La donazione di opere d’arte private allo Stato include numerosi e diversi aspetti, dalla gestione delle collezioni alla catalogazione dei beni, sino ai profili finanziari e fiscali. Qual è la storia delle donazioni in Italia e in altri Paesi europei e quale impatto questa ha avuto sulle collezioni pubbliche? Chi decide davvero se accettare o meno un dono di un privato? Con quali condizioni e vantaggi per le parti coinvolte?
Il libro “Donare allo Stato. Mecenatismo privato e raccolte pubbliche dall’Unità d’Italia al XXI secolo” a cura di Lorenzo Casini ed Emanuele Pellegrini, il Mulino 2019, risponde a queste e altre domande, trattando in modo organico e multidisciplinare i temi del dono di opere d’arte dal privato al pubblico, grazie anche ai contributi di professionisti del settore museale, accademici e amministratori del patrimonio culturale.
Il prof. Sabino Cassese nella recensione “Storia e implicazioni del mecenatismo”, pubblicata su Il Sole 24 Ore del 3 febbraio scorso, fa un’interessante analisi del volume che offre un valido strumento per comprendere un fenomeno antico, ma di grande rilevanza e attualità per l’arte: il mecenatismo.
Il Sole 24 Ore – 3 febbraio 2019 (pag. 23)
Storia e implicazioni del mecenatismo. Quindici saggi
Sabino Cassese
Questo libro contiene quindici brevi saggi su molti aspetti del mecenatismo relativo ai beni culturali: come si dona allo Stato e come lo Stato regola e agevola le donazioni (in Italia, Inghilterra, Francia, Germania); come si formano le grandi collezioni pubbliche (statali o locali), attraverso donazioni, oppure depositi a lungo termine (di cittadini o di “società di cittadini”, oppure di stranieri); quali sono i vincoli imposti dai filantropi donatori, quale il loro “ritorno d’immagine”; quali i problemi dell’istituzione che accetta la donazione (per lo più la sovrabbondanza dei materiali donati e la loro eterogeneità); quali i problemi che derivano dalle donazioni di stranieri; quali sono gli aspetti economici delle donazioni di beni culturali.
Donare allo Stato non è sempre semplice. Vi sono coloro che vogliono lasciare una grande collezione e intendono che essa venga preservata nella sua unità, coloro che preferiscono distribuire a musei diversi. Gli Stati possono agevolare o stimolare il mecenatismo in modi diversi, principali le deduzioni dalla base imponibile della somma donata e la detrazione della relativa imposta (nel 2014, in Italia è stato introdotto l’ “art bonus”, credito d’imposta per le erogazioni liberali in denaro a sostegno della cultura e dello spettacolo). Qualche volta, la collezione privata, dopo lunghe procedure, finisce nei depositi di istituzioni pubbliche, come è successo alla collezione Ansaldi, ora conservata nei depositi del Museo civico di Pescia.
L’interesse di questo volume è duplice. Il primo riguarda il metodo e il modo in cui tutti questi problemi sono analizzati: studiosi di storia, di diritto e di economia, direttori e curatori di musei, raccontano le vicende di singole collezioni private finite in musei nazionali o locali, le loro vicende, le difficoltà del percorso.
Il secondo riguarda il valore e il significato del dono. Questo, secondo la classica ricostruzione dell’antropologo e sociologo Marcel Mauss (1923), il nipote del grande Émil Durkheim, è caratterizzato da gratuità e disinteresse, mira a stabilire un legame, è un fatto sociale caratterizzato dal dare, ricevere e ricambiare.
Nelle donazioni di beni culturali entrano in ballo altri elementi: l’emulazione, un’esigenza di auto rappresentazione, intenti non altruistici (svincolare una raccolta dal vincolo di fidecommesso; ottenere l’autorizzazione all’esportazione o all’alienazione per altri beni; avere autorizzazioni immobiliari o urbanistiche).
Insomma, la donazione di beni culturali, dalla parte del donatore, è spesso frutto non di generosità, ma di calcolo e interesse egoistico, e risultato di negoziazioni. Dall’altra parte, quella dello Stato, c’è l’onere dei costi di conservazione, restauro, custodia .