“Dopo l’emergenza sanitaria, per il settore culturale sarà fondamentale non disperdere lo straordinario impulso al digitale emerso in queste settimane”, l’Agenzia giornalistica AgCult.it pubblica un articolo che offre interessanti suggestioni: “Era digitale] Prove tecniche di futuro. La cultura (ri)scopre le opportunità del digitale”.
Un argomento che continua ad affascinare studiosi ed esperti di varie discipline è se la presenza di vincoli e restrizioni sia un fattore capace di favorire la creatività e l’innovazione. In tempi non sospetti rispetto all’attuale emergenza sanitaria, un articolo apparso sulla Harvard Business Review affermava che quando le limitazioni rappresentano una sfida creativa sono capaci di motivare le persone a elaborare nuove idee. Al contrario, in assenza di vincoli al processo creativo, inizia il compiacimento e le persone seguono quello che gli psicologi chiamano “the path-of-least-resistance” – il percorso della minima resistenza, ossia scelgono di adottare l’idea più intuitiva che viene loro in mente piuttosto che investire nello sviluppo di idee migliori.
A questo proposito, l’artista Phil Hansen, alcuni anni fa durante un TED Talk, parlando del suo processo creativo ha detto che “imparare ad essere creativi entro i confini delle nostre limitazioni è la migliore speranza che abbiamo per trasformare noi stessi e collettivamente trasformare il mondo. Le limitazioni possono sembrare la cosa più improbabile per sviluppare la creatività, ma forse sono uno dei modi migliori per liberarci dalle abitudini, ripensare le categorie e sfidare le regole comuni”. Il che equivale a dire che è difficile immaginare un piano B alternativo quando il piano A sembra funzionare così bene.
Pur con le dovute differenze, la comparsa del Covid-19 e le conseguenti misure restrittive che hanno portato alla chiusura di musei, teatri, centri culturali, cinema, biblioteche e di molti altri luoghi della cultura possono essere visti come l’ostacolo decisivo, che ha improvvisamente cambiato le regole del gioco, facendo saltare la maggior parte dei “piani A” e rendendo evidente la necessità di esplorare nuove possibilità. Accade così che private delle consuete modalità operative e del contatto diretto con i propri pubblici, le organizzazioni culturali stiano mostrando un rinnovato impulso all’innovazione, intraprendendo finalmente la strada della tanto agognata e mai pienamente compiuta “trasformazione digitale”, sviluppando in poche settimane un palinsesto di proposte e attività destinate a rimodulare in maniera significativa il sistema dell’offerta.
Sperimentazioni digitali
Confinati nelle nostre case e aggrappati ai dispositivi elettronici che ci permettono di continuare a osservare il mondo, non sarà di certo passata inosservata la grande profusione di iniziative che consentono di continuare a prendere parte a molteplici attività culturali negli spazi virtuali messi a disposizione dalla rete e dalle nuove tecnologie. Elencarle tutte è pressoché impossibile. Una panoramica degli eventi digitali promossi dai luoghi della cultura statali e da altre istituzioni culturali nazionali è disponibile, ad esempio, sul sito web del MiBACT dove è possibile consultare la pagina dell’iniziativa “La cultura non si ferma”, in cui è raccolta in sei diverse sezioni – Musei, Libri, Cinema, Musica, Educazione e Teatro – un’offerta di proposte culturali fruibili da casa per “permettere agli italiani di rimanere in contatto con l’arte e la cultura anche in questa difficile circostanza”. Le attività spaziano tra una varietà di ambiti e includono: mostre digitali; visite virtuali all’interno di musei e siti archeologici; racconti digitali pensati per mostrare ai visitatori quello che normalmente non possono vedere attraverso pillole video, immagini e documenti inediti; apertura di archivi e cataloghi digitali per guardare film in streaming, ascoltare podcast e audiolibri, consultare documenti. Un palinsesto ampio e articolato di iniziative, promosso dal MiBACT anche attraverso la campagna social #iorestoacasa, a cui aderiscono musei, gallerie, pinacoteche, parchi, biblioteche, teatri, case editrici e strutture affini che puntano sulla produzione di contenuti digitali di vario tipo per continuare a mostrare la varietà e la ricchezza del nostro patrimonio culturale.
Soffermando l’attenzione sulle iniziative che mostrano un maggior grado di sperimentazione e che molto probabilmente diventeranno un esempio da cui trarre ispirazione anche quando l’emergenza sarà finita, è possibile citare quanto sta facendo una grande istituzione come il Museo Egizio di Torino che ha scelto non solo di sposare la filosofia dell’open access, rendendo disponibili le immagini ad alta definizione dei reperti della sua ricchissima collezione, ma anche di trasferire online il progetto “Le passeggiate del Direttore”. Si tratta di una trasposizione in versione digitale di un appuntamento molto apprezzato dal pubblico, che in condizioni di normalità consente mensilmente a un gruppo ristretto di trenta persone di visitare la collezione guidati dal Direttore, Christian Greco. In questi giorni di chiusura, l’appuntamento si è spostato sul canale YouTube e sui profili social del museo, mettendo a disposizione due puntate settimanali, durante le quali il Direttore racconta la storia della collezione, i reperti più significativi e la ricostruzione dei contesti archeologici, con l’obiettivo di continuare ad essere accessibili e al servizio della comunità anche a porte chiuse.
Ambiziosa è la proposta elaborata dal Castello di Rivoli che ha dato vita al progetto “Cosmo Digitale”, una nuova sede virtuale del museo che ospita una selezione di opere inedite e a volte espressamente realizzate dagli artisti per la fruizione digitale e che va ad arricchire ulteriormente l’ampia raccolta di conferenze, incontri, film e video di mostre disponibile sul sito web istituzionale. Come ha affermato la Direttrice, Carolyn Christov-Bakargiev, “siamo in una trasformazione epocale tecnologica e siamo anche in un periodo difficile per via dell’emergenza sanitaria in corso. Conservare, studiare ed esporre opere d’arte è un compito centrale del Museo ma da solo non è sufficiente a perseguire gli obiettivi di un museo d’arte contemporanea del XXI secolo. Un’identità che si forma attraverso l’incontro e l’apertura esige infatti un rinnovamento ininterrotto, in sintonia con la rapida e profonda evoluzione della società. […] Cosmo Digitale non sostituisce una visita al Museo, né l’unicità dell’intenso incontro fisico ed emozionale che si può vivere soltanto negli spazi reali e con il corpo delle opere o delle performance, ma aggiunge dimensioni ed esperienze più private e screen-based”.
A Mantova, invece, Fondazione Palazzo Te presenta il progetto #SempreconTe grazie al quale, utilizzando il lavoro di progettazione e ricerca condotto negli ultimi anni e quello attualmente in corso, l’istituzione propone quotidianamente sui canali social e sul sito web contributi di approfondimento inediti, lezioni, letture, podcast, musica e materiali di archivio video e audio. È un modo – ha commentato il Direttore Stefano Baia Curioni – di sostenere una “cultura resistente”, ossia “una cultura capace di riportare al centro l’umano e l’attenzione all’altro”. I diversi contenuti, fruibili e accessibili a tutti tramite i canali social Facebook, Instagram e Vimeo della Fondazione, sono raccolti in una nuova sezione del sito denominata Mnemosyne, per la sua capacità di evocare non solo la dea della memoria e madre delle muse ma anche la cifra della ricerca di Warburg, storico dell’arte visionario.
In questo momento di ribaltamento del reale, dove l’ordinario è diventato straordinario, non è solo il settore museale a lasciarsi sfidare da questo tipo di sperimentazioni. Pure le filiere del teatro, degli eventi, dello spettacolo dal vivo e dei festival cercano strategie alternative e propongono nuovi formati per andare oltre la chiusura fisica dei luoghi e l’impossibilità di riunire in uno stesso ambiente un gran numero di spettatori. Si immaginano così edizioni digitali in diretta streaming per continuare a interagire con i pubblici, senza rinunciare a quella che gli operatori del settore sono soliti definire la “magia” dei festival, ossia la capacità di generare in modo del tutto spontaneo e naturale momenti di confronto, in cui i pubblici si esprimono e intrattengono un dialogo a più voci con gli ospiti e gli uni con gli altri. Segue questa strada, il Lucania Film Festival che ha deciso di organizzare un’edizione “SMART”, tutta in live streaming, trasmettendo incontri con autori, lectio magistralis, live performance, cinetalk e cerimonie di premiazione a distanza ma sempre in tempo reale, offrendo al pubblico la possibilità di interagire da casa. Si presenta strutturata come un vero e proprio palinsesto l’iniziativa “Una stagione sul sofà” del Teatro Stabile del Veneto, che grazie alla predisposizione di un cartellone digitale offre numerose proposte per intrattenere pubblici appartenenti a diverse fasce d’età, grazie al coinvolgimento di artisti e compagnie di rilevanza nazionale e regionale. Non solo video integrali di spettacoli teatrali ma anche fiabe e racconti per bambini e famiglie, aperitivi letterari e laboratori teatrali in diretta Facebook, sperimentando sia nuove modalità di lavoro sia inusuali tecniche di ingaggio degli spettatori.
Prove tecniche di futuro
Valutare l’efficacia di tali azioni in corso d’opera è sicuramente arduo, se non addirittura impossibile. Nonostante la drammaticità dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, la cui portata è ulteriormente acuita dalle preoccupazioni per la tenuta economica di un settore storicamente e strutturalmente fragile come quello culturale, il fermento e la voglia di non fermarsi, che traspare dalle numerose iniziative digitali promosse dalle organizzazioni culturali, restituiscono importanti segnali di cambiamento, insieme a una maggiore consapevolezza del ruolo giocato dalla tecnologia, quale strumento abilitante, capace di delineare nuovi scenari e di contribuire ai processi di ri-significazione dei luoghi e delle forme di partecipazione culturale, a cui stiamo assistendo in questo periodo di eccezionale straordinarietà. Perché, come molti esperti e studiosi hanno messo in luce, sembra essere certo che quando l’emergenza sarà finita avrà inizio una una nuova era. E allora come saranno le organizzazioni culturali del mondo post Covid-19? In particolare, quale sarà il loro rapporto con la tecnologia e i dispositivi digitali dopo la sorprendente accelerazione di queste settimane? Sapranno trovare e mantenere il giusto equilibrio tra spazi di socializzazione analogici e agorà virtuali? E soprattutto questa offerta culturale “aumentata” che è apparsa così rapidamente apporterà benefici al settore culturale nella sua interezza oppure renderà ancora più evidente il divario che separa le grandi istituzioni, dotate di maggiori strumenti e risorse per investire e sperimentare con il digitale, e le realtà di piccole dimensioni che non potendo contare su un repertorio di contenuti digitali pre-esistente da diffondere attraverso i canali social dovrebbero partire da zero e potrebbero non avere le capacità per farlo nel modo migliore?
Non potendo prevedere il futuro, possiamo però provare a ipotizzare alcuni percorsi che potrebbero aiutare le istituzioni e gli operatori culturali a creare le condizioni in cui beneficiare pienamente delle tecnologie digitali. Prendendo spunto dalle categorie di analisi utilizzate da Nesta – la principale fondazione inglese attiva nel campo dell’innovazione – nel rapporto Digital Culture 2019 sugli impatti dell’uso del digitale nel settore culturale, è possibile sostenere che un uso avanzato e consapevole del digitale è capace di influenzare i modelli di business, le strategie di coinvolgimento dei pubblici, i progetti di ricerca e sviluppo, senza dimenticare che l’utilizzo della tecnologia può essere facilitato oppure ostacolato da fattori interni ed esterni imputabili al contesto di riferimento.
Dal punto di vista dei modelli di business, una maggiore apertura al digitale si traduce di solito nell’acquisizione di un approccio imprenditoriale e nella capacità di diversificare le proprie fonti d’entrata. Guardando al futuro, ci aspettiamo di trovare un maggior numero di organizzazioni culturali in grado di offrire, ad esempio, servizi di biglietteria online anche condividendo la tecnologia con altre istituzioni (a questo proposito, si ricorda che oggi solo il 14% delle strutture museali italiane offre la possibilità di comprare biglietti online), strumenti per accettare donazioni e acquistare prodotti di merchandising o contenuti digitali direttamente online, oppure capaci di utilizzare le piattaforme di crowdfunding per promuovere e finanziare nuovi progetti, incentivando la partecipazione dal basso dei membri della propria comunità di riferimento.
Sul fronte del coinvolgimento dei pubblici, confidiamo in una crescita del numero di enti e istituzioni che si servano dei propri siti web e canali social, della tecnologia e dei nuovi formati digitali non solo per ampliare le modalità di partecipazione dei loro fruitori abituali o per catturare l’interesse di chi ha già una certa curiosità culturale, ma soprattutto per raggiungere pubblici di solito poco presenti (quando non del tutto assenti) come i giovani o le persone con disabilità; consolidare la propria presenza online; apprendere nuovi linguaggi; costruire relazioni durature e attivare momenti di riflessione, condivisione e ascolto tramite i quali testare nuove idee, co-progettare iniziative ed eventi, co-creare contenuti di vario tipo insieme ai propri fruitori, raccogliere opinioni e suggerimenti, e prestare maggiore attenzione ai bisogni, alle richieste e alle motivazioni dei propri interlocutori. Nel mettere in campo questo tipo di interventi saranno premiate in termini di fiducia e impatto sociale quelle realtà che sapranno non solo garantire l’accesso al proprio sistema di offerta “aumentato” (“material access”), quanto soprattutto incentivare il desiderio di partecipare online (“motivational access”), l’acquisizione di conoscenze e competenze digitali (“skills access”) e l’ampiezza e profondità d’uso del digitale (“usage access”), contribuendo così ad ampliare la base di persone che conoscono, vogliono accedere e sanno utilizzare efficacemente i dispositivi e i contenuti online.
Infine, nell’ambito della ricerca e sviluppo ci auguriamo di poterci imbattere con più facilità in organizzazioni disposte a correre dei rischi e a sperimentare in prima persona, piuttosto che aspettare che siano altri a proporre soluzioni innovative. Come suggerisce Nesta, la carenza di competenze digitali – di cui risentono maggiormente le organizzazioni più piccole – potrebbe essere affrontata, almeno in parte, cercando di lavorare di più in partnership sia con altre istituzioni culturali sia con specialisti digitali e favorendo una distribuzione orizzontale delle competenze digitali all’interno dello staff.
Sebbene la trasformazione digitale del settore culturale potrebbe essere rallentata dalla mancanza di risorse economiche da destinare alla realizzazione di progetti digitali, dalla difficoltà nell’accedere a fonti di finanziamento esterne e dalla scarsa dotazione di personale interno con specifiche conoscenze e competenze in materia di digitale, le testimonianze di questi giorni ci dimostrano che se messe nelle condizioni di agire le organizzazioni culturali sanno elaborare risposte pertinenti. Se, come molti ipotizzano, il settore culturale post Covid-19 sarà un sistema meno refrattario agli stimoli provenienti dal mondo del digitale e dell’innovazione, per far sì che tale trasformazione sia realmente significativa, le istituzioni culturali dovranno non solo imparare a mettersi in gioco e lasciarsi sfidare dai cambiamenti che ci attendono, ma anche concorrere all’elaborazione di un’idea più aperta e inclusiva di cultura e di partecipazione culturale, in cui tutti i membri di una comunità abbiano la capacità di esprimere il proprio potenziale creativo e di decidere insieme che cosa sia culturalmente rilevante per loro, contribuendo alla definizione di nuovi valori e attività culturali.