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Relazione del Ministro dell’Istruzione sulle linee programmatiche del suo dicastero

Pubblichiamo la relazione del Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza, sulle linee programmatiche del suo dicastero svolta nel corso dell’audizione alle Commissioni Cultura riunite di Camera e Senato.

È un testo che siamo lieti di sottoporre a tutti coloro che si occupano di scuola e ricerca per la chiarezza, il rigore e il coraggio che improntano l’intervento del Ministro. Siamo soddisfatti che molte delle idee che da tempo erano state proposte siano state recepite nell’agenda di del governo.

Camera dei Deputati – XVII Legislatura
Resoconto stenografico di giovedì 6 giugno 2013

AUDIZIONE ON. SIG. MINISTRO CARROZZA davanti alle Commissioni riunite del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati

«Rivolgo un saluto ai Presidenti e a tutti i Senatori e Deputati presenti. L’incontro con le Commissioni riunite costituisce un momento fondamentale per il concreto avvio del mio lavoro. Vorrei avere con voi un rapporto chiaro e proficuo nel corso dell’intero mio mandato.

Nel periodo che abbiamo alle spalle, successivo all’insediamento del Governo, ho voluto confrontarmi con tante operatrici e operatori della scuola, dell’università e della ricerca, con associazioni e organismi rappresentativi, ad esempio le associazioni rappresentative delle famiglie e dei genitori, proprio per comprendere meglio i problemi dei singoli settori e poter definire obiettivi chiari e coerenti con gli indirizzi generali del Governo.

Le politiche per l’istruzione, l’università e la ricerca sono di rilevanza strategica per il Governo. In particolare, come è noto, il livello di formazione (e quindi di istruzione) ha un legame diretto con il tasso di sviluppo economico di una certa popolazione e di un certo Paese in un dato momento storico. Tale legame è sempre esistito (si pensi, ad esempio, alla crescita economica che ha caratterizzato i primi decenni dell’Italia del secondo dopo guerra, accompagnata da un contemporaneo innalzamento progressivo del livello di istruzione della popolazione), ma appare oggi ancora più forte per il rapido diffondersi dei nuovi modelli organizzativi e dell’uso delle tecnologie.

L’istruzione e la ricerca scientifica sono fattori determinanti per lo sviluppo economico, migliorando la capacità di innovare tramite l’elaborazione di nuove idee oppure facilitando l’adozione e l’implementazione di nuove tecnologie rendendo possibile l’instaurarsi di meccanismi virtuosi e sostenibili. L’istruzione è dunque tanto più fertile e proficua per l’economia quanto più quest’ultima è ricettiva al suo potenziale. Non a caso uno studioso come Pissarides afferma come solo in una economia dove forte è la dinamicità del mercato, dove siano assenti inutili regolazioni e barriere alle imprese, essa si trasforma in crescita e sviluppo.

Ma l’impatto del capitale umano sulla crescita economica passa anche per il suo effetto sulla disuguaglianza economica e sociale. Un Paese con alte disuguaglianze di partenza e mercati del credito poco efficienti deprimono l’investimento in capitale umano nella parte più povera del Paese e rafforzano tali disuguaglianze di partenza, riducendo al contempo la mobilità sociale e la percezione di vivere in un contesto fruttuoso di pari opportunità. Mobilità sociale che è invece stimolata da sistemi educativi capaci di includere il segmento meno abbiente della popolazione. Maggiori investimenti in capitale umano – mostrano gli studi più recenti – riducono la propensione al crimine, aumentano la partecipazione civica, conducono a stili di vita più sani. Se da una parte l’istruzione è motore per le democrazie moderne, dobbiamo ricordare che la conoscenza rende liberi e la ricerca scientifica permette un miglioramento della qualità della vita. La scuola è inoltre una palestra fondamentale di educazione alla legalità, in alcune aree del paese la scuola svolge una funzione cruciale di educazione e di formazione di bambini e il tempo scuola deve essere potenziato e arricchito proprio per la missione sociale che ricopre.

Pertanto, anche in un Paese come il nostro dove storicamente la crescita dell’istruzione ha avuto un ruolo positivo per il Paese stesso, non va dimenticato come sia essenziale che tale crescita non si arresti. Specie in un mondo globalizzato conta anche la capacità di mantenere intatto e anzi di recuperare il ritardo verso quei Paesi che mettono in mostra dinamiche più agili delle nostre. La riduzione di questo gap, così strategicamente rilevante, dipende dalla capacità dei Paesi con minore istruzione di colmare il ritardo tramite l’alto tasso di passaggi dalla scuola primaria a quella secondaria e dalla secondaria a quella terziaria (università). Quello che è valido nel confronto tra paesi in via di sviluppo e paesi sviluppati, vale naturalmente anche nel confronto tra paesi sviluppati.

In tal senso deve fortemente preoccupare il ritardo dell’Italia nel raggiungere l’obiettivo Europa 2020 del 40% di laureati nella popolazione, che ci vede posizionati tra gli ultimi Paesi dell’Unione europea e che finisce per determinare, appunto, un ritardo nella capacità di generare crescita e maggiori opportunità in un mondo globalizzato. In quest’ottica diventa decisivo certo arrestare l’emorragia di abbandoni che caratterizzano gli anni successivi alle immatricolazioni universitarie dei nostri giovani maggiorenni. Ma il problema è ovviamente presente, in alcune aree geografiche del Paese in maniera più drammatica di altre, nel forte abbandono della scuola a livello secondario.

Credibilità, Trasparenza e Coesione sono le parole chiave a cui ispirerò la mia azione. I sistemi dell’istruzione, dell’università e della ricerca sono sistemi complessi e, più di altri, risentono del sistema multilevel in cui anche il nostro ordinamento è inserito. I soggetti che operano in tale sistema (organismi internazionali ed europei, Stato centrale, Regioni ed enti locali, enti a forte autonomia, organismi di rappresentanza) si collocano a diversi livelli dell’ordinamento e investono varie tipologie di pubbliche amministrazioni. Io credo – e sono molto diretta e franca – che accanto alle riforme istituzionali occorra pensare ad una semplificazione della governance del sistema. Sono troppo alti i costi di transazione dovuti ad un modello multilevel che, così com’è oggi configurato, pur mosso da esigenze condivisibili, condiziona tuttavia negativamente l’efficacia delle politiche.

Nella situazione attuale, comunque, i sistemi potranno funzionare ed essere efficaci nella loro azione se tra i vari attori vi sarà sinergia e condivisione di un progetto comune e se, nel loro insieme, essi fonderanno la loro azione sulla credibilità, sulla trasparenza e sulla coesione. Io a tali principi ispirerò la mia politica.

In primo luogo, credibilità delle politiche per l’istruzione, per l’università e per la ricerca significa capacità dell’Amministrazione di programmare un intervento nel medio – lungo periodo e da parte degli stakeholders possibilità di rapportarsi con le istituzioni e valutarne l’azione. A tal fine, occorre intervenire su più fronti:

  1. programmazione pluriennale dei finanziamenti;
  2. definizione dei criteri di benchmarking;
  3. gestione e definizione dei tempi dei singoli interventi e identificazione di tappe intermedie;
  4. valutazione ex post e maggiore rapidità e tempi certi nell’attuazione delle decisioni.

I sistemi dell’istruzione, dell’università e della ricerca non possono vivere nell’incertezza perenne tra tagli e rimodulazioni in corso d’anno. Quello che serve è un orizzonte temporale pluriennale in cui il budget su cui sviluppare il sistema sia coerente con le politiche, le strategie e le priorità che il Paese si impegna a perseguire, tenendo conto, peraltro, della necessità di rispettare gli obiettivi assunti a livello internazionale. In tal senso occorre, ad esempio, superare la metodologia attualmente utilizzata per la gestione degli organici evitando il blocco del turn over con l’introduzione, invece, di un vincolo di bilancio.

Trasparenza delle politiche per l’istruzione, per l’università e per la ricerca significa chiarezza delle regole e dei criteri valutativi, applicazione di criteri meritocratici per l’allocazione di fondi, certezza dei percorsi, trasparenza nei processi di allocazione delle risorse e della loro gestione, nonché puntuale valutazione e attento monitoraggio ex post. Vanno rafforzati i meccanismi di valutazione dei risultati raggiunti e di controllo delle azioni, al fine di permettere una continua verifica del rapporto costo/benefici per centro di costo e garantendo la totale “accountability” delle attività finanziate con risorse pubbliche. Questo meccanismo, del resto, appare assolutamente in linea con la visione moderna dello Stato, che assegna ai vari soggetti del sistema un budget finanziario con la fissazione di obiettivi da raggiungere, lasciando agli stessi la decisione politica di come gestire le risorse. Ciò ovviamente presuppone un forte mutamento culturale e una pratica della gestione e della valutazione secondo standard internazionali: criteri lontani da un’ottica burocratica e da un modello teso più a imbrigliare gli attori del sistema che non, invece, a fornire elementi conoscitivi, necessari sia per il miglioramento della propria performance che per limitare la discrezionalità ministeriale (ad esempio ai fini del riparto dei finanziamenti).

Trasparenza delle politiche e della gestione vuol dire anche un sistema normativo più semplice, meno frammentario e tortuoso, in cui le regole da applicare siano facilmente conoscibili e il più possibile semplici da applicare. La situazione attuale, purtroppo è questa: un groviglio di fonti normative in tutti i settori che afferiscono al Ministero tale da generare confusione, ampi margini di discrezionalità, minori garanzie per gli interessati, eccessivo contenzioso (solo nel settore scuola sono migliaia i ricorsi. Non c’è atto dell’amministrazione che non sia sommerso da ricorsi).

Mi permetto di sottoporre alla vostra attenzione l’opportunità di delegare il Governo, mediante una legge da approvare rapidamente, affinché questi possa realizzare un’opera di semplificazione e disboscamento della giungla normativa attualmente esistente, attraverso lo strumento della codificazione (con testi unici) della normativa di scuola, università e ricerca.

Con questo non risolviamo i problemi dei settori di competenza del Ministero, ma aiuteremo a semplificare la vita a chi vive nella scuola, nell’università e nel mondo della ricerca e a chi si interfaccia con essi.

Coesione delle politiche dell’istruzione, dell’università e della ricerca significa mettere a sistema ed integrare tutti i modelli, gli strumenti e le risorse disponibili nel settore ai vari livelli istituzionali di governo, arrivando ad una reale integrazione delle politiche perseguite dagli esecutivi regionali con quelle del Governo nazionale, mediante una concreta e fattiva “cooperazione”. Solo la “cooperazione” tra i diversi livelli di Governo può garantire una immagine di un Paese coeso nelle sue politiche rispetto alle istituzioni dell’Unione europea. A tal fine sarà forte il mio impegno, garantendo, oltre ad un dialogo costruttivo con il Parlamento, anche un costante rapporto con la Conferenza Stato – Regioni e con la Conferenza Unificata. Queste linee programmatiche, opportunamente integrate con le osservazioni delle Commissioni riunite in esito all’Audizione, costituiscono la base per l’elaborazione degli ‘obiettivi di servizio’ sui quali far convergere l’azione di governo, regioni ed enti locali in sede di conferenza Stato-regioni ed Unificata con riferimento al sistema dell’istruzione e della ricerca.

ISTRUZIONE
Partendo dal sistema scolastico, ritengo che le nostre politiche dovranno essere in assoluta coerenza con un unico irrinunciabile obiettivo: garantire ai nostri ragazzi luoghi di apprendimento sicuri e un percorso scolastico che possa incidere positivamente nella realizzazione del loro progetto di vita e sul loro futuro, permettendo a tutti i meritevoli, ancorché privi di mezzi, di raggiungere i più alti gradi dello studio secondo il dettato della nostra Costituzione.

E’ mio auspicio che finalmente tutte le istituzioni e le forze politiche possano parlare al complesso e articolato mondo della scuola – composto dagli insegnanti, dai dirigenti, dai bambini, dai ragazzi, dalle loro famiglie – con una sola voce. Una voce di attenzione e rispetto per il luogo in cui le persone in crescita si recano ogni giorno per ricevere una solida formazione culturale e civile e diventare cittadini. Una voce tesa a “ridare entusiasmo e mezzi idonei agli educatori che in tante classi volgono il disagio in speranza”, come richiamato nel discorso alle Camere del Presidente del Consiglio, Enrico Letta, sulla base del quale questo Parlamento ha votato la fiducia al Governo che rappresento.

Quando faccio riferimento a tutte le istituzioni, mi riferisco principalmente a Stato e Regioni ed enti locali, nell’ottica di coesione che ho già richiamato.

Il buon governo dell’istruzione poggia, in primo luogo, sulla ricerca del corretto equilibrio tra funzioni statali e regionali. In altri termini, un eccesso di centralismo può determinare effetti negativi sulle dinamiche pluralistiche che devono presiedere al sistema di istruzione e, allo stesso modo, l’avvio di processi devolutivi può rischiare di incrinare gli elementi di unitarietà che costituiscono il tessuto connettivo del sistema.

Quest’ultimo profilo rappresenta il punto più delicato del dibattito odierno, fortemente condizionato, come è evidente, dalla scarsità di risorse finanziarie e dalla incidenza dei processi di spending review. Prioritaria, allo stato, è l’esigenza di tutelare l’unità del sistema di istruzione, sotto il profilo del rispetto degli elementi fondanti della sua architettura complessiva e, soprattutto, della necessità di garantire l’erogazione sul territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni. La ulteriore devoluzione di funzioni, di strutture, di personale e di risorse in materia di istruzione non pare, pertanto, in questa fase, la corretta direzione da intraprendere per affrontare i problemi pressanti che investono la scuola italiana, perché porrebbe a forte rischio la tenuta unitaria del sistema, con la conseguenza di alimentare le asimmetrie territoriali.

La risposta alle urgenti necessità del sistema di istruzione va ricercata, dunque, innanzitutto nella garanzia della tenuta unitaria del sistema, in funzione di garanzia del principio di eguaglianza sostanziale. Vi sono, ovviamente, ambiti in cui, per una più corretta attuazione del dettato costituzionale (artt.117 e 118 Cost.) e anche in virtù degli orientamenti della Corte costituzionale, occorre un ripensamento del rapporto tra Stato e Regioni, alla ricerca di un più equilibrato esercizio delle rispettive competenze. Il problema investe in modo significativo soprattutto materie di estrema delicatezza e complessità, con forti ricadute sul piano politico-sociale e sul piano economico-finanziario, quali quelle della determinazione degli organici e del dimensionamento scolastico (su quest’ultimo profilo, ad esempio, occorre accelerare – e mi impegnerò per questo – la sottoscrizione dell’Intesa con le Regioni). Sul punto non si ignora che la Corte costituzionale ha avuto più volte occasione di pronunciarsi (tra le altre, la sentenza n. 13/2004 e, da ultimo, la n. 76/2013), sia sotto il profilo funzionale sia sotto quello strutturale. E tuttavia, proprio al fine di tutelare l’unitarietà del sistema di istruzione e la tenuta sotto il profilo della capacità di erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, va tenuta in debita considerazione anche l’opzione strategica operata di recente dal legislatore (con l’art. 14, commi 17 ss., d.l. n. 95/2012), che ha valorizzato il fondamentale ruolo di raccordo svolto dagli Uffici scolastici regionali.

Ne deriva che, in un’ottica di decentramento funzionale e strutturale, una soluzione equilibrata vada ricercata nella individuazione di specifiche e idonee forme di cooperazione, collaborazione e coordinamento tra apparati statali e regionali, che insieme si rapportano al sistema delle scuole autonome e delle scuole paritarie. Infatti, come stabilito dalla legge 62 del 2000 il sistema pubblico di istruzione è composto dalle scuole statali e dalle scuole paritarie. L’intero finanziamento verso le 13.657 scuole paritarie italiane consiste di 500 mln di euro circa, pari all’1,2 % della spesa relativa alle scuole statali, a fronte di una platea di 1.042.000 alunni che rappresenta il 12% della popolazione scolastica. Occorre salvaguardare il carattere plurale del nostro sistema di istruzione attraverso misure volte a tutelare la qualità e l’inclusività anche delle scuole pubbliche paritarie.

Seguendo anche i richiami riferiti all’istruzione presenti nel documento dei saggi nominati dal Presidente della Repubblica, che dedica un’intera sezione al ruolo strategico dell’istruzione, ritengo che siano due gli assi fondamentali che il sistema scolastico italiano debba sviluppare: l’inclusività del sistema formativo e la qualità degli apprendimenti.

Sotto il profilo dell’inclusività, occorre spezzare il persistente circolo vizioso tra povertà economica e povertà di istruzione. Va favorito ogni sforzo teso al consolidamento precoce delle conoscenze e competenze irrinunciabili. Per questo il Governo intende proseguire ed estendere le azioni mirate a prevenire e contrastare la dispersione scolastica che, nonostante una continua diminuzione negli ultimi venti anni, riguarda ancora il 18 percento della popolazione giovanile, dando piena attuazione all’Agenda di Lisbona dell’UE e conseguendo l’obiettivo di portare il tasso di dispersione sotto il 10% entro il 2020.

Sotto il profilo della qualità degli apprendimenti, le indagini nazionali (INVALSI) ed internazionali (OCSE-PISA) evidenziano che i 15enni italiani stanno migliorando in tutte le competenze, tuttavia più di uno studente italiano su cinque ha competenze insufficienti in lettura e solo il 5,8% di essi si colloca nel livello più alto, contro valori corrispondenti compresi tra il 9 e il 15% nei Paesi con risultati complessivamente migliori. Il sistema di istruzione italiano, dunque, presenta ancora tassi troppo alti di studenti con risultati insoddisfacenti e tassi troppo bassi di studenti con risultati eccellenti. Ed ottiene basse performance in tutti e sette gli indicatori alla base dei benchmark di Lisbona per il 2020 : la competenza nella lettura, in matematica e in scienze, gli abbandoni precoci, la percentuale di studenti che completano il secondo ciclo di istruzione, la partecipazione degli adulti ad iniziative di formazione continua e la percentuale di cittadini laureati o con diversi titoli di istruzione superiore. Di fronte alla gravissima emergenza dell’occupazione dei giovani – attestata dall’Istat al 38,4% nel marzo 2013, mentre il fenomeno dei Neet (giovani che non studiano e non lavorano) riguarda il 22,7% dei 15-29enni – garantire una formazione di qualità a tutti i bambini e i ragazzi, dalla scuola di base fino ai più alti gradi dell’istruzione, diventa obiettivo strategico nel quadro delle politiche volte a restituire il futuro alle giovani generazioni e riavviare lo sviluppo e la crescita del Paese.

Se vogliamo garantire la qualità degli apprendimenti, dobbiamo anche dare un segnale di valorizzazione e di riconoscimento al prezioso lavoro del docente. Ormai da molti anni e in molti modi – a volte anche drammatici – alla scuola e ai nostri docenti viene chiesto di assolvere a funzioni educative generali: l’accompagnamento alla “fatica di crescere” delle nuove generazioni, la funzione di guida verso modelli di comportamento costruttivi, l’orientamento fondato sull’autovalutazione di forze, inclinazioni e debolezze, il presidio dei limiti e la gestione e la riparazione, insieme ai ragazzi, di comportamenti distruttivi e auto-distruttivi purtroppo diffusi, il sostegno alle molte fragilità, la costruzione di opportunità per ciascuno. Come è scritto nell’Introduzione alle Indicazioni nazionali per il curricolo della nostra scuola di base, “il paesaggio educativo è diventato estremamente complesso. Le funzioni educative sono meno definite di quando è sorta la scuola pubblica. In Particolare, vi è un’attenuazione della capacità adulta di presidio delle regole e del senso del limite e sono così diventati più faticosi i processi di identificazione e di differenziazione da parte di chi cresce e anche i compiti della scuola in quanto luogo dei diritti di ognuno e delle regole condivise. Sono anche mutate le forme della socialità spontanea, dello stare insieme e crescere tra bambini e ragazzi. La scuola è perciò investita da una domanda che comprende insieme l’apprendimento e il ‘saper stare al mondo’.” Le scuole, dunque, ogni giorno rispondono ad una domanda complessa e diffusa di educazione, che arriva dai ragazzi stessi, dalla società, dai genitori con cui le scuole spesso stipulano patti di condivisione educativa, fondati sul rispetto dei diversi ruoli tra scuola e famiglie. La scuola oggi deve anche confrontarsi con la pervasività delle tecnologie digitali e con il loro utilizzo corretto, e deve attrezzarsi per rispondere alle esigenze formative di generazioni di nativi digitali e di bambini che a causa delle loro condizioni di partenza possono essere marginalizzati alimentando il digital divide.

Questo lavoro ulteriore e prezioso che accompagna i nostri bambini e ragazzi va riconosciuto dalla comunità nazionale.

Se allora vogliamo davvero puntare sulla formazione dei nostri bambini e ragazzi e sulla valorizzazione degli insegnanti, dobbiamo avere il coraggio di operare scelte che incidano positivamente, e da subito, sulla qualità delle nostre scuole. Tre le tipologie di azione che intendo perseguire :

  1. interventi di sistema (dove le priorità sono sicuramente costituite dall’edilizia scolastica e dallo sviluppo e sostegno all’autonomia delle scuole);
  2. interventi per il personale della scuola (con la valorizzazione delle professioni e con segnali di attenzione immediata per il precariato);
  3. interventi per gli studenti, garantendo apprendimenti di qualità per tutti e ognuno.

A) INTERVENTI DI SISTEMA
Per quanto attiene la prima linea di azione, dobbiamo essere certi che i nostri studenti siano accolti ogni giorno in edifici ben organizzati, ma – consentitemi – soprattutto sicuri. Questo vuol dire impegnarsi nella manutenzione ordinaria e straordinaria dei circa 43.000 edifici scolastici, nonché nella costruzione di nuove scuole per sostituire quelle più vecchie o irrecuperabili.

Quanto alla costruzione di nuove scuole, dovremo valutare l’esito della prima sperimentazione dei fondi immobiliari utilizzati a tal fine. Il Ministero, com’è noto, ha avviato tale sperimentazione, investendo 38 milioni di euro. Molti comuni (438) hanno risposto all’avviso pubblico tra cui Firenze e Bologna. Mi riservo di comunicare alle Commissioni l’esito del procedimento amministrativo in corso.

Ho analizzato anche la situazione dei finanziamenti per l’edilizia scolastica negli ultimi 10 anni: nonostante gli investimenti per l’edilizia scolastica da parte dello Stato siano stati insufficienti, ma non irrisori (circa 1900 milioni di euro), l’edilizia scolastica continua a presentare una situazione di estrema difficoltà. Dobbiamo allora pensare a cosa non ha funzionato. Ritengo che il sistema, contraddistinto da una molteplicità di attori e da una pluralità di linee di finanziamento, sia stato inefficace per i tempi troppo lunghi, non più sostenibili, per rendere spendibili le risorse stanziate e per aprire i cantieri. Basti pensare che per il primo programma stralcio (delibera CIPE n. 32 del settembre 2010 per un totale di 358 milioni di euro) ad oggi sono state sottoscritte con gli enti locali beneficiari 1637 convenzioni per un totale di 349 milioni di euro e, dopo quasi tre anni, sono stati emessi dal Ministero delle infrastrutture pagamenti per complessivi 98 milioni di euro per avanzamento lavori. Il che ci fa portare a dire che dopo tre anni pochi cantieri sono stati aperti, e sicuramente nessuno ha completato l’opera.

Una recente legge (articolo 11, del decreto legge n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221/2012) ha istituito presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca il Fondo Unico per l’edilizia scolastica; prevedendo espressamente che “tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato comunque destinate a finanziare interventi di edilizia scolastica” confluiscano nel già citato Fondo. Si comprende facilmente come la ratio del legislatore fosse quella di evitare frammentazioni dei finanziamenti sull’edilizia scolastica per avere un unico Fondo che, dotato di risorse significative, possa svolgere un’azione incisiva per la messa in sicurezza del patrimonio scolastico italiano, evitando il sovrapporsi di microinterventi. Ebbene, ritengo che tale ratio sia da condividere: infatti, anche alla luce della particolare congiuntura economico – finanziaria del Paese, appare importante riuscire ad avere un unico canale di finanziamento, dove far confluire tutte le risorse in modo tale che esse possano costituire una significativa massa critica, in grado di generare un mutamento qualitativo dell’azione del Governo sulla messa in sicurezza del patrimonio scolastico. Tali risorse, attraverso un ruolo di programmazione delle Regioni, devono essere trasferite a Province e Comuni, che, come proprietari degli edifici, potranno procedere alla realizzazione degli interventi.

E’ utile anche sottolineare che il Fondo unico garantisce una maggiore efficacia nelle procedure di monitoraggio degli interventi in corso e di valutare i tempi e i metodi di realizzazione.

A tal fine, d’intesa con il Ministero dell’economia, va studiato un meccanismo che consenta agli enti locali di poter spendere, derogando – per queste spese – ai vincoli di finanza pubblica.

Credo, però, che la situazione dell’edilizia scolastica abbia bisogno di uno sforzo straordinario. A tal fine, posso annunciare che stiamo per avviare un approfondimento con importanti istituzioni finanziarie internazionali (la Banca Europea per gli Investimenti e la Banca di Sviluppo del Consiglio di Europa) per verificare la possibilità di un intervento straordinario di queste due istituzioni.

Essendo qui in Parlamento vorrei anche dire che sosterrò tutte le iniziative parlamentari che vanno nella direzione di finalizzare risorse verso l’edilizia scolastica. Ad esempio, ho molto apprezzato la proposta di legge n.956 dei deputati Mattiello e Antezza mirante a destinare una quota dell’otto per mille del gettito IRPEF a diretta gestione statale a interventi di valorizzazione e ammodernamento del patrimonio immobiliare scolastico.

L’insieme delle iniziative avrebbe un impatto positivo sull’occupazione in modo diffuso sul territorio nazionale.

Sempre nell’ambito degli interventi di sistema, è necessario dare sviluppo e sostegno all’autonomia delle scuole.

I più avanzati studi sui sistemi scolastici comparati indicano che uno dei fattori più significativi per la qualità delle scuole è il livello di autonomia di cui godono . In Italia, da 13 anni è prevista l’autonomia delle scuole, molto si è parlato dell’argomento tra addetti ai lavori, ma essa nei fatti non è ancora stata sufficientemente sviluppata.

Per questa ragione voglio immaginare di “dare gambe” su cui far camminare l’autonomia delle scuole. Al riguardo, ritengo che azioni concrete e realmente incisive in questo senso nel breve periodo potranno riguardare:

  1. la costituzione dell’organico dell’autonomia e dell’organico di rete, così come già previsto dalla legge (art. 50 del D.L. n. 5/2012), che ha come conseguenze immediate una maggiore stabilità dell’organico effettivo delle istituzioni scolastiche e un consistente assorbimento di una quota sensibile di precariato. Chiaramente il vero e proprio organico funzionale (strumento di flessibilità del quale il sistema scolastico non può più fare a meno per garantire un servizio efficiente) deve essere l’obiettivo cui tendere nel medio periodo. Il primo passo che può essere compiuto in tale senso nel breve periodo e che rappresenta una prima risposta in termini di più elevata efficienza del sistema, può concretizzarsi nella riconduzione in organico di diritto di 27.000 posti di sostegno, oggi (e da molti anni) regolarmente funzionanti in organico di fatto. Fino al 2006 l’organico dei posti di sostegno era fissato in 48.693 unità; con la finanziaria del 2007, si è provveduto ad un incremento di circa 15.000 posti. Attualmente a fronte di 63.348 posti in organico di diritto, risultano attivati 101.000 posti in virtù, fondamentalmente, di due ordini di fattori: 1) la sentenza n. 80 della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che poneva un limite alle deroghe; 2) il fatto che, negli ultimi 6 anni, il numero degli alunni che necessitano del sostegno è aumentato di ben 18.000 unità. Poiché è lecito desumere che allo stato della normativa vigente il rapporto medio nazionale alunni/docente di sostegno si manterrà costante intorno al valore 1:2, ben difficilmente, anche attuando tutte le possibili politiche di facilitazione alla integrazione dei bambini con bisogni educativi speciali, il numero dei docenti di sostegno realmente occorrente nella scuola italiana scenderà al di sotto delle 90.000 unità. Si conseguirebbe, in tal modo, con l’organico del sostegno quell’obiettivo già da molti anni raggiunto nell’organico delle classi, vale a dire la sostanziale equivalenza tra organico di diritto e organico reale. Al maggior onere di spesa (pagamento dello stipendio per i mesi estivi) si contrapporrebbe una indubbia crescita in termine di stabilità e programmazione, e non sarebbe poca cosa poter anche prevedere per il personale di nuova assunzione in ruolo una più attiva partecipazione, proprio nei mesi estivi, alle attività di programmazione per l’integrazione dei bambini con bisogni educativi speciali.
  2. la formulazione di un nuovo patto per la scuola che, attraverso il confronto con le organizzazioni sindacali, giunga a ridefinire in modo condiviso le modalità di organizzazione del lavoro del personale scolastico funzionali al miglioramento della qualità del sistema di istruzione;
  3. sostegno finanziario all’autonomia scolastica, tramite il fondo per il funzionamento ordinario delle scuole e il ripristino del fondo per le attività aggiuntive del personale scolastico. Dal 2007, infatti, le scuole dispongono di un budget per il loro funzionamento ordinario molto ridotto, in media di 8 €/alunno. Dal 2004 il fondo ordinario è andato diminuendo fino ad azzerarsi del tutto nel 2009, per poi aumentare lentamente e stabilizzarsi alla quota poco più che simbolica di 8 €/alunno. Intendo proporre di portare gradualmente nel corso del prossimo triennio la quota ad alunno da 8 a 20-25 € utilizzando a questo scopo anche le economie derivanti dai nuovi appalti per il servizio di pulizia delle scuole.

B) INTERVENTI PER IL PERSONALE DELLA SCUOLA E PER I PRECARI
Per quanto attiene la seconda tipologia di interventi, relativi al personale scolastico e ai precari, ritengo sia necessario avere come priorità la valorizzazione della professione docente e del personale scolastico tutto.

Vanno introdotte nuove modalità di sviluppo di carriera dei docenti, con l’avvio di un sistema di valutazione delle prestazioni professionali collegato ad una progressione di carriera, svincolata dalla mera anzianità di servizio. Ciò presuppone la diffusione nella scuola di una cultura della valutazione, non connotata da alcun spirito punitivo, ma dalla necessità di dare da un lato il giusto riconoscimento ai docenti meritevoli costruendo un vero e proprio “cursus professionale” basato sul merito, dall’altro, come ricaduta immediata, un miglioramento complessivo del sistema scuola, anche mediante un approfondimento concreto del rapporto tra qualità degli apprendimenti e sviluppo della qualità dell’insegnamento.

Una reale valorizzazione della professione del personale scolastico e soprattutto uno strumento di supporto all’attuazione dell’autonomia può avvenire solo mettendo a regime un sistema di valutazione, che non deve essere visto come una volontà di “dare la pagella” ai professori o ai dirigenti scolastici, ma come necessità da parte della scuola stessa di verificare gli esiti rispetto ad obiettivi definiti congiuntamente, al fine di creare un circolo virtuoso che consenta di intervenire sul Piano dell’offerta formativa (POF) per migliorare gli elementi di criticità che si siano manifestati. Ma deve essere anche lo strumento per Regioni ed Enti locali per capire come investire a supporto e a rafforzamento dell’offerta formativa delle scuole, come già accaduto in alcune buone pratiche in Italia.

Nel sistema valutativo non c’è alcuna volontà sanzionatoria o di penalizzazione: si tratta piuttosto di trovare soluzioni condivise, in grado di sviluppare processi di auto-miglioramento della qualità dell’apprendimento, della didattica, dei comportamenti professionali degli insegnanti. Si tratta, quindi, di passare da una scuola che dichiara il proprio operato attraverso il Piano dell’Offerta Formativa (POF) – cioè una dichiarazione di intenti – relativa ad attività e progetti – ad una scuola che renda noti gli obiettivi e le priorità, i risultati raggiunti rispetto al punto di partenza, e li verifichi attraverso un sistema di valutazione esterna accanto a percorsi di autovalutazione.

Pertanto, ritengo che il Regolamento approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 8 marzo 2013 e in fase di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale debba essere l’occasione per una riflessione congiunta sulla valutazione nella scuola, riflessione che dovrà coinvolgere tutti gli operatori del sistema, al fine di renderla reale strumento di arricchimento e miglioramento e non mera misurazione della perfomance.

Tuttavia, già da subito, le posizioni organizzative e le figure di sistema potrebbero essere valorizzate, in misura da stabilire, nelle procedure di selezione dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi (dal minimo riconoscimento in termini di punteggio aggiuntivo nella valutazione dei titoli ad un riconoscimento più sostanziale in termini di riconoscimento dei predetti servizi quali titoli di accesso, uniti ai requisiti minimi di legge quali il possesso di laurea ed il servizio prestato nei ruoli della scuola).

Successivamente, in fase di predisposizione dell’atto di indirizzo per la prossima stipula del contratto nazionale di lavoro si potrà prevedere, tra l’altro:

  1. un incremento della retribuzione base del personale scolastico, nell’ambito delle compatibilità finanziarie che il Governo indicherà, che valorizzi la capacità innovativa dei singoli e di lavorare in team;
  2. un chiaro riconoscimento economico delle posizioni organizzative particolari della scuola, tanto nei riguardi del personale docente ed educativo che di quello amministrativo, tecnico e ausiliario;
  3. un altrettanto chiaro e palese riconoscimento tanto delle posizioni organizzative che di tutte le figure di supporto alla attività didattica (che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi di apprendimento ed alla radicalizzazione dell’istruzione sul territorio) in sede di progressione di carriera.

Inoltre, per scuole di qualità servono docenti ben selezionati e dirigenti scolastici di alto profilo ed ispettori (dirigenti tecnici) competenti e imparziali per assicurare una sapiente valutazione e un idoneo accompagnamento alla crescita delle scuole. Per questa ragione, intendo avviare una riflessione per il nuovo reclutamento dei dirigenti scolastici e dei docenti (non tralasciando il TFA). Su questo tema, vorrei arrivare ad un incontro specifico con Voi dopo un confronto con il mondo della scuola ed una riflessione approfondita sul tema. In tale confronto, dovrà anche essere valutata la possibilità, in un contesto autonomistico come quello della scuola, di una dotazione ordinaria di dirigenti tecnici con un profilo professionale non solo centrato sulla competenza giuridica e contabile ma anche, e soprattutto, sulle competenze organizzative e sulla capacità di governo delle comunità complesse, integrando il relativo organico.

Sempre in un’ottica di valorizzazione del personale docente, non si può trascurare il rilancio della formazione dei docenti. Da molti anni approviamo riforme e non stanziamo le risorse per la correlata, necessaria, formazione iniziale e in servizio dei docenti. Non sono necessarie ingenti risorse quanto piuttosto una dotazione periodica stabile da destinare ad iniziative decise autonomamente dalle scuole e dalle reti od associazioni di scuole sulla base di priorità ed indirizzi chiaramente definiti dal Ministero e di un monitoraggio costante.

Ciò può avvenire mediante :

  1. incremento del modesto finanziamento già accantonato dal Ministero per la formazione sulle nuove Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del 1° ciclo di istruzione, pari a complessivi 1,6 mln di €, altri 3-4 mln di € per estendere le azioni all’intera platea dei docenti in servizio del 1° e 2° ciclo;
  2. disponibilità per i docenti e i dirigenti scolastici di spazi e strumenti (materiali ed immateriali) per la raccolta e la condivisione delle azioni positive già realizzate con buoni risultati, in modo da favorire il confronto professionale e la diffusione delle iniziative virtuose nel campo della formazione in servizio.

Inoltre, occorre avviare in collaborazione con la DG Connect (Directorate General for Communications Networks, Content and Technology) della Commissione europea e secondo le indicazioni del Consiglio europeo dell’istruzione un piano straordinario per la formazione dei docenti all’uso delle tecnologie. Occorre favorire, pur nel rispetto delle regole di concorrenza ed evidenza pubblica, la specializzazione di imprese italiane ed europee affinché la digitalizzazione delle scuole sia una occasione di sviluppo e crescita.

A tutte le misure sinora illustrate relativamente al personale della scuola, si deve aggiungere un serio segnale al personale precario, mediante l’elaborazione di un nuovo piano triennale di assunzione in ruolo del personale precario . Per assicurare l’assorbimento delle consistenti masse di personale precario che tuttora presta servizio con contratti a tempo determinato nella scuola e per evitare ogni tipo di tensione, anche in considerazione del fatto che le nomine per l’a.s. 2013/2014 saranno necessariamente limitate, attesa l’incidenza preponderante della ultima riforma del sistema pensionistico sulle cessazioni dal servizio al prossimo 1° settembre 2013, è opportuno varare un nuovo piano triennale di assunzioni per il 2014/17, periodo per il quale è previsto un turn-over complessivo di 44.000 unità.

A tal fine, si procederà garantendo il giusto equilibrio tra assorbimento del personale precario e concorso pubblico.

C) INTERVENTI PER GLI STUDENTI
Per la terza linea di azione relativa agli interventi per gli studenti, l’obiettivo è quello di apprendimenti di qualita’ per tutti e ciascuno, da realizzarsi anche mediante una politica di lungo respiro per contrastare la dispersione scolastica e a favore di politiche per l’inclusione di tutti i bambini e ragazzi.

Il tasso di dispersione scolastica in Italia è ancora al 18,2%, contro il 13,4% europeo, con grandi divari territoriali: gli abbandoni sono molto maggiori nelle aree di massima esclusione economica e sociale, soprattutto nel SUD ma non solo.

Il sistema scolastico italiano compie un grande sforzo di inclusione, accogliendo ogni giorno nelle classi circa 203.000 bambini e ragazzi con disabilità, seguiti da 101.000 insegnanti di sostegno, e oltre 711.000 studenti di cittadinanza non italiana. La capacità di garantire a tutti e ciascuno gli apprendimenti indispensabili per l’esercizio minimo della cittadinanza deve ancora migliorare, proprio per salvaguardare il principio di inclusione e di solidarietà su cui la nostra scuola si fonda e per dare attuazione concreta all’articolo 3 della nostra Costituzione. Ciò richiede un forte presidio sugli apprendimenti nella scuola di base.

Per questo il Ministero, anche attraverso il prezioso aiuto del Sottosegretario Rossi Doria, nella cui delega è ricompresa questa materia, intende procedere nelle seguenti direzioni:

  1. riprogrammazione dell’azione mirata contro la dispersione scolastica con l’uso dei Fondi europei, nel periodo 2014-2020. Si tratta di interventi già avviati dal Ministero con il Ministro della Coesione Territoriale e con le Regioni e che, ad oggi, vedono 209 reti con una scuola capofila per ciascuna rete che si unisce ad altre scuole e alle agenzie educative di territori ben definiti nelle Regioni Obiettivo Convergenza. Si tratta di un’azione finanziata con un totale di 56 milioni di euro provenienti dai fondi POR, a cui si aggiungono 77 milioni di euro dei fondi PON presso il Ministero dell’Interno, questi ultimi tesi a dare risorse per centri sportivi e aggregativi, di intesa con le scuole o presso le scuole stesse;
  2. estensione dell’azione contro la dispersione scolastica, dopo un’attenta analisi di valutazione dei risultati e di accompagnamento. E’ già previsto che avvenga all’interno della riprogrammazione dei fondi europei per il periodo 2014-2020, sia nel Sud che nelle aree di massima esclusione economica e sociale delle Regioni del Centro-Nord. Dopo una dettagliata costruzione congiunta di obiettivi e priorità con Regioni e parti sociali, nell’incontro con la Commissione europea per la definizione dell’Accordo di partenariato fra Italia e UE – svoltasi a Bruxelles nei giorni 23 -25 aprile u.s. -, la Commissione ha accolto positivamente la costanza e l’innovatività di tale approccio;
  3. sviluppo della direttiva ministeriale del 27/12/2012 che migliora l’azione a favore del sostegno alle disabilità e fragilità degli studenti a scuola – i bisogni educativi speciali – implementando la rete territoriale di supporto, la formazione per i docenti e la realizzazione dei Piani didattici ed educativi personalizzati.

Scuola di qualità e per tutti significa anche aumento del tempo scuola e potenziamento della scuola dell’infanzia e delle sezioni primavera. Accedere fin da piccoli ad esperienze educative di qualità ed apprendere presto e bene nella scuola di base le conoscenze e competenze irrinunciabili sono fattori fondamentali per la qualità degli apprendimenti formativi, il successo formativo e il pieno sviluppo della persona. Si tratta di interventi che hanno un valore importante per le famiglie, soprattutto in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo. Per questo si intende:

  1. rafforzare e consolidare gli stanziamenti per l’apertura delle sezioni Primavera attualmente fissati in 12 milioni annui per il triennio 2013, 2014 e 2015. A tal fine, proporrò di portare tale stanziamento a 20 milioni annui a decorrere dal 2015;
  2.  estendere le classi di tempo pieno laddove da più tempo la domanda è rimasta insoddisfatta. Ciò significa non solo rispondere a delle esigenze della società civile, ma anche utilizzare uno strumento efficace contro l’abbandono scolastico. Infatti, come sottolineato anche nel documento dei Saggi, il “miglior strumento di contrasto all’abbandono è il prolungamento della scuola al pomeriggio negli anni del primo ciclo”. Ovviamente il pomeriggio non deve essere la replica delle lezioni della mattina, ma l’occasione di lavorare con numeri minori di alunni, ripartiti in gruppi, per sperimentare metodologie didattiche innovative;
  3. sostenere l’apertura dei servizi di mensa e doposcuola come strumento di supporto al successo formativo e di contrasto alla povertà e all’esclusione nelle aree difficili, come da accordi intercorsi tra il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e il Ministero della Coesione Territoriale.

Scuola per tutti come forma di inclusione significa anche scuola per gli adulti non scolarizzati. In vista dell’istituzione dei CPIA (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti), previsti a partire dall’a.s. 2014/2015, sarà necessario avviare sin da subito una serie di azioni, anche di carattere amministrativo, per definire, attraverso il coinvolgimento delle parti interessate, le Linee guida previste dal citato regolamento e realizzare – già dal prossimo anno scolastico – un numero adeguato di progetti assistiti a livello nazionale.

La formazione permanente è un’occasione di crescita per l’intera comunità nazionale. Non è una formazione residuale, né una formazione destinata a fasce marginali della popolazione. In tale ambito potrà procedersi anche alla alfabetizzazione degli adulti, all’utilizzo di nuove tecnologie e, in sinergia con i Comuni e le altre pubbliche amministrazioni, favorire la diffusione di servizi a distanza.

Il processo di ridefinizione del sistema di istruzione degli adulti e di avvio e funzionamento dei CPIA dovrà tener conto, tra l’altro, del complessivo disegno di sviluppo e potenziamento dell’apprendimento permanente, e delle nuove politiche di integrazione linguistica e sociale degli stranieri (Ministero del Lavoro e integrazione).

Pertanto, per sostenere e valorizzare il ruolo dei futuri CPIA nella nuova architettura del sistema dell’apprendimento permanente, sarà necessario avviare sin da subito tutta una serie di azioni in grado di raccordare i CPIA con il sistema delle reti territoriali dell’apprendimento permanente, e con il Sistema nazionale di certificazione delle competenze, nonché di potenziare e sviluppare gli interventi previsti dai due Accordi Quadro siglati dal Ministero e dal Ministero dell’Interno in materia di integrazione linguistica e sociale degli stranieri. Da ultimo, è opportuno segnalare il ruolo che da anni svolgono i Centri territoriali permanenti per l’istruzione e la formazione degli adulti negli istituti penitenziari; pertanto, sarà necessario avviare tutta una serie di azioni, anche in collaborazione con il Ministero della Giustizia, per potenziare e valorizzare il ruolo dei CTP in modo da consolidare il sistema di istruzione degli adulti nelle carceri alla luce delle nuove disposizioni regolamentari.

Scuola di qualità significa anche muoversi sulle nuove linee dell’apprendimento permanente per la crescita e del potenziamento dei sistemi integrati di istruzione, formazione e lavoro. L’attuazione delle norme contenute nella recente legge (L. 92/2012) di riforma del mercato del lavoro è una priorità strategica da realizzare anche attraverso servizi di istruzione, formazione e lavoro, organicamente collegati. Occorre valorizzare i saperi e le competenze posseduti, necessari per rafforzare l’esercizio dei diritti di cittadinanza, la coesione sociale, lo sviluppo delle imprese, l’innovazione del modello di welfare e delle politiche del lavoro, l’invecchiamento attivo della popolazione, in modo da sostenere la crescita del patrimonio culturale, professionale ed economico del Paese.

A tal fine, è fondamentale potenziare l’istruzione tecnico-professionale, raccordare i sistemi di istruzione, formazione e lavoro, e, soprattutto, rafforzare gli Istituti Tecnici Superiori in una dimensione multiregionale e in una visione coerente con il bisogno dei cluster. Nel prossimo mese di settembre Vi comunicherò i risultati raggiunti con la prima programmazione triennale degli ITS (Istituti tecnici superiori). ITS che vorrò sostenere, con il Sottosegretario Toccafondi al quale ho conferito specifica delega, e, in sinergia con il mondo imprenditoriale e con il Ministero del Lavoro, sviluppare ulteriormente, impegnandomi ad incrementare il contributo fornito dal Ministero oltre che, dopo un’attenta valutazione, premiare le migliori cinque esperienze di ITS, in modo che da tali modelli di eccellenza possano “gemmare” altre esperienze similari sul territorio nazionale.

In particolare, le misure di semplificazione e promozione dell’istruzione tecnico-professionale contenute nella L. 35/2012 vanno accompagnate con misure di rafforzamento dell’istruzione tecnico professionale, anche a livello terziario e con l’aumento dei percorsi di alternanza studio/lavoro, a sostegno dell’occupazione dei giovani, colmando progressivamente il divario ancora esistente tra domanda e offerta di lavoro per le professioni tecniche, e di crescita delle filiere produttive nei settori strategici dell’economia nazionale, anche ai fini della loro internazionalizzazione.

La cerniera studio/lavoro in Italia è molto carente ma costituisce l’elemento decisivo per conseguire risultati visibili anche nel breve/medio termine nel campo dell’avviamento al lavoro qualificato.

Concludendo questa parte sull’istruzione, voglio ricordare altri due temi su cui insieme, pur tenendo conto delle compatibilità finanziarie esistenti, potremmo lavorare:

  1. la revisione delle norme che prevedono l’inquadramento dei docenti inidonei nei profili di assistente amministrativo e tecnico;
  2. una normativa integrativa della riforma pensionistica che consenta una deroga, in considerazione della specialità del comparto scuola, al fine di permettere al personale scolastico che avesse maturato i requisiti previgenti nell’anno scolastico 2011/2012 di andare in pensione nell’anno scolastico successivo secondo la precedente normativa.

*   *   *

UNIVERSITA’
Per quanto attiene il settore università, nel corso del mio mandato avrò l’obiettivo prioritario di semplificare la vita di chi vi opera, deburocratizzando il più possibile la gestione per consentire a tutti di dedicare più tempo agli studenti.

Due le tipologie di interventi nel settore : a) interventi di sistema e b) interventi per gli studenti.

Non è tra i miei obiettivi una riforma sostanziale dell’università senza aver prima effettuato un monitoraggio sull’attuazione della legge 240/2010. L’obiettivo è quello di intervenire sui profili che appariranno problematici nonché di semplificare alcuni appesantimenti burocratico-amministrativi che soprattutto taluni provvedimenti attuativi della normativa primaria hanno introdotto nel sistema.

Inoltre, come ho già sottolineato a proposito della necessità della credibilità delle politiche, anche per l’università le risorse che il Paese deve mettere a disposizione delle istituzioni di formazione e ricerca non possono essere regolarmente oggetto di tagli e incertezze. Quello che serve è un orizzonte temporale pluriennale in cui il budget su cui sviluppare il sistema deve essere coerente con le politiche e le strategie che il Paese si impegna a perseguire.

L’investimento in formazione e ricerca è fatto di costi fissi e di risorse variabili adeguate rispetto agli obiettivi. Per queste ragioni, ritengo improcrastinabile un intervento di ripristino dei 300 milioni di euro a valere sul FFO delle Università statali a partire dal 2013 . Tale importo potrebbe essere in larga parte attribuito non su base storica ma come quota premiale, indirizzato esclusivamente a migliorare la vita degli studenti e la loro mobilità geografica (per servizi e strutture a loro dedicate come le residenze universitarie e le biblioteche).

Ritengo anche importante implementare strumenti, regole e incentivi che stimolino le università all’autofinanziamento che, tenendo conto delle diverse vocazioni e collocazioni territoriali, instaurino un meccanismo virtuoso di apertura delle università a collaborazioni con istituzioni pubbliche e private per alimentare e sostenere la formazione continua, la formazione degli insegnanti e degli adulti e la terza missione del sistema di istruzione superiore.

Dobbiamo anche sostenere il percorso di internazionalizzazione delle università: le università devono essere parte integrante del sistema di istruzione superiore europeo e devono essere attrezzate per collaborare e competere. La nostra capacità di stare nel sistema internazionale dipenderà dalla “leggibilità” e “portabilità” delle nostre regole in altre lingue e culture, sappiamo che abbiamo difficoltà ad attrarre studenti, ricercatori e professori stranieri in Italia, e dunque se vogliamo evitare la nostra marginalizzazione dobbiamo operare rapidamente nella semplificazione e flessibilità del nostro sistema.

Assicurare la copertura delle spese di personale è necessario ma accanto a questa esigenza vanno puntualmente definiti dei margini di investimento ulteriori funzionali a sostenere le politiche di sviluppo, di incentivazione, di differenziazione. Questo approccio richiede di entrare nel merito degli aggregati di spesa e di investimento, far emergere in modo trasparente i margini di inefficienza nell’allocazione e nell’utilizzo delle risorse, procedere ad eventuali riallocazioni delle stesse e, soprattutto, abbandonare la logica dei tagli lineari impegnandosi a sostenere le scelte politiche in modo adeguato. Destinare risorse alla formazione e alla ricerca deve essere un’opportunità anche per le imprese. Tali opportunità sono strettamente legate all’investimento in formazione e ricerca. L’ingresso dei giovani con profili formativi adeguati è un passaggio necessario per il rilancio delle nostre imprese che, contestualmente, devono essere stimolate all’investimento in ricerca e sviluppo attraverso adeguati incentivi di tipo finanziario.

Dal canto loro le Università, adeguatamente finanziate, devono essere messe nelle condizioni di esercitareuna vera autonomia responsabile. Autonomia e responsabilità richiedono la massima trasparenza dei bilanci, controlli puntuali da parte degli organi a ciò deputati a fronte dei quali deve essere garantita una maggiore flessibilità nelle scelte degli atenei. Va eliminato, come ho già detto, il rigido contingentamento delle assunzioni introdotto, da ultimo, dalla spending review 2012, che sta mettendo a rischio la sostenibilità dell’offerta formativa. Il reclutamento e i suoi limiti vanno invece graduati in relazione alla situazione economica della singola università, superando la metodologia attualmente utilizzata per la gestione degli organici, superando il blocco del turn over con l’introduzione di un vincolo di bilancio (meccanismo dell’assegnazione di un budget con fissazione di obiettivi da raggiungere, lasciando all’ente la decisione di come gestire le risorse).

Ciò ovviamente presuppone il rafforzamento di una cultura del “render conto” e di una pratica della valutazione secondo standard internazionali. Nell’ambito dell’attività di valutazione del sistema universitario e della ricerca e delle linee programmatiche e degli indirizzi del Governo è necessaria una maggiore chiarezza e distinzione di ruoli. Infatti, le università e gli enti di ricerca devono essere in grado di proporre una propria strategia di sviluppo coerente con le strategie del Governo e su questa vanno valutati.

E’ necessario al riguardo procedere ad una riflessione sul ruolo dell’ANVUR alla luce di questi primi anni di esperienza. Credo che l’attività dell’Agenzia debba orientarsi esclusivamente alla proposta di metodi valutativi, in grado di tradurre le strategie e gli obiettivi definiti dal Governo, valorizzando attraverso lavalutazione ex post la capacità delle istituzioni al perseguimento degli stessi nell’ambito di una rinnovata autonomia responsabile.

Questo vuol dire che la valutazione deve tornare al suo scopo originario: introdurre un meccanismo misurativo, fornire elementi conoscitivi delle realtà universitarie e criteri oggettivi per il riparto dei fondi. Occorre fermare il processo che si sta avviando di “amministrativizzare”e burocratizzare tutta la procedura di valutazione in altri campi (penso ad esempio alle procedure di abilitazione nazionale). A tal proposito occorre semplificare le indicazioni fornite alle commissioni, eliminando le incertezze e responsabilizzando le commissioni.

Per quanto attiene gli interventi sul personale ricercatore e docente dell’università, ritengo una priorità strategica quella di prevedere da subito un Piano straordinario nazionale reclutamento ricercatori ex art 24, comma 3, lettera b) Legge 240/10, con bando nazionale, che di fatto si configura come l’estensione ad una nuova categoria (i candidati attivi in Italia) del Programma per giovani ricercatori Rita Levi Montalcini, attualmente riservato a studiosi attivi all’estero. I vincitori del bando scelgono l’università presso la quale essere assunti con contestuale assegnazione all’ateneo delle relative risorse. Considerato che il costo annuo di un contratto è stimato in € 70.000, l’importo complessivo per l’attivazione ad esempio di 1000 posizioni richiede, a regime, una spesa di € 70.000.000. In relazione all’ottenimento dell’abilitazione scientifica nazionale, al termine del terzo anno tali contratti consentono l’assunzione del soggetto come Professore di II fascia ai sensi dell’art. 24, comma 5 della Legge 240/10.

Accanto a tale intervento di reclutamento dei ricercatori, è necessario rifinanziare la seconda parte del piano straordinario per il reclutamento di professori associati (ex art. 29, comma 3, della legge n. 240/2010) della durata di sei anni previsto dalla legge 240/10 ma finanziato solo per i primi tre anni. In questo modo si porterebbe termine il processo di promozione ad associato dei più meritevoli tra gli attuali ricercatori a tempo indeterminato, offrendo una prospettiva concreta alle procedure di abilitazione in corso. Ciascuna annualità ha un costo stimabile in € 90.000.000.

Il combinato di questa misura e di quella sui nuovi Ricercatori, che permetterebbe agli atenei di utilizzare eventuali disponibilità proprie per il reclutamento di professori ordinari e di tecnici amministrativi, consentirebbe di ricostruire una politica organica di crescita del personale universitario senza accentuare squilibri dovuti al susseguirsi di interventi riservati ad una sola fascia o ruolo.

Per quanto attiene agli interventi per gli studenti, e quindi il versante dell’offerta formativa e del diritto allo studio, ho la piena convinzione che l’offerta formativa universitaria vada resa più interdisciplinare e trasversale. Essa dovrebbe essere modulata in modo da consentire lo sviluppo e la creazione di percorsi e profili in cui accanto alla competenze specifiche e disciplinari è necessario acquisire competenze, strumenti, metodologie e capacità di lavoro trasversali in grado di essere spese in un mercato del lavoro e della formazione meno settoriale. Del resto, ritengo che anche le carriere accademiche debbano riflettere tale esigenza, riducendo ulteriormente le rigidità della classificazione in settori disciplinari ed evitandone l’ulteriore sotto ripartizione. Ugualmente la qualità della formazione dottorale orientata a percorsi di ricerca scientifica ma anche alla formazione di competenze di altissimo livello per il mondo dell’impresa, va strutturata principalmente sul profilo del dottorando, anche valorizzando logiche di flessibilità, interdisciplinarietà e qualità dei contenuti e delle esperienze messe a disposizione del dottorando durante il percorso formativo (mobilità da un corso di laurea).

Da un punto di vista di sistema va sicuramente incrementata la valorizzazione del dottorato come titolo nei concorsi nella pubblica amministrazione ed è necessario attivare tutte le misure necessarie a rendere la durata effettiva del percorso di studi uguale a quella nominale, il percorso effettivo dei nostri studenti risulta troppo lungo rispetto ai cinque anni previsti nel processo di Bologna.

Quanto al diritto allo studio, le Regioni si comportano in modo molto differenziato sul territorio nazionale, sia in termini di fissazione delle condizioni economiche richieste per l’accesso alle borse di studio, sia in termini di compartecipazione finanziaria 5. In Italia, ottiene una borsa di studio solo il 7% degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6% della Francia (1,6 miliardi), il 30% della Germania (2 miliardi) e il 18% della Spagna (943 milioni). In 5 anni il nostro dato è calato (-11,2%), mentre è aumentato negli altri paesi (Francia +25,9%, Germania +18,6%, Spagna + 39%). Il diritto allo studio per i meritevoli è negato dallo scandalo italiano degli idonei senza borsa, che evidenzia drammaticamente la distanza tra Nord e Sud: nel 2010/2011, dei 181.312 studenti aventi diritto a una borsa di studio hanno avuto la borsa solo in 136.222: più della metà degli aventi diritto non beneficiari di borsa sono nel Mezzogiorno.

Il diritto allo studio in Italia è sotto finanziato e siamo ultimi in Europa. Al riguardo, prendo spunto, condividendolo appieno, da quanto segnalato nel documento dei Saggi nominati dal Presidente della Repubblica, che, dopo aver sottolineato la gravità della simultaneità negli ultimi anni di una drastica riduzione della mobilità sociale e dei finanziamenti per il “diritto allo studio”, ha individuato la necessità di “aumentare in modo consistente il Fondo integrativo statale, anche per sottolineare che lo Stato intende offrire reali opportunità verso gli studenti meritevoli provenienti da famiglie meno abbienti”6. Lavorerò perché questo accada.

Un tassello fondamentale per il diritto allo studio è rappresentato dalla disponibilità di servizi e posti letto per gli studenti. Negli ultimi anni soprattutto grazie agli interventi della legge 338/2000 molti sono stati gli investimenti per le residenze universitarie in tale direzione attraverso il cofinanziamento alle Università, agli Enti per il diritto allo studio, ai collegi universitari di risorse finanziarie dedicate. Ritengo che, ad oggi, vada fatta una ricognizione puntuale sullo stato di realizzazione delle opere finanziate, ivi comprese quelle previste nell’ambito del PIANO SUD (fondi MISE – Delibera CIPE). Nella misura in cui le disponibilità finanziarie lo consentiranno, si potrebbe operare in due direzioni: assicurare un finanziamento annuo aggiuntivo pari almeno a 30 milioni di euro a valere sulla legge 338/2000 (da destinare in prevalenza agli atenei non collocati in regioni obiettivo 1); verificare la possibilità di ridestinare una parte delle risorse del Piano Sud (relative a interventi non ancora avviati o ad accordi di programma non ancora stipulati) alla realizzazione di residenze universitarie. Parlando di alta formazione, consentitemi anche di illustrare talune priorità relative al sistema dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica.

In primo luogo, sicuramente va affrontata la drammatica situazione degli istituti musicali pareggiati, su cui l’ANCI ha lanciato un grido di allarme. Infatti, negli ultimi anni gli Enti locali hanno manifestato notevoli difficoltà ad assicurare a tali Istituzioni i finanziamenti finora concessi, arrivando in alcuni casi al non rinnovo delle convenzioni che regolano i rapporti con gli Istituti musicali. Ormai, siamo nella condizione, in alcuni Istituti musicali pareggiati, di non garantire da alcuni mesi il semplice pagamento degli stipendi al personale. Da un lato è necessario trovare risorse straordinarie per consentire di ripristinare l’ordinaria attività degli Istituti in maggiore difficoltà. Contemporaneamente è mia intenzione pensare subito, a valle di una discussione pubblica con i più prestigiosi esperti del settore, ad un riordino del sistema che, razionalizzando il sistema binario dei conservatori e degli istituti pareggiati, rilanci il sistema musicale in Italia; così come una riflessione pubblica va aperta sul ruolo delle accademie. Io credo che la cultura artistica e musicale sia importante, non soltanto in sé, ma anche per l’immagine del nostro Paese nel mondo.

In tale ambito, presterò attenzione ai problemi del personale del settore ed in modo particolare ai precari.

*   *   *

RICERCA
Anche il settore della ricerca, come quello universitario necessita di interventi sia di sistema sia specifici relativi alla figura del ricercatore.

Per quanto attiene il primo profilo, tutti gli interventi del Ministero dovranno avere un unico obiettivo : quello di creare un “sistema nazionale della ricerca”, che rappresenta un’esigenza strategica per il Sistema Paese, essendo uno dei volani per lo sviluppo, anzi, come ho sempre sostenuto “la scienza e ricerca sono la base essenziale della competitività del Paese”.

Indubbiamente, tutto le linee di azione che illustrerò miranti alla costruzione del sistema nazionale della ricerca, andando nella direzione del massimo efficientamento e della deburocratizzazione dell’azione amministrativa, non possono essere da sole sufficienti al raggiungimento dei target di spesa in ricerca fissati in ambito europeo (3% sul PIL). Per arrivare a tale obiettivo è necessario cercare di reperire ulteriori risorse da destinare al settore, in particolare per quanto concerne:

  • la ricerca di base che ad oggi conta 63 Meuro circa, a fronte degli 83 Meuro dell’anno 2012;
  • il FOE che nel 2013 ha una dotazione complessiva pari a 1,79 miliardi di Euro a fronte di una dotazione per l’anno 2012 pari a 1,76 miliardi di Euro;
  • la ricerca industriale (ex FAR) che vive dei rientri del credito agevolato e che non viene più rifinanziata per quanto concerne il contributo alla spesa da 2 anni.

Quanto al FOE, condivido le osservazioni di sistema che le Commissioni hanno ritenuto di esprimere in occasione del parere sul decreto di riparto per il 2013.

Esse sono coerenti con il mio modo di pensare e vanno prevalentemente nella stessa direzione in cui intendo muovermi.

Per ottenere la creazione di un sistema nazionale della ricerca e la consapevolezza del Paese di avere tale “sistema”, dobbiamo essere in grado da un lato di garantire, mediante una stretta collaborazione tra i Ministeri a vario titolo competenti, un governo unico del processo e quindi una coesione delle politiche sulla ricerca, e dall’altro di dare risposte adeguate alle istanze degli “stakeholders”, in merito ai tempi delle procedure amministrative, con particolare riferimento alla erogazione delle risorse ai beneficiari, e alla loro trasparenza.

A tale scopo si ritiene necessario:

  • un’incisiva semplificazione normativa e procedurale che coniughi qualità, essenzialità, tempestività, efficienza dell’azione amministrativa ed attenzione ai bisogni della collettività;
  • meccanismi di supporto e incentivazione ai ricercatori che vincono grant europei;
  • un maggiore allineamento dell’impostazione dei meccanismi e degli strumenti del PNR con quanto adottato in ambito comunitario con Horizon 2020;
  • l’utilizzo dei sistemi di “peer review”;
  • il potenziamento e l’ammodernamento dei sistemi tecnologici delle strutture amministrative a supporto della gestione delle varie tipologie di interventi al fine di rendere sempre più efficienti le fasi di valutazione ex ante, in itinere ed ex post e di minimizzare i tempi di rimborso degli investimenti in ricerca;
  • la trasparenza dell’azione amministrativa, anche secondo le logiche dell’Opendata e dell’OpenAccess per aumentare l’accountability dell’amministrazione ed innescare processi virtuosi di miglioramento dell’azione amminsitrativa.

In modo particolare:

  • per la realizzazione del nuovo Piano nazionale della ricerca (PNR) 2014- 2016, imprescindibile strumento di pianificazione strategica nazionale a forte rilevanza comunitaria che descrive le azioni innovative per sostenere e accompagnare il Paese verso l’economia della conoscenza e che rappresenta il quadro di riferimento per tutte le Amministrazioni e gli Enti competenti in materia di ricerca e innovazione, questo governo intende rivedere il processo di definizione improntandolo ai principi di massima inclusione degli attori rilevanti e contemporanea rigorosa individuazione di tempi e “milestones” che garantiscano la qualità, la completezza, la fattibilità e la tempestività del PNR 2014-2016. Dovrà anche essere messo in opera un meccanismo di monitoraggio e valutazione in itinere dell’attuazione del PNR, in modo da verificarne periodicamente la sua realizzazione in termini di risultati raggiunti;
  • nell’ambito delle attività di sostegno alla ricerca fonamentale (per l’ampliamento delle conoscenze scientifiche e tecniche non connesse ad obiettivi commerciali o industriali) emergono rigidità gestionali e procedurali, in parte dovute alle specificità delle attività finanziate. L’obiettivo è quello di incidere sugli aspetti che consentano di allungare i tempi della perenzione amministrativa, aumentare la flessibilità nella gestione dei progetti di ricerca riducendo gli interventi autorizzatori del Ministero alle c.d. “varianti scientifiche”, permettere la portabilità dei progetti e pervenire alla massima deburocratizzazione della gestione dei progetti di ricerca;
  • il bagaglio informativo dell’anagrafe nazionale delle ricerche, per ora limitato ai soli progetti di ricerca industriale, presenta un aggiornamento non ancora sufficientemente tempestivo; inoltre il collegamento tra diverse risorse in rete non è ancora completo. Il Ministero è impegnato nell’implementazione di profili di interoperabilità con altre banche dati, anche attraverso l’apertura all’accesso ad altre istituzioni pubbliche e la messa in esercizio di tutti gli strumenti dell’Anagrafe, allo scopo di realizzare una banca dati unica aggiornata e completa di tutti i progetti di ricerca, con particolare attenzione alla pubblicazione dei risultati della ricerca, in una logica di massima trasparenza (open data e open access);
  • la realizzazione e l’implementazione del portale unico della ricerca – Research Italy – per raccogliere e divulgare i risultati della ricerca svolta dagli Enti, dalle Università e dai privati, aperto al contributo degli attori del sistema e arricchite di funzionalità di dialogo tipiche dei più moderni Social Network;
  • l’ottimizzazione dei processi e delle procedure amministrative per alleggerire il carico burocratico imposto ai diversi soggetti coinvolti nella gestione dei progetti, pur nell’ottica di mantenere i controlli previsti dalle normative vigenti;
  • l’istituzione della figura del project officer sul modello europeo, per il momento prevista per i progetti PON, poi da estendere anche ai progetti di ricerca industriale, che costituirà l’interfaccia unica del Ministero nei confronti dei coordinatori dei progetti per velocizzare e semplificare gli adempimenti posti a carico delle imprese, delle università e degli enti pubblici;
  • creazione della sezione Open Data nel sito web del PON Ricerca e Competitività per rendere disponibili tutte le informazioni rilevanti (avanzamento del Programma e dei singoli progetti approvati, dati dei beneficiari, sui controlli, sui risultati, sull’attuazione del Programma); tale sezione, all’esito dell’aggiornamento delle funzioalità dell’anagrafe della ricerca verrà prevista anche per i progetti di ricerca industriale;
  • sviluppo della politica di Open Access dei risultati e dei dati della ricerca, sulla base delle raccomandazione della Commissione Europea, al fine di rendere fruibili i risultati della ricerca finanziati con risorse pubbliche e di conseguenza massimizzare l’impatto degli stessi nei confronti della collettività;
  • la mappatura delle specializzazioni regionali nell’ambito degli obiettivi della nuova Programmazione 2014-2020 ed in coerenza con quanto indicato dal programma comunitario Horizon 2020, allo scopo di costruire un quadro strategico condiviso, fondato sui punti di forza dell’economia e dell’identità regionale, condividere e rafforzare l’identità regionale, la concentrazione e l’integrazione degli interventi, consolidare il percorso di trasformazione del sistema produttivo verso l’economia della conoscenza e dell’innovazione;
  • creazione della nuova banca dati esperti (REPRISE – Register of Expert Peer Reviewers for Italian Scientific Evaluation), da cui, in attuazione di quanto previsto dalle normative vigenti, il Ministero attingerà per l’individuazione degli esperti incaricati delle valutazioni dei progetti di ricerca (fondamentale ed industriale); il ruolo del Comitato Nazionale dei Garanti della Ricerca (CNGR) qualificherà la banca dati attraverso la definizione e la valutazione delle condizioni minime necessarie (in termini di affidabilità scientifica e di rispetto degli impegni) per l’iscrizione e il mantenimento degli esperti nell’elenco.

Ovviamente perché il sistema nazionale della ricerca si realizzi occorre rendere efficace il coordinamento degli enti di ricerca e modificarne i meccanismi di finanziamento, anche in questo caso, dando certezza di budget pluriennali specifici per ciascun ente basati su piani di attività dettagliati. A ciò si deve affiancare un monitoraggio continuo dei risultati da rendere pubblico in una logica di “accountability”. Ciò potrà avvenire con la messa a regime del ruolo dell’ANVUR nella valutazione dei risultati raggiunti dagli enti di ricerca al fine della ripartizione del FOE e della quota di premialità destinata agli enti medesimi, nonché con una necessari armonizzazione dei controlli tra ANVUR e CIVIT. Solo con queste nuove modalità sarà possibile garantire agli enti di ricerca una maggiore flessibilità ed autonomia nella definizione della propria struttura amministrativa, permettendo, ad esempio, agli stessi di attuare il percorso di tenure track per il reclutamento o di selezionare i propri dirigenti utilizzando le competenze specifiche di ricercatori e tecnologi, oltre che dei dirigenti amministrativi.

Per quanto attiene il secondo profilo, quello specifico dello status di ricercatore, una particolare attenzione merita l’impellente necessità di ricostruire un contesto nazionale favorevole alla valorizzazione dei nostri talenti, con particolare riferimento a coloro che quotidianamente sono impegnati nel mondo della ricerca, creando un contesto, un vero e proprio “ecosistema” capace di valorizzare i talenti nazionali.

Per troppo tempo il nostro Paese ha interpretato il fenomeno della “fuga dei cervelli” in modo sbagliato, non comprendendo che il talento è, per propria intrinseca natura, un “bene mobile”, naturalmente portato a muoversi e a spostarsi lì dove esistono le migliori condizioni, sociali ed economiche, per esprimere al meglio le proprie attitudini. Al contrario, dal nostro Paese i talenti escono (e non rientrano), non per una naturale predisposizione alla circolazione, ma per la “disperazione” di trovarsi all’interno di un contesto incapace di valorizzare e di offrire adeguate opportunità di espressione. Ciò risulta ancor più aggravato in un’epoca, quale quella attuale, in cui deve riconoscersi che il lavoro è un risultato sempre più spesso da creare direttamente, attraverso la “liberazione” delle migliori energie creative di cui il nostro Paese certamente dispone.

A tal fine occorre favorire la nostra attrattività per i nostri migliori ricercatori (per esempio ricercatori all’estero o coloro che vincono grant ERC, o altri grant europei di elevata selettività e prestigio scientifico come per esempio i FET Open) ed immetterli in posizioni stabili nelle università e nei Centri di ricerca. Non è più sufficiente concedere a questi nostri connazionali posizioni temporanee: chi studia e lavora all’estero molto spesso in condizioni migliori dei nostri ricercatori non valuta di spostarsi neppure se non di fronte ad una prospettiva di stabilità.

In questa ottica, intendo sviluppare e porre in essere una serie articolata e organica di interventi finalizzati. Da un lato, occorre favorire e sviluppare una vera e propria “educazione all’indipendenza”: il ricercatore deve avere a disposizione una serie di strumenti idonei ad accrescere la sua vocazione ad essere indipendente, ad essere in grado di muoversi nello spazio globale della ricerca, di competere per finanziamenti da parte delle istituzioni di ricerca internazionale. Sul piano della libertà di ricerca, è una priorità strategica favorire una reale autonomia del ricercatore, che dovrà essere messo in condizione di partecipare liberamente e autonomamente a bandi di ricerca, tagliando vincoli tuttora esistenti nel mondo accademico, e garantendogli la diretta e autonoma gestione dei fondi acquisiti e la loro “portabilità” in casi di mobilità geografica e disciplinare. Infatti l’attività di ricerca, che, per sua stessa natura, è autonoma e basata sulla creatività; ecco perché appare necessario il riconoscimento della specificità del lavoro nella ricerca e definizione dello stato giuridico del personale degli enti pubblici di ricerca. Infatti, la specificità del lavoro di ricerca non s’inquadra facilmente entro le categorie di lavoratori dipendenti che sono distinte dalla normativa vigente. Occorre quindi stabilire con maggiore chiarezza sia i compiti generali del ricercatore e del tecnologo, sia le garanzie e i limiti della libertà di ricerca. Più in generale, deve essere stabilito in modo chiaro che l’attività di ricerca che si svolge negli Enti Pubblici di Ricerca ha una sua specificità rispetto al complesso della Pubblica Amministrazione che rende necessario allentare i numerosi vincoli, in particolare quelli operanti in virtù del D.lgs. 165/2001 e quelli relativi alle assunzioni limitate alla quota di turn over (che, nel documento dei Saggi nominati dal Presidente della Repubblica, viene chiesto di innalzare per i ricercatori, i tecnologi e le altre figure tecniche degli enti pubblici di ricerca e delle università).

Un’altra iniziativa per tutelare la libertà del ricercatore è quella di migliorare e valorizzare il processo di formazione continua ottimizzando le risorse dedicate alla formazione, mettendo in comune le iniziative non solo all’interno del comparto pubblico (e già sarebbe molto importante prevedere una totale mobilità del ricercatore tra enti di ricerca e università) ma anche condividendole con il settore privato, divulgando e aprendo alla partecipazione esterna quelle per le quali vi sia un interesse multisettoriale. Nell’affrontare questi aspetti sarà fondamentale procedere di comune accordo con i partners dell’area di ricerca Europea in modo da costruire un sistema normativo quanto più possibile omogeneo, aperto, e riconoscibile come proprio dai Paesi della European Research Area.

A tal fine, il Governo intende definire una serie di azioni (sia sul piano legislativo, sia sul piano più immediatamente operativo), assunte e portate avanti in modo razionale organico:

– Sostenere iniziative di ricerca industriale da parte di startup innovative, costruendo, in collaborazione con altre Amministrazioni (es. MISE), percorsi coordinati che sappiano accompagnare le migliori giovani imprese innovative del nostro Paese a immettere sul mercato prodotti e servizi altamente innovativi e per questo competitivi;

– Coinvolgere nelle iniziative di ricerca industriale da parte di startup innovative il mondo finanziario e del capitale di rischio, unitamente a forme innovative quali il crowdfunding, per movimentare flussi di capitali necessari al potenziamento di imprenditoria innovativa. In particolare, intendo introdurre, anche avvalendomi del supporto del Sottosegretario Galletti, nella cui delega vi è questo specifico compito, “programmi di ricerca industriale per incentivare l’investimento privato”, con defiscalizzazione degli interventi in ricerca e in attrezzature e incentivi all’assunzione di dottori di ricerca qualificati nelle imprese;

– Potenziare l’interazione e la contaminazione tra il mondo della ricerca pubblica e le imprese, mediante forme di “sostegno intellingente” alle imprese che favorisca la partecipazione del mondo industriale al finanziamento di corsi di dottorato, di assegno di ricerca post-doc; sostenere i periodi di formazione del ricercatore presso le imprese, valorizzare contenuti didattici orientati alla cultura della imprenditorialità innovativa, stimolando all’interno delle università percorsi di formazione di figure professionali nuove, quali business angels e venture capitalist, favorire nuovi meccanismi di prestiti agli studenti accompagnati da nuove forme di restituzione da parte delle imprese che li avranno reclutati (rivisitazione del concetto di prestito d’onore);

– Proseguire nella strada già avviata dal Ministero a favore delle iniziative di “social innovation”, per sostenere progetti innovativi di concreta ricaduta sociale a favore dei giovani sotto i 30 anni.

In conclusione, vorrei sottolineare come molti dei punti che ho illustrato rappresentano non una politica settoriale, ma un’attuazione specifica delle politiche generali del Governo Letta e, per questa ragione, potranno essere affrontati con interventi normativi o amministrativi di carattere più generale. In particolare, mi riferisco alle misure per l’occupazione giovanile, per la valorizzazione dell’esperienza ITS, per la formazione degli insegnanti, per l’edilizia e per il raccordo Stato-regioni sulla ricerca».

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