BEGIN TYPING YOUR SEARCH ABOVE AND PRESS RETURN TO SEARCH. PRESS ESC TO CANCEL

Intervento di Caterina Pes sulla mozione per celebrare Grazia Deledda

Vorrei condividere con voi l’intervento, fatto in Aula alla Camera, dell’onorevole Caterina Pes  sulla mozione che impegna il Governo a celebrare il novantesimo anniversario del Nobel alla scrittrice nuorese, Grazia Deledda.

il-paese-del-vento-grazia-deledda-recensione-libro

Grazie sig. Presidente,

Cosa c’è di così importante in questa mozione, che intende impegnare il Governo a celebrare la figura di Grazia Deledda e a  promuoverne la conoscenza nelle scuole?

Intanto vorrei ricordare che Grazia Deledda è stata il solo Premio Nobel della letteratura italiana donna, e che quest’anno ne ricorre l’ottantesimo anniversario della morte e il novantesimo dal conferimento del prestigioso riconoscimento mondiale.

Nel 1878, quando ella nacque, Nuoro era il cuore genuino e selvaggio della Sardegna.

La corrente elettrica vi arrivò nel 1914 e, quando i primi lampioni si accesero tra lo stupore generale, la  popolazione si raccolse tutta nella via principale per seguirne l’evento.

La vita era ancora quella di un’isola nell’isola.

E fu quel suo presente che  la Deledda raccontò  fin da subito…

Prima che una scrittrice, è stata una grande artista e lo è stata per come ha condotto la sua vita e, dentro la sua vita,  per come ha  costruito la sua opera. 

Perché raccontare il presente è forse la forma più complessa di letteratura e di arte in generale.

Giovane donna barbaricina, decisa e anticonformista, Grazia si sente da subito diversa dalle sue coetanee.

Una volta morto il padre, e nonostante l’opposizione della madre e delle zie, si guadagna , lei autodidatta, il diritto di seguire lezioni private, il diritto di leggere e  studiare.

Ambiziosa e poetica, piena di talento e ribelle, libera e indipendente nella Sardegna dei servi pastori e dei muretti a secco, in una famiglia dove le donne sono le figure forti, immutabili, glaciali, mentre gli uomini si lasciano trasportare dagli eventi ,  inizia così a scrivere la sua storia, contro ogni stereotipo, ma seguendo il suo istinto.

E furono soprattutto le sue letture a renderla la grande scrittrice che fu, quelle che le permisero di conoscere gli realismo francese e i grandi romanzieri russi.

Giovanissima, pubblicò le sue prime novelle (le prime sui giornali sardi) e poi,  nonostante la condanna della sua comunità,  i primi romanzi.

Una domenica in chiesa durante la messa, aveva 17 anni,  venne ripresa pubblicamente dal Prete Virdis che dal pulpito le disse:

“farebbe bene a pregare, chi invece si diletta nello scrivere per i giornali storie scostumate”.

 Il richiamo era rivolto a Grazia.

Ma né la sua vocazione né la sua volontà subirono arresti.

Anzi, continuò a scrivere , nonostante regole e codici non scritti  imponessero alle ragazze dell’epoca di non studiare e di sposarsi, di andare sulla via già battuta invece che cercarsene una propria ,di strada.

Eppure tanti talenti si esprimevano nella Nuoro di quegli anni, chiamata non a caso l’Atene sarda: parlo di Francesco Ciusa , di Antonio Ballero, pittore e letterato, di Giuseppe Biasi, pittore, di Sebastiano Satta, scrittore.

Ma erano uomini.

Soltanto a Roma, dove si trasferì dopo il matrimonio, Grazia trovò la dimensione che la Sardegna le negava: ebbe modo di prendere parte a dibattiti letterari, di confrontarsi con altri autori di fama italiana o già internazionale.

E quella fu la strada che la scrittrice si costruì da sola, pezzo per pezzo, promuovendosi come la miglior agente letteraria di se stessa.

Importantissima , sotto questo punto di vista, la sua copiosa corrispondenza con letterati e critici quali  Stanis Manca, Angelo De Gubernatis o Epaminonda Provaglio, solo per citarne alcuni,

con una capillarità che ricorda molto il nostro tempo .

Non c’è dubbio che fosse  una donna capace di credere nella sua arte e in qualche modo fu un’innovatrice nel comunicarla.

Era questa la sua modernità , quella di una giovane donna della Sardegna più antica,  che intesse relazioni personali con i circoli letterari del Continente, così come, negli stessi anni,   faceva Virginia Woolf.

Perché l’animo delle donne costrette in un recinto è lo stesso anche a distanza di chilometri e in contesti del tutto diversi.

“Io non conosco la falsa modestia – scriveva nel maggio del 1893 a De Gubernatis – e in arte non ci deve essere modestia per chi vuole farsi avanti.”

La spinta all’emancipazione non conobbe in lei, e non conosce barriere.

Grazia cercò il suo obiettivo tra altri più facili, e lo perseguì , con una tenacia pari solo alla dedizione per la sua terra.

Voleva  raccontarla la sua terra .

Come Omero fece per l’Atene degli eroi così lei fece per la Sardegna e per la Barbagia, alzando un velo su un mondo comunque sconosciuto.

“…Io non sogno la gloria per un sentimento di vanità – ebbe a dire – ma perché amo immensamente il mio paese … narrare, intera , la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri, così vilipeso e dimenticato e perciò più misero …”

 Un mondo sconosciuto dicevo, ma pieno di poesia malinconica:

 “il cielo sembrava il mare, il vento era mio fratello, le nuvole i sogni che non potevano tradirmi, l’altura l’unica amica fedele “.

Il monte Ortobene, aggiungo io, era il suo personale colle dell’Infinito.

Un racconto, quello di Grazia, che si svolge  attorno al focolare dove si ascoltano le storie della vita, in un paesaggio poetico che racconta la preparazione del pane carasau che i pastori portavano con sé nelle lunghe settimane in cui non tornavano a casa, che racconta di una Sardegna immensa e innocente, separata da un mare malinconico , con parole che ci fanno quasi vedere il colore dell’aria, in un afflato visionario e coerente con la dimensione morale di quel mondo.

Se c’è una terra dove la natura diviene essenza mistica, regola per l’uomo, questa è tuttora la nostra isola.

Non si deve pensare, tuttavia, che Deledda sia stata una scrittrice di rottura e rivoluzione; nella sua opera non c’è nessuna volontà di mutamento delle condizioni date.

Forse, invece,  la volontà di riaffermare un mondo, di cui portava rispetto, senza mai perdere il senso delle proprie radici, come quelle di un paesaggio poetico e aspro , dagli ulivi secolari e dai forti graniti .

Venne spesso osteggiata e la sua arte sbeffeggiata, non amata comunque da scrittori del calibro di Pirandello o Benedetto Croce. Tutto pur di rispedire l’opera di questa piccola donna, fiera e determinata, nel novero della narrativa del lirismo regionale.

Il suo talento e la sua forza, però,  avevano già valicato mari e monti, facendone riconoscere l’opera dal consesso di Stoccolma, che nel 1926 le conferì il premio nobel per la letteratura.

In conclusione , signor Presidente, è in questa storia di donna che sta il messaggio universale della sua opera,  e che oggi noi chiediamo, nell’80° anniversario della sua morte, che venga riconosciuta tra i grandi autori della nostra letteratura il cui studio nelle scuole è irrinunciabile, insieme a quello di altre donne insigni nel campo della letteratura , della cultura , delle scienze e dell’economia.

E che si individuino, nel 90′ anniversario del conferimento del premio Nobel, è in collaborazione con le Istituzioni culturali del paese e con la Regione Sardegna opportune iniziative finalizzate a celebrarne la memoria e l’opera.

Le sue parole al discorso per conferimento del Nobel descrivono con chiarezza il senso del suo messaggio: “…quando cominciai a scrivere, a tredici anni, fui contrariata dai miei: il filosofo ammonisce: “se tuo figlio scrive versi, correggilo e mandalo per la strada dei monti. Se lo trovi nella poesia la seconda volta, puniscilo ancora. Se fa per la terza volta, lascialo in pace perché è un poeta”.

Senza vanità-  conclude Grazia – anche a me è capitato così. Avevo un irresistibile miraggio del mondo”.