Flavia Piccoli Nardelli è intervenuta in Aula alla Camera per la dichiarazione di voto del Partito Democratico sulla proposta di legge in materia di accesso aperto all’informazione scientifica, sostenendo che seppure siano condivisibili le motivazioni sottese all’intervento legislativo il provvedimento rimane un’occasione mancata, privo di quel coraggio necessario a guidare una transizione che tenga conto delle dinamiche di mercato e soprattutto dei criteri della valutazione di ricerca che condizionano i ricercatori, anche in relazione, appunto, a quanto si sta discutendo oggi all’interno dell’Unione europea. Siamo convinti che sarà necessario un attento monitoraggio nella fase di applicazione delle nuove disposizioni per evitare effetti indesiderati.
Di seguito la dichiarazione di voto di Flavia Piccoli Nardelli
Camera dei deputati – XVIII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell’Assemblea
Seduta n. 141 di mercoledì 13 marzo 2019
Proposta di legge: Gallo ed altri: Modifiche all’articolo 4 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, nonché introduzione dell’articolo 42-bisdella legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di accesso aperto all’informazione scientifica (A.C. 395-A)
Dichiarazioni di voto finale
FLAVIA PICCOLI NARDELLI (PD). Presidente, Governo, colleghi, noi affrontiamo una tematica, quella dell’open access, che da più di vent’anni accompagna la riflessione nella società della conoscenza e nei suoi contenuti e nei modi in cui viene prodotta e utilizzata, come viene distribuita, quindi nei processi sociali e di gestione della conoscenza stessa, come abbiamo detto ieri. Quindi, non un tema tecnico, che sia fuori da quelli che sono gli interessi di quest’Aula, che sia fuori dagli interessi di tutti quelli che sono i cittadini che seguono e si occupano di queste cose.
Due sono le posizioni che nel corso degli anni si sono contrapposte: quella che vede nella conoscenza soprattutto la scoperta di uno studioso, di uno scienziato, che oggi diventa e viene riconosciuta come una delle principali forme di ricchezza, gestite secondo logiche di tipo industriale, regolate da leggi sulla libera concorrenza, sui brevetti, sulla proprietà intellettuale. Dall’altra parte, la scuola di pensiero che considera, invece, la conoscenza come il risultato di uno sforzo condiviso e collettivo, teso a favorire la libera circolazione della conoscenza anche sul terreno delle pubblicazioni scientifiche, perché pensa che l’accesso aperto ai dati della ricerca scientifica migliori la qualità dei dati, riduca le necessità di duplicazioni delle attività di ricerca, acceleri il progresso scientifico e contribuisca alla lotta contro le frodi scientifiche.
Le due concezioni si sono contrapposte e intrecciate in questi anni, ne abbiamo parlato ieri in discussione sulle linee generali a lungo, perché la prima ha visto la progressiva estensione, dicevamo, dei termini legali della durata del copyright, che oggi arriva fino a settant’anni dalla morte dell’autore; ha visto la diffusione di strumenti di misurazione dei risultati accademici basati su indici bibliometrici proprietari come l’impact factor; ha favorito concentrazioni editoriali sempre più massicce e ha dovuto, infine, constatare, ahimè, l’aumento rapidissimo dei prezzi degli abbonamenti delle riviste scientifiche, cresciuti in maniera molto superiore all’inflazione.
L’altra concezione della conoscenza ha investito, invece, direttamente l’open access, l’accesso aperto alla letteratura scientifica, con l’obiettivo di rendere le pubblicazioni scientifiche consultabili da chiunque in formato digitale a costi nulli o fortemente ridotti e con modalità di gestione dei diritti di proprietà intellettuale che le rendano liberamente riproducibili.
Noi, come abbiamo detto ieri, sosteniamo e ribadiamo che il testo è molto complesso, perché prevede interventi, come dicevamo, che riguardano autori, editori, scienziati, studiosi, lettori, pubblico di non specialisti, bibliotecari, committenti e finanziatori, e questo impone, a nostro avviso, particolari cautele. Ricordiamo anche che il tema ha ormai una lunga storia alle spalle in sede europea e in sede italiana, e che nell’ultimo decennio l’Unione europea ha impresso un’accelerazione molto netta alla promozione dell’accesso aperto, intervenendo due volte, con una prima tappa nella raccomandazione della Commissione la n. 417 del 2012, che è stata recepita nel nostro ordinamento, e una seconda tappa nella raccomandazione della Commissione europea, la n. 790 del 2018, quindi molto recente, che interviene sullo stesso tema, ribadendo i principi, più o meno, che informavano la precedente.
Come si è detto, le raccomandazioni intervengono chiedendo di assicurare quanto possibile un accesso aperto alle pubblicazioni, preferibilmente subito e comunque non più di sei mesi dopo la loro data di pubblicazione; periodo esteso a dodici mesi nel caso di pubblicazioni nell’area delle scienze umane e sociali. Spingono ulteriormente, naturalmente con i mezzi che possiedono, subordinando il finanziamento dei progetti europei di ricerca al deposito degli articoli su archivi aperti e fanno propria la legislazione sul diritto d’autore, prevedendo addirittura il rimborso delle spese sostenute per la pubblicazione dei contributi in riviste open access. Intervengono, però, anche sulle modalità attraverso cui realizzare l’accesso aperto ai risultati della ricerca, naturalmente limitandola a quelli finanziati per una quota pari o superiore al 50 per cento dei fondi pubblici.
Sottolineo soltanto la difficoltà che qualche volta c’è di chiarire quant’è il 50 per cento dei fondi pubblici e definire meglio quello che è l’intervento finanziario di supporto. Comunque, intervengono ribadendo che l’accesso aperto interviene attraverso due vie, è reso possibile attraverso due vie. Quindi, come e in che modo? Al momento della prima pubblicazione dei risultati della ricerca attraverso la pubblicazione da parte dell’editore, in modo tale che l’articolo risulti accessibile a titolo gratuito, la cosiddetta “gold road” o via d’oro, oppure tramite la ripubblicazione, da parte dell’autore e senza fini di lucro, in archivi elettronici istituzionali o disciplinari entro i tempi indicati.
Noi nel 2013 abbiamo recepito le indicazioni della Commissione europea con alcune cautele introdotte dalle Camere nel corso del processo di conversione in legge del decreto, prevedendo tempi più lunghi per l’obbligo di pubblicazione e limitandolo ad articoli pubblicati su periodici a carattere scientifico con almeno due uscite all’anno. Le cautele nascevano, come si diceva, dalle resistenze non solo dell’editoria specializzata, che guardava con grande diffidenza all’accesso aperto, ma soprattutto da una porzione consistente del mondo scientifico che continuava a preferire il sistema tradizionale di pubblicazione considerandolo maggiormente garante dell’autorevolezza delle riviste scientifiche che selezionano gli articoli da pubblicare. Gli autori spesso scelgono editori che pubblicano in modalità classica per veder garantito maggiore controllo sull’editing, pur potendo oggi conciliare tale modalità con le pubblicazioni ad accesso aperto.
Infatti, sappiamo che sempre più editori propongono politiche contrattuali che consentono il deposito degli articoli su piattaforma ad accesso aperto e sempre più spesso anche le riviste tradizionali optano per un sistema ibrido, offrendo la cosiddetta “opzione aperta”. Noi sappiamo che il numero di articoli pubblicati oggi si aggira intorno ai due milioni all’anno e resta difficile credere che ogni anno vengano fatte due milioni di scoperte che portano ad altrettanti tangibili avanzamenti nel mondo scientifico. È impossibile leggere tutto – e noi lo sappiamo – anche in un settore fortemente ristretto, cioè quello più specifico di ogni autore. Sempre più spesso, quindi, la questione porta con sé il problema di una selezione qualitativa.
Il concetto dell’accessibilità, che è un concetto nobile, così qualche volta diventa un mercato e le incertezze e le ambiguità scaturite dalla situazione spingono molti scienziati oggi a chiedere il ritorno alle pratiche e ai rigori di un tempo.
Quello che noi vogliamo naturalmente dire, Presidente, è che condividiamo le finalità in linea di massima della proposta di legge a prima firma Gallo. Le condividiamo perché la normativa vigente è il frutto del lavoro del Governo a maggioranza del Partito Democratico della scorsa legislatura e perché risponde a norme europee che condividiamo. È per questi motivi che in Commissione cultura abbiamo contribuito, con i nostri emendamenti, alla definizione di questo testo di legge.
Ricordo soltanto, di passaggio, ciò che è già stato illustrato dal collega Casciello e che noi abbiamo presentato di comune accordo con l’onorevole Saccani, che tendeva a correggere quella che ci sembrava una norma molto scivolosa e molto pericolosa, laddove si voleva l’istituzione di una Commissione per la divulgazione dell’informazione scientifica per selezionare le migliori forme di diffusione della più recente informazione culturale e scientifica a favore della collettività, così come diceva il testo presentato, da trasmettere attraverso il canale radiotelevisivo pubblico. Il testo era evidentemente discutibile per le ambiguità di interpretazione che consentiva e le nostre proposte hanno voluto salvare gli obiettivi previsti, evitando i rischi di un indebito controllo sull’informazione scientifica, ovviamente.
Il testo finale del provvedimento propone di coprire i costi della realizzazione della manutenzione di un’infrastrutturazione nazionale prevista sia pure con fondi che avremmo preferito, francamente, aggiuntivi piuttosto che tratti dal bilancio del MIUR. Ma questo provvedimento stabilisce – e questo dobbiamo ricordarcelo – vincoli senza allocare risorse sufficienti. Questo dobbiamo ricordarcelo perché dobbiamo anche ricordare che in Europa sono in corso azioni coordinate tra gli organismi di ricerca, le istituzioni eccetera anche con gli editori per trovare soluzioni.
Noi quindi, dicevamo, condividiamo, Presidente, l’obiettivo dell’intervento legislativo ma segnaliamo che lo strumento appare inadeguato in questi termini a guidare una transizione che tenga conto delle dinamiche di mercato e soprattutto dei criteri della valutazione di ricerca che condizionano i ricercatori. A nostro avviso occorreva avere più coraggio per allargare gli orizzonti del provvedimento, anche in relazione, appunto, a quanto si sta discutendo oggi all’interno dell’Unione europea.
Siamo convinti che sarà necessario un attento monitoraggio nella fase di applicazione delle nuove disposizioni per evitare effetti indesiderati.
Quindi, il provvedimento rimane, a nostro avviso, un’occasione mancata e sono questi i motivi per cui, pur apprezzandone le motivazioni, il Partito Democratico si asterrà non riconoscendosi nel testo presentato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).