di riferimento che non è più il nostro Paese ma tutta l’Europa, diventa estremamente delicato e importante il garantire e definire i requisiti necessari per le prestazioni d’opera di chi lavora sul patrimonio dei BBCC, un patrimonio di interesse pubblico ma che, allo stesso tempo, coinvolge il mercato e le sue logiche.

Offrire riconoscibilità istituzionale ai professionisti dei beni culturali appare un ulteriore passo, decisivo e concreto, sulla strada intrapresa da questo governo per dare respiro al settore della cultura, che ha visto un primo importante intervento nel decreto “Valore della Cultura” approvato il 3 ottobre 2013 , di cui si stanno definendo i regolamenti attuativi.

Il Codice dei BBCC non prevede ad oggi il riconoscimento delle professioni dei Beni Culturali, a esclusione fino ad ora delle figure del Restauratore e del Collaboratore Restauratore. Si è detto che non parlare dei professionisti nel codice dei BBCC è come scrivere le regole del calcio parlando solo del pallone e non dei calciatori. È così.

Le figure considerate hanno in comune il compito di preservare, a vario titolo, la memoria, quello che si chiama “curator”. Sono archeologi che – è quanto loro stessi affermano – operano nel nostro Paese in condizioni di vuoto normativo che ha generato condizioni di lavoro prive di qualunque regolamentazione istituzionale determinando lo svilimento delle competenze e delle aspettative professionali di migliaia di operatori. Con alle spalle anni di formazione universitaria e post universitaria e con un continuo aggiornamento professionale svolto in cantieri di scavo, nella gestione museale, nella didattica, nella catalogazione, nella divulgazione del patrimonio culturale, questi lavoratori della conoscenza non hanno garanzie né possibilità di programmarsi un futuro professionale.

Nel settore dei musei così come in quello degli storici dell’arte e degli antropologi è particolarmente importante garantire la qualificazione e le competenze professionali delle figure che assumono responsabilità di direzione, cura delle collezioni, ricerca e promozione culturale, tenuto anche conto della mancanza di una precisa definizione dei compiti spesso assegnati e dei requisiti richiesti. In altri Paesi europei sono previste garanzie per le figure dedicate all’accoglienza del pubblico, per la diffusione e la mediazione culturale e per il restauro dei beni delle collezioni.

Gli archivisti, d’altra parte, hanno visto crescere nel corso degli ultimi anni le esigenze della tutela della conservazione e della fruizione del patrimonio archivistico storico. La conservazione della memoria storica nell’età contemporanea è già cosa diversa a quella a cui eravamo abituati perché gli archivi ed i documenti che ne costituiscono la memoria si caratterizzano e si distinguono dal passato per la loro natura immateriale, frutto della loro formazione e gestione in ambiente digitale.

La loro è dunque una professionalità in evoluzione che vede la progressiva perdita di consistenza fisica da parte degli archivi tradizionalmente costituti da documentazione cartacea e la loro sostituzione con documenti informatici.

Questo cambia ruolo e funzioni di archivisti e di bibliotecari costretti a confrontarsi con un processo che segue la tendenza ormai generale dell’uso degli strumenti dell’information and comunication tecnology in ogni settore dell’agire umano e della vita delle istituzioni. Per bibliotecari ed archivisti, dunque, si è passati dalla formazione di base finora attuata a molteplici formazioni specialistiche coordinate e codificate di cui occorre tenere conto. È dunque questo un mondo in evoluzione che le professionalità che consideriamo riflettono ed in cui l’informazione prevale sul documento.

Senza soffermarmi sulle singole figure professionali citate, va ricordato che la proposta di legge prevede anche un riconoscimento della figura del diagnosta dei beni culturali, professionalità già da tempo prevista dagli ordinamenti europei e meglio conosciuta come conservation scientist.

La 362-A interviene nell’ambito della disciplina delle professioni non organizzate in ordini o collegi, peraltro affrontata di recente dalla legge 14 Gennaio 2013, n. 4, che ha riconosciuto e regolato le professioni intellettuali prive di albo e ordini. Alla sua stesura hanno partecipato, attraverso varie audizioni, gli stessi soggetti oggi coinvolti.

La proposta di legge in discussione ha un lungo percorso alle spalle. È stata infatti già presentata (PDL n. 1614/2008) nella XVI Legislatura dall’onorevole Madia per estendere il riconoscimento, raggiunto dopo un lunghissimo iter, a livello nazionale della figura di restauratore agli archeologi e, quindi, a tutta la platea delle professioni coinvolte nella tutela e nella valorizzazione dei beni culturali.

La legge non riuscì, nella precedente legislatura, a terminare l’iter di approvazione, per cui è stata ripresentata nell’attuale legislatura il 20 marzo 2013 a firma Ghizzoni, Madia e Orfini. Il testo arriva oggi in discussione in Aula dopo avere registrato il voto favorevole della Commissione parlamentare per le questioni regionali e il giudizio positivo da parte delle varie Commissioni parlamentari in sede consultiva, compresa la V Commissione, quindi con il parere favorevole su merito e sostenibilità finanziaria.

Il Comitato ristretto ha lavorato a partire da luglio 2013 sentendo in audizioni informali i rappresentanti del Ministero, della Conferenza Stato-Regioni, dell’Accademia e delle Associazioni professionali individuate fra quelle che hanno maggiore rappresentatività a livello nazionale.

E’ stato predisposto un meccanismo di riconoscimento della qualificazione professionale degli operatori dei Beni Culturali valido in tutto il territorio europeo, così come richiesto dalla normativa europea e dalla legislazione italiana di recepimento per risolvere i problemi posti dalle disposizioni europee in materia di liberalizzazione delle professioni e di circolazione dei cittadini.

Per il diritto europeo i professionisti sono, al pari delle imprese, soggetti alle regole di concorrenza. La proposta di un elenco di professionisti obbligatorio avrebbe reso la disposizione di legge fuori dalla normativa UE e di fatto inapplicabile a fronte della necessità di garantire i principi di non discriminazione, di necessità, di proporzionalità, previsti dalla direttiva n. 2006 / 123 / UE per evitare i cosiddetti “diritti esclusivi” che riservino alcune attività a una ristretta categoria di professionisti.

Ma occorreva inoltre tener conto del nuovo assetto istituzionale del Paese dopo la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, che prevede sempre più un processo di delega agli Enti locali e ai privati nelle funzioni di valorizzazione e di fruizione del patrimonio culturale e una funzione dello Stato solo di coordinamento, indirizzo e controllo soprattutto di garanzia dei livelli minimi delle prestazioni pubbliche.

Andavano superate alcune prese di posizione dell’Accademia che ha definito ormai in base ai decreti ministeriali del 2007 e del 2010 le classi di Laurea e Laurea Magistrale e con il Decreto Ministeriale del 31 Gennaio 2006, le otto tipologie di scuole di specializzazione relative ai Beni Culturali. A queste si aggiungevano anche le osservazioni del Ministero sul metodo di tenuta dei registri.

Il testo che aveva inizialmente ricevuto l’approvazione di tutte le forze politiche entrate a far parte del Comitato ristretto ha superato le osservazioni delle altre Commissioni parlamentari coinvolte. L’auspicio che il provvedimento in esame potesse essere approvato in sede legislativa dalle Commissioni di Camera e Senato sembrava realistico. L’iter, si è però arenato di fronte alla decisione del Movimento 5 Stelle di astenersi. Per questo si è ritenuto necessario passare al suo esame in Assemblea.

Il testo è composto di due articoli: l’articolo 1 dispone nella prima parte del Codice, l’art. 9-bis, che gli interventi di tutela, vigilanza, ispezione, protezione, conservazione e fruizione dei beni culturali sono affidati, secondo le rispettive competenze, alla responsabilità o alla diretta attuazione di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi, esperti di diagnostica applicata ai beni culturali, storici dell’arte, “in possesso di adeguata formazione e professionalità, nonché alla responsabilità o alla diretta attuazione degli operatori delle altre professioni già regolamentate”.

Il provvedimento non intende creare albi professionali ma intende al contrario garantire i consumatori, che in questo caso equivalgono all’intera collettività nazionale, tenendo conto del riordino della formazione universitaria e del coinvolgimento delle associazioni rappresentative delle professioni non regolamentate per la definizione dei profili di qualificazione professionale e per l’attestazione delle competenze.

La proposta di legge a nostro esame correttamente specifica che “sono fatte salve le competenze degli operatori delle professioni già regolamentate” (ad esempio architetti conservatori ecc.). Istituisce appositi elenchi nazionali presso il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, rinviando a un decreto da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge al nostro esame, previo parere delle commissioni parlamentari competenti per materia, le modalità e i requisiti per l’iscrizione negli elenchi nonché le modalità per la loro tenuta in collaborazione con le associazioni professionali di riferimento, individuate ai sensi dell’art. 26 del d.lgs. 206/2007 (“Piattaforme europee per la circolazione”) e della Legge 14 gennaio 2013 n.4.

La proposta di legge ha una sua evidente utilità perché il bene culturale, inteso come “testimonianza materiale di civiltà”, è ad alto contenuto di interesse pubblico e la sua conservazione, valorizzazione o restauro meritano senza dubbio specifiche professionalità e competenze. Questo consente di superare le perplessità legate al ritorno all’approvazione con legge di singoli o specifici profili professionali secondo il criterio “una legge per ogni professione”, decisamente inattuale e contrario alla fatica riformatrice svolta per affermare il nuovo sistema duale delle professioni.

Occorre inoltre evitare che il rinvio a un ulteriore decreto per la definizione dei requisiti possa dar luogo a ritardi o incomprensioni. È tempo di decisioni pronte ed efficaci, il Paese deve essere accompagnato negli sforzi per la ripresa economica e le professioni sono un campo centrale del lavoro nell’economia della conoscenza.

L’art. 2, che introduce l’art. 182 bis dello stesso codice, prevede che vengano istituiti dei registri con funzione ricognitiva dei professionisti e riprende l’elencazione precedente: “archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi, esperti di diagnostica applicata ai beni culturali e storici dell’arte idonei allo svolgimento delle attività di tutela e fruizione dei beni culturali” indicate nell’art. 1.

Il Ministero per i Beni e le attività culturali, sentito il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e la Conferenza Stato-Regioni, in collaborazione con le rispettive associazioni professionali, individuate ai sensi del Decreto Del Ministro della Giustizia del 28 aprile 2008, stabilirà con proprio decreto le modalità e i requisiti d’iscrizione dei professionisti nei registri previsti nonché le modalità per la loro tenuta in collaborazione con le predette associazioni professionali. Tra i requisiti per l’iscrizione nei registri si considera sufficiente ma non necessaria l’attestazione del possesso dei requisiti di qualificazione professionale effettuata dalle rispettive associazioni professionali, che siano rappresentative a livello nazionale ai sensi dell’art. 26 del D.Lgs. 206/2007 e della Legge 4/2013.

Come si evince nel testo in discussione non sono stati solamente recepiti i principi normativi delle numerose direttive europee in materia di libera circolazione delle professioni ma è stata fatta propria un’idea di professione aperta, dinamica e democratica.

Il riconoscimento delle diverse figure professionali che operano nei beni culturali costituisce il primo passo in un percorso legislativo che ci allinea agli standard europei e che coinvolgerà migliaia di operatori del settore. Non un punto di arrivo ma una solida base normativa su cui costruire azioni concrete che aiutino al definitivo riconoscimento di queste professionalità, senza cristallizzarle sul passato e favorendo il processo di crescita e di formazioni innovativa che sono loro proprie.

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