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Seconda Giornata dell’Education: alternanza scuola-lavoro, istruzioni per l’uso

La legge per la Buona Scuola, approvata dal parlamento lo scorso luglio, ha reso l’alternanza scuola-lavoro obbligatoria per tutti gli studenti a partire dalle classi terze delle scuole superiori. Questo il tema della Seconda Giornata dell’Education, organizzata da Confindustria lo scorso 13 ottobre alla Luiss di Roma, cui è intervenuta la presidente Flavia Piccoli Nardelli della Commissione Cultura della Camera per illustrare le novità dell’ingresso dell’alternanza scuola-lavoro obbligatoria nel sistema educativo italiano. 

Il Ministero dell’Istruzione sta infatti lavorando con le imprese, le associazioni, le istituzioni e tutti quegli ambienti extra-scolastici che possono contribuire alla crescita formativa e all’orientamento degli studenti. L’obiettivo è avviare un “processo duraturo e non un’operazione isolata”, è stato detto durante i lavori, “con un forte coinvolgimento di istituzioni, imprese, dirigenti scolastici, insegnanti e studenti”.

Insieme all’on. Flavia Piccoli Nardelli, hanno partecipato all’incontro anche Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione, Ivan Lo Bello, vice presidente di Confindustria per l’Education, Attilio Oliva membro del Board Centro per la Ricerca e l’Innovazione Educativa dell’OCSE, Fabio Storchi, presidente Federmeccanica, Mauro Chiassarini, amministratore Delegato Bayer, Rita Coccia, Dirigente Scolastico ITTS A. Volta di Perugia, Rossella Ferro, responsabile marketing de La Molisana, Stefan Pan, presidente Assoimprenditori Alto Adige, Ermanno Rondi project Leader Azione Comune sull’Istruzione Tecnica Club dei 15.

Pubblichiamo di seguito l’intervento della presidente Piccoli Nardelli che ha risposto alle domande di Fabrizio Forquet, vice direttore de “Il Sole 24 Ore”, moderatore del dibattito.

Domanda. La buona scuola ha incontrato notevoli resistenze corporative e le idee più innovative all’inizio presenti sono state annacquate per esigenze di consenso parlamentare. Però sull’alternanza scuola lavoro il governo non ha fatto passi indietro. Ritiene che questa sfida culturale possa avere successo in Italia?

Risposta. È vero che la legge 107 sulla Buona Scuola che abbiamo approvato in Parlamento nel luglio di quest’anno ha trovato forti resistenze. D’altra parte “fermare il mondo” o “lodare il passato”, perché è più rassicurante, fa parte dei meccanismi profondi insiti in ognuno di noi e quindi tanto più questo accade dentro la scuola che è conservatrice per sua natura perché tende a trasmettere conoscenze.

L’altro compito della scuola, quello di formare competenze, è molto più complesso.

Il problema è che non possiamo permetterci di fermarci. La legge 107 ne prende atto e le idee di fondo che animano il provvedimento sono rimaste.

Quindi, la valutazione, la formazione l’autonomia e la responsabilità, il legame scuola-lavoro, sono le parole chiave su cui gioca il provvedimento.

Sulla scuola-lavoro in particolare si gioca una scommessa, nel senso di sfida per il nostro sistema Paese.

Ci siamo arrivati tardi.

Veniamo da una cultura che ha sempre visto forti cesure tra due tipi di istruzione, che considerava l’istruzione tecnica di serie B, dividendo in modo molto netto i segmenti dell’istruzione secondaria superiore.

Invertendo questa tendenza abbiamo posto le basi di un cambiamento culturale.

La scommessa, naturalmente, riguarda la scuola ma riguarda nello stesso modo l’impresa: perché un investimento vero, culturale oltre che economico, è necessario da una parte e dall’altra.

Le aziende sanno bene che si tratta di investire strategicamente in capitale umano, ma anche di accreditarsi come enti formativi.

Che cosa otteniamo con l’alternanza scuola-lavoro? Continuiamo a dire che è uno dei punti di importanza strategica . ma in concreto che cosa hanno ottenuto realtà come il Trentino dove questo percorso è stato portato avanti da anni?

Che cosa ci dicono i dati del monitoraggio fatto nel 2014 dall’INDIRE per dare seguito al provvedimento voluto dal ministro Carrozza con il decreto “La Scuola riparte”?

Ci dicono che nel Paese ci sono stati molti esperimenti di buone pratiche che hanno ridotto la dispersione scolastica, aiutato l’orientamento, ci hanno avvicinato all’Europa in termini di formazione continua, hanno dato luogo a pratiche laboratoriali virtuose ed hanno stimolato nuove didattiche.

Quello che la Buona Scuola ha fatto è dare senso e continuità a provvedimenti molto diversi tra di loro per lunghezza di percorsi, articolazioni interne, tipo di stage, utenze, risorse coinvolte, modalità di certificazione e valutazione, costi.

È su questi temi che si misurerà il successo dei commi da 33 a 39.

Dobbiamo investirci consapevoli di quale passo avanti è stato fatto, ma anche consci di quali impegni comporta in termini di strategie, decisioni da prendere, adempimenti ed investimenti.

Domanda. Nella riforma si è parlato molto forse troppo di insegnanti e del loro status. Meno di innovazione didattica e laboratori. Ci può dire su questi temi come si muoverà il governo?

Risposta. È vero che la riforma è stata interpretata e raccontata come vissuta dagli insegnanti, dimenticando apparentemente che al centro del processo educativo ci sono i ragazzi e che sono loro i principali interessati delle politiche culturali di un Paese.

Sappiamo tutti però che gli insegnanti sono parte essenziale del cambiamento e che quel cambiamento di mentalità di cui ho parlato prima, non si può avere se non muta il loro atteggiamento mentale. D’altra parte è l’Europa che lo ribadisce, con il programma europeo Istruzione e Formazione (Education and Training 2020), dedicando un’attenzione particolare ad un “forte sostegno agli insegnanti”.

Sottolineando soprattutto la necessità:

  • di potenziare il reclutamento selezionando ed inserendo i candidati migliori e più idonei alla professione di insegnante;
  • aumentando il prestigio della professione di insegnante;
  • sostenendo la formazione iniziale e continua degli insegnanti soprattutto per affrontare i grandi cambiamenti che intercorrono con velocità sempre maggiore: l’eterogeneità degli studenti, l’abbandono scolastico, l’apprendimento basato sul lavoro, le competenze digitali e le pedagogie innovative.

Sono i temi su cui il provvedimento della Buona Scuola ha cercato di dare risposta. Anche per quanto riguarda i due temi al centro del problema, quelli di cui lei parla: una nuova didattica e disponibilità di laboratori in cui esercitarla.

Su questi due temi il governo ha messo risorse:

  • per la didattica 40 milioni di euro in termini di formazione per gli insegnanti che devono essere in grado di accettare anche le didattiche imposte dai nuovi contenuti digitali;
  • 90 milioni di euro per il piano digitale;
  • 45 milioni di euro per i laboratori.

Proprio sui laboratori innovativi che avvicinano i ragazzi al mondo del lavoro e che puntano all’occupabilità dei più giovani, i cosiddetti “laboratori per l’occupabilità”, è uscito il primo decreto, il n. 657 del 4 settembre di quest’anno, e sul sito del MIUR è stato pubblicato l’avviso per le scuole che vogliono presentare progetti.

I laboratori nascono da una rete territoriale di almeno tre scuole con il coinvolgimento obbligatorio di almeno un ente locale ed un ente pubblico e quello opzionale di altri soggetti che possono anche essere cofinanziatori mettendo a sistema quello che già meritoriamente è stato realizzato, anche grazie alle politiche illuminate di chi, come il settore Educational di Confindustria, in questi anni ha capito che investire sulla conoscenza è fonte di sviluppo per l’intero Paese.

I laboratori per l’occupabilità hanno lo sguardo rivolto al made in Italy ed alla vocazione produttiva di ciascun territorio, per questo nella Buona Scuola alle 400 ore previste per gli istituti tecnici sono state aggiunte 200 ore per i licei da spendere anche in istituti dei beni culturali, musei, archivi, biblioteche, … …

Conclusivamente, ci sono difficoltà evidenti: 100 milioni di euro messi a disposizione del progetto sono sicuramente pochi rispetto all’investimento che bisogna fare.

Occorrerà prevedere incentivi per le imprese, come quelli previsti per le imprese in Germania nel 2003 che ospitavano giovani in azienda, perché senza incentivi, per la fase di avvio e senza sgravi contributivi o fiscali a regime, c’è il rischio che le imprese non aderiscano all’alternanza.

Quindi, vanno definite con molta chiarezza le scelte di fondo sia in termini di obiettivi e strategie, sia anche in termini di investimento di risorse da parte della scuola.

Ma occorre che gli imprenditori investano in capitale umano perché sono gli attori fondamentali del cambiamento.

La riforma si fa in due: istituzioni pubbliche e mondo del lavoro.