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Corrado Beguinot e le fondazioni culturali

Colleghi, allievi, amici, personalità illustri si sono ritrovati all’Università Federico II di Napoli per ricordare il grande urbanista Corrado Beguinot, nel primo anniversario della sua scomparsa, avvenuta a Napoli il 7 gennaio 2018.

Il progrsamma della “Giornata in ricordo di Corrado Beguinot”

Di seguito l’intervento di Flavia Piccoli Nardelli.

Corrado Beguinot e le fondazioni culturali

di Flavia Piccoli Nardelli

Cari Amici,

ricordare Corrado BEGUINOT significa per me fare i conti con una trama fitta di ricordi e di esperienza.
Cercherò di tratteggiarla nel modo più organico possibile, pur sapendo che ciò non sarà facile, data la ricchezza culturale, scientifica e umana di Corrado.

Oltre che docente universitario di livello indiscusso nella sua materia – l’urbanistica – Corrado Beguinot aveva un talento per l’organizzazione e per l’amministrazione e una profonda passione per la storia.

Per questo le Istituzioni culturali gli sono sempre state care.

Allorquando nel 1992 è divenuto presidente della FONDAZIONE ALDO DELLA ROCCA (ente morale per gli studi di urbanistica) è rapidamente entrato in sintonia con le realtà delle istituzioni culturali, stabilendo con esse rapporti autentici e fecondi.

Posso testimoniare direttamente il suo rapporto con l’Istituto Luigi Sturzo e con Gabriele De Rosa che lo presiedeva. Quella consuetudine riconfermava la reciproca stima e una solida amicizia.

Le due istituzioni dal 2001 hanno condiviso gli spazi di Palazzo Baldassini a Roma, la sede storica dell’Istituto Sturzo, e si sono impegnate, come dai reciproci statuti, assieme nella preparazione di giovani studiosi; nella raccolta e nella tutela di beni archivistici e bibliotecari; nella messa a disposizione dei loro patrimoni per la comunità; nella gestione e nell’organizzazione del sapere.

Detto per inciso: De Rosa e Beguinot condividevano l’interesse per il modello diffuso in Italia della fondazione privata d’interesse pubblico, per cui il pubblico contribuisce con somme (spesso modeste, purtroppo) e l’ente si gestisce in autonomia, con logiche decisionali del privato.
Beguinot portò in questo lavoro la sua vocazione universitaria e la sua maturità di docente, capace di divulgazione, di coinvolgimento dei giovani e di utilizzo dei testimoni del passato come motore della ricerca.

De Rosa e Beguinot ebbero come obiettivo quello di aprire nuove prospettive, coinvolgere istituzioni e personalità rappresentative, portare la ricerca a livello internazionale negli studi:

  • di sociologia e di storia contemporanea, lo Sturzo;
  • nel campo degli studi urbanistici e della formazione avanzata degli esperti del territorio e della città multiculturale, la fondazione Della Rocca.

Del resto De Rosa e Beguinot avevano già lavorato insieme per l’università di Salerno, De Rosa come Rettore, Beguinot come presidente del Comitato per la Formazione della Facoltà di ingegneria e fisica.

De Rosa aveva intuito che FISCIANO poteva divenire l’università di riferimento di una vasta area, a cavallo tra le province di Salerno e di Avellino, valorizzandole entrambe. La battaglia non era stata semplice. Lo ricorda magistralmente Beguinot stesso nel numero 78 della rivista “Le ricerche di storia sociale e religiosa” del dicembre 2010 dedicata proprio al ricordo di Gabriele De Rosa.

Vale la pena rileggere quella testimonianza costruita, come dice Beguinot stesso, su materiali inediti e ricordi personali. Molti volevano infatti che l’università si collocasse nel cuore di Salerno e la polemica fu lunga e dura. La collaborazione fra De Rosa e Beguinot ne uscì rafforzata.

Se ne ebbe testimonianza in un’altra vicenda che ho vissuto in prima persona. Il MIUR approvò nel 2000 un progetto di ricerca presentato dalle due fondazioni sul “piano Fanfani casa”.

Il titolo esatto era “Fanfani e la casa. Gli anni 50 e il modello italiano di welfare-state. Il piano Ina-casa”.

La ricerca esaminava il periodo 1948-1962 in cui nacque e si realizzò il progetto che tutti ricordano come “il piano Fanfani casa”.

Al suo nascere, il progetto suscitò uno dei più accaniti dibattiti del dopoguerra, in Parlamento, nel partito di maggioranza e nell’opinione pubblica. Le elezioni recenti del 1948 avevano lasciato grandi timori: l’intervento dello Stato era visto con paura e con sospetto.

In realtà, il piano fu sostenuto con molta forza da De Gasperi, presidente del Consiglio, e da Piccioni, segretario della Democrazia Cristiana, con un duplice scopo: costruire case per i lavoratori e aiutare l’occupazione operaia. In realtà, si chiamava proprio così: “provvedimenti per aiutare l’occupazione operaia”. Era una formula originale per il nostro Paese.

In quel caso furono decisivi il pensiero sociale e il solidarismo cristiano dei cattolici impegnati in politica, nel solco del New Deal di Roosevelt e del Welfare di modello inglese.

Il progetto di ricerca – che De Rosa diresse personalmente – comprese una prima parte di ricerca storica sulle fonti di cui era custode l’Istituto Sturzo dal 1994, quando l’Istituto aveva raccolto e riordinato l’archivio storico della DC: [la parte nazionale in Istituto a Roma a Palazzo Baldassini, la parte relativa alle esperienze dei Comitati provinciali (45 su 90) depositata in archivi pubblici o privati nei diversi territori]. Il materiale raccolto è stato ed è occasione per ricerche e studi su molte tematiche della storia italiana.

Il dibattito che si animò intorno al progetto fu oggetto dell’attenzione di studiosi come Francesco Malgeri, Carlo Casula, Umberto Gentiloni Silveri e di giovani studiosi come Augusto D’Angelo e Maria Luisa Sergio.

Il progetto comprendeva anche una seconda parte di cui fu artefice Corrado Beguinot. Il suo contributo si intitolava: “Piano, progetto, prodotto, la ricostruzione e il piano Ina-case”.

La fondazione Della Rocca analizzò le modalità tecniche di attuazione del “piano” e diede una valutazione critica dei suoi esiti sul piano della produzione edilizia e della qualità architettonica.

Anche questa seconda fase venne sviluppata sulla base di documenti originali, tenendo conto della letteratura specifica prodotta sul tema, e sulla scorta di testimonianze dirette raccolte con interviste ad alcuni dei protagonisti delle vicende trattate.

I risultati furono di indubbio interesse. Avvalendosi delle fonti raccolte e della loro schedatura, si produsse un rapporto sulla situazione abitativa nell’immediato dopoguerra in Italia, quando le distruzioni belliche, lo stato di degrado in cui viveva parte della popolazione e le migrazioni interne, che si sviluppavano in quegli anni nel nostro Paese, imposero una serie di iniziative per fronteggiare il grave deficit di alloggi esistente sul territorio nazionale.

Un documentario video raccolse sequenze dell’epoca e interviste ai protagonisti, architetti e non, di quella vicenda. Nomi illustri quali quello di Ardigò, Aymonino, Barbiano Di Belgioioso, La Padula chiamati ad illustrare la storia del “piano” e a dare testimonianza dei risultati costruttivi ottenuti.

Voglio ricordare, in particolare, una lunga testimonianza raccolta da Federico Gorio, uno dei protagonisti del tema dell’edilizia residenziale pubblica italiana del secondo dopoguerra, che fu direttore del centro studi dell’ente Ina-Casa. Gorio con generosità personale si dedicò a una lunga intervista con il prof. Beguinot.

Tutto questo fu poi pubblicato in un volume dal titolo “Fanfani e la casa”, da Rubettino, 2002, con la presentazione di De Rosa, corredato da un resoconto della documentazione a stampa esistente sul piano Ina-Case, accompagnato da una bibliografia e da una schedatura delle fonti consultate.

Il lavoro congiunto di storici e urbanisti, impegnati insieme, riconosciuto ancora oggi come la migliore testimonianza delle vicende legate alla costruzione delle case popolari in Italia, fece nascere un ulteriore programma di attività: quello di istituzione di un archivio, proposto dalla Fondazione Della Rocca, il primo del settore in Italia, di studi, progetti e documenti dei grandi attori dell’urbanistica moderna e contemporanea.

L’archivio degli urbanisti italiani del XX secolo, a servizio degli studiosi della città e del territorio, avrebbe dovuto diventare parte importante dell’attività della fondazione, sul quale innestare le altre esperienze di ricerca, formazione e promozione della conoscenza nel settore. Su questo fu rilevante l’attività di collaborazione con l’Archivio Centrale dello Stato, con la Soprintendenza archivistica del Lazio per raccogliere e organizzare il patrimonio librario e progettuale degli studiosi, della città e del territorio per il XXI secolo.

Non sfuggiva a Corrado Beguinot la complessità e l’onere del progetto, ma egli era anche consapevole della straordinaria opportunità che la rete dei suoi rapporti garantiva, per cui aveva avuto molti importanti affidamenti.

Su questo archivio si misurò anche un confronto con alcune università e, in particolare, con la Federico II. Il progetto non si realizzò e a me resta il dispiacere per un obiettivo mancato cui Corrado teneva molto.

Di lui ci restano straordinarie intuizioni, serio lavoro, grandi opportunità offerte ai giovani, amplissimi rapporti internazionali.

Lo spazio per le fondazioni c’è, le opportunità anche. Manca qualche volta la personalità, come è stato Corrado Beguinot, capace di svilupparle.

Grazie per l’attenzione!!