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“Tutto si muove, tutto si tiene”, di Albertina Soliani

All’Istituto Luigi Sturzo è stato presentato il libro di Albertina Soliani “Tutto si muove, tutto si tiene. Vita e politica. Quasi un bilancio per la generazione che viene”. Il romanzo è la storia di un viaggio di una vita dove ad ogni passo c’è un incontro positivo per il quale l’Autrice è grata. Ci sono 403 nomi di incontri. Li ha numerati una sua amica della Birmania leggendo questo libro che precisa: “credo che il senso di ogni viaggio anche quello che tu hai descritto stia nel fermarsi ad ascoltare chiunque abbia una storia da raccontare..”.

tutto_si_muove_300Insieme all’Autrice, hanno partecipato alla presentazione: Mauro Massa, presidente della casa editrice Diabasis, Liliana Cavani, regista, Flavia Piccoli Nardelli, Vicepresidente della Commissione Cultura della Camera. Ha moderato l’incontro: Giovanna Casadio, giornalista di Repubblica.

Il libro è la storia di vita e politica di Albertina Soliani, racchiusa tra due abbracci. Quello della gente del suo paese natale nella bassa reggiana e oggi anche quello della gente birmana, attraverso gli incontri con Aung San Suu Kyi. Tra Boretto e Rangoon si snoda il racconto di questo libro, più di una biografia personale alla fine del mandato parlamentare. È la ricostruzione di quel tessuto di relazioni di amicizia, costellazioni d’idee, che con ostinazione e misteriosi collegamenti hanno contribuito al rinnovamento della Chiesa, della scuola e della politica in Italia. Un percorso non privo di delusioni, come per gli ostacoli al progetto dell’Ulivo e le tre cadute politiche di Prodi, raccontate senza reticenze nel giudizio sulle responsabilità personali e dei partiti. Sempre con la speranza delle sentinelle che guardano oltre la notte, per affidare l’alba alle nuove generazioni.

Tutto si muove, tutto si tiene
Roma, 11 settembre 2014
Intervento dell’On. Flavia Piccoli Nardelli

Le narrazioni sono fondamento della nostra identità e collante della società secondo la psicologia evoluzionista.

Albertina Soliani è già tutta nella citazione di Bonhoeffer che mette come premessa al racconto della sua esperienza di vita: «Per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in questo affare, ma quale potrà essere la vita della generazione che viene?». Frase che De Gasperi fa sua quando dice: «un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista alla prossima generazione».

Questo per dire che questo libro è, in un senso alto, un libro politico. Molto più di un’autobiografia e molto più di quello che appare.

È un libro che guarda alla esistenza individuale con una prospettiva che non è né individualistica, né autocelebrativa.

Il libro di Albertina Soliani è più di un’autobiografia, è molto più di quello che appare.

Tre aspetti, tra i tanti che mi hanno colpito, sono squisitamente politici.

Il primo, là dove si legge «la tua vita incontra la politica quando sperimenti una comunità che ti accoglie».

Il ricordo che viene richiamato è quello di Albertina a cinque anni scelta per interpretare Gesù bambino nel presepe del suo paese.

Quindi, l’immagine di politica che viene proposta dall’inizio del libro non è quella di lotta per il potere, ma ha a che fare con la realizzazione piena di sé, con l’esperienza di una solidarietà.

Albertina, ricordando quali sono i compiti che la Repubblica da a se stessa e quindi ai rappresentanti politici, dice «Rimuovere gli ostacoli, un impegno che vale una vita».

Il secondo aspetto che va ricordato in quest’ottica è l’idea che: «Fede e storia, spiritualità e laicità: tutto si tiene» con un esplicito riferimento alla pluralità di esperienze che vengono raccontate tipiche di una generazione, quella di Albertina, ma anche la mia e di Liliana Cavani, che hanno avuto grandi opportunità: il suo studiare e lavorare insieme [«negli anni giovanili conoscere il lavoro è formativo come studiare», scrive nel libro].

La militanza in azione cattolica e nella democrazia cristiana.

Parma nel 1968 al crocevia del fermento che percorreva tutti gli ambiti del vivere insieme. [«Essere dentro il cambiamento, parte del cambiamento», come lei dice].

Esperienze diverse che documentano una straordinaria apertura alle circostanze, al nuovo.

Eppure tutta questa complessità costruisce, aumenta lo spessore di una coscienza individuale. Come scrive tutto si tiene nell’unità della persona perché il libro è la testimonianza di una apertura che non è dispersione.

Siamo pieni di esempi di chiusura in una propria posizione consolidata, che impedisce di cogliere le opportunità offerte da nuove circostanze e incontri.

Ma siamo anche spettatori di forme di apertura indiscriminata ad ogni novità, forme di apertura dispersiva, incapaci di testimoniare una crescita di spessore umano e politico, di accoglienza della realtà.

Il terzo ed ultimo elemento della visione politica di Albertina: la centralità che assume in questa ottica la scuola, nella sua storia personale, che si inserisce nella grande storia delle donne.

Per Albertina la scuola è il riscatto, l’opportunità e la forza che può trasformare la vita delle persone. Ed è la politica che consente di superare le diseguaglianze, garantire giustizia, offrire opportunità di felicità. La sua idea di scuola si sublima nella sua visione politica.

È il presalario di Fanfani ai meritevoli e privi di mezzi che si iscrivevano all’università.

È lo studio per la sua tesi di laurea delle “Scuole del popolo” dei primi del Novecento, di Adelaide Coari, dell’Italia che si riscatta con l’istruzione.

È la sua esperienza in Cattolica.

Sono Don Lorenzo Milani, è Padre Balducci, è Mario Lodi. Sono i pedagogisti come Agazzi, i filosofi come Severino e Reale. Ma sono anche Paola Gaiotti De Biase e Lidia Manapace e Ermanno Gorrieri e Pietro Scoppola.

soliani1L’esperienza di Albertina è dentro un mondo che è il nostro mondo, quello che qui allo Sturzo mantiene testimonianza delle sue radici. Ma quello di Albertina è un mondo che arriva fino ai diritti degli Armeni e fino all’esperienza Birmana con il difficile tentativo di Aung San Suu Kyi per gettare le basi e le regole della democrazia nel confronto con il governo e con il regime militare. Albertina dice di quell’amicizia: «là ho sentito la sua rivoluzione dello spirito, basata sul riconoscimento della verità, sul perdono, sulla riconciliazione».

Si tratta insieme di testimonianza, di impegno per la realizzazione di forme di comunità, di riconoscimento della pluralità come ricchezza.

Con un’ultima osservazione, di nuovo di natura politica.

In qualche modo nel libro oltre ad una testimonianza mi sembra ci sia anche una prospettiva che Albertina propone e che trae dalla sua vicenda personale, quella del crescere dello spessore umano al confronto con la diversità: è una strada che ha come riferimenti la comunità che accoglie e l’unità della persona, come memoria della propria storia.

In questo libro si intuisce la possibilità di un potere che non è solo l’acquisizione di spazi e strumenti, fosse anche per il bene comune. Certamente il potere è anche questo e questo aspetto non può essere demonizzato. Però si intuisce la presenza nelle esperienze narrate di una diversa forma di potere, un potere che è autorevolezza attrattiva che avvince perché corrisponde alle esigenze profonde di realizzazione e di solidarietà dell’essere umano.

Albertina è un’amica, un punto di riferimento, una guida preziosa. Albertina sa ancora indignarsi, sa pretendere spiegazioni, sa vedere il mondo da Boretto tenendo insieme tutto quello che tra Boretto ed il mondo è degno della nostra attenzione. Per questo leggere il suo libro è un’emozione ma anche una lezione di vita.

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