In difesa dell’arte. La protezione del patrimonio artistico

Dedicato a Khaled al Asaad (direttore del sito archeologico di Palmira) e ai direttori museali, ai funzionari, alle donne e agli uomini che hanno contribuito e contribuiscono a salvaguardare il patrimonio culturale, il volume scritto da Patrizia Dragoni e Caterina Paparello è di grande interesse.

Ricostruisce il contesto nazionale e internazionale in cui maturarono le “linee guida per la salvaguardia del patrimonio culturale in caso di conflitto armato”delineate fra il 1937 e il 1939 e le azioni di prevenzione pensate nei nostri territori in difesa di beni culturali mobili e immobili.

Riporta il lavoro svolto dalle Soprintendenze per la salvaguardia dai danni bellici. Indagato anche attraverso l’analisi delle Circolari emesse dal Ministero dell’Istruzione, che sono ricche di considerazioni sulle tipologie di danno e sui monumenti più esposti ai pericoli, anche in base alla loro posizione nelle città e sono puntuali nel segnalare le operazioni da mettere in campo.

Se le città diventano tutte uguali

“Gentifrication. Tutte le città come Disneyland?” il saggio di Giovanni Semi, (che insegna Sociologia delle Culture Urbane a Torino) pubblicato da Il Mulino nel 2015, affronta un fenomeno che in maggior o minor parte abbiamo visto tutti nelle nostre città, ovvero la mutazione, il cambiamento di interi quartieri, spesso in precedenza degradati, che nella maggior parte dei casi diventano luoghi abitati e vissuti da studenti (laddove ci siano poli universitari), artisti, intellettuali e la cosiddetta classe media istruita e che lavora nel terziario e/o nel mondo creativo. Gentrification è una parola inventata da Ruth Glass nel 1964 perché, se in Italia il fenomeno è relativamente recente, negli Stati Uniti, come in Inghilterra (campo di studi della Glass) non lo è affatto. Addirittura Semi parla di gentrification anche per la Parigi rimodellata da Haussmann tra il 1853 e il 1870 sotto Napoleone III.

Social musei: colmare il gap con personale e strumenti

#SOCIALMUSEUMS Social media e cultura, tra post e tweet è il titolo del corposo volume che dà conto del decimo rapporto del’Associazione Civita, curato da Luca De Biase, fondatore e caporedattore di Nòva supplemento del quotidiano Il Sole 24 Ore, e Pietro Antonio Valentino, vicepresidente del Comitato Scientifico di Civita, ed edito da Silvana Editoriale.

Il volume prende in esame il rapporto fra social media e mondo della cultura, un tema molto dibattuto sia in sede pubblica che privata e in un momento di profonda trasformazione che sta investendo i musei pubblici anche sul fronte del digitale.

Se gli intellettuali e lo Stato non scelgono e indicano cultura, si diventa uno “sciame” consumistico

Il mese scorso è stato pubblicato il saggio di Zygmunt Bauman Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi, edito da Laterza (pagg. 154, euro 14).  Il titolo originale del volume è Culture in a Liquid Modern World e la prima pubblicazione risale al 2011, presso Polity Press Ltd, Cambridge.

Il libro, che si inserisce a pieno titolo, nella sua storica analisi e nei temi cari al sociologo polacco –  sia per ciò che concerne la trasformazione della società, sia perché in parte riprende il discorso del suo saggio di vent’anni fa “La decadenza degli intellettuali”  – è diviso in 6 capitoli: “La cultura. Storia del concetto”; “Moda, identità liquida e utopia per il presente: alcune tendenze culturali nel ventunesimo secolo”; “La cultura dalla costruzione della nazione alla globalizzazione”;  “La cultura in un mondo di diaspore”;  “La cultura in un’Europa che si unisce” e “La cultura tra Stato e mercato”.

La tesi fondamentale del saggio è che non esiste più un’élite culturale ma consumatori onnivori e che, addirittura, lo snobismo culturale oggi consiste nel non esserlo affatto quando si tratta appunto di consumi culturali. “Il segno distintivo che connota l’appartenenza a una élite culturale sono oggi un massimo di tolleranza e un minimo di schizzinosità” scrive Bauman. E aggiunge: “Il principio dell’elitarismo culturale sta nella sua capacità di sentirsi a proprio agio in qualunque ambiente culturale senza considerarne nessuno come casa propria, e ancor meno l’unica casa propria”.

L’offerta culturale si è moltiplicata e variegata. Questo, in sé potrebbe essere un aspetto positivo che tende ad abbattere le classi sociali dacché, citando Pierre Bordieu, Bauman ricorda che un tempo “c’erano gusti dell’élite culturale alta per natura; gusti medi o conformisti, tipici della classe media, e gusti volgari, adorati dalle classi inferiori, e mescolarli tra loro era difficile come mescolare fuoco e acqua”.

Ma questo mescolarsi (“collegarsi e scollegarsi” a reti diverse, per usare termini cari a Bauman e referenti proprio alla nostra società) e aver liberato l’arte dalla funzione gravosa che le era assegnata in passato, ha creato una distanza, spesso ironica o cinica, nei suoi confronti sia da parte dei suoi creatori come da quella dei suoi destinatari. “L’arte, quando se ne parla, – continua Bauman – raramente ispira quel tono devoto o reverenziale così comune nel passato. Non ci si azzuffa. Non si erigono barricate. Niente scintillare di lame. Se pure si discute della superiorità di una forma d’arte su un’altra, se ne parla senza passione o verve; e i proclami di condanna e le diffamazioni sono più rari di quanto fossero mai stati prima”.

Per Bauman dietro questo stato di cose si nascondono imbarazzo, mancanza di fiducia in se stessi e senso di disorientamento: se gli artisti non hanno grandi e importanti compiti da realizzare, se le loro creazioni non hanno altro scopo che portare fama e fortuna a pochi eletti e divertimento e piacere personale ai loro beneficiari, come possiamo giudicarli se non attraverso la montatura pubblica che di solito li accompagna in un determinato momento?

È proprio dell’economia liquido-moderna, orientata al consumo,  basarsi su un surplus di offerte, sul loro rapido deperimento e sul prematuro appassimento dei loro poteri di seduzione. Diventa quindi essenziale fornire ininterrottamente nuove offerte per alimentare un più rapido avvicendamento di beni, con un intervallo di tempo sempre più breve tra il loro acquisto e il loro abbandono, seguito dalla sostituzione con beni “nuovi e migliori”. Ed è ancora “essenziale” al fine di evitare una situazione in cui un’ulteriore delusione verso specifici beni, si trasformi in una delusione generale verso una vita intessuta e ricamata col filo del fervore consumistico sulla tela delle reti commerciali.

La cultura assomiglia oggi, per il semiologo polacco, a un reparto di un grande magazzino, in cui si aggirano persone trasformate in puri e semplici consumatori.

E pare dunque ovvio che nella nostra modernità liquida la cultura non ha più un “volgo” da illuminare ed elevare ma clienti da sedurre.  E se un tempo, la funzione della cultura era soddisfare bisogni esistenti, oggi pare essere quella di crearne sempre di nuovi.

Aedon, arti e diritto online

Aedon è un quadrimestrale di arti e diritto online (http://www.aedon.mulino.it) diretto da Marco Cammelli. Nell’ultimo numero propone in apertura contributi di Girolamo Sciullo sull’amministrazione del patrimonio culturale alla luce della legge Madia; di Carlo Zoli sui beni culturali come servizi pubblici essenziali; di Giuseppe Piperata su sciopero e musei e prosegue con alcune proposte di riforma, sia sulla tutela del patrimonio archeologico italiano (Luigi Malnati, Maria Grazia Fichera, Sonia Martone), sia sul mercato del libro antico (Geo Magri). Sul tema della valorizzazione e fruizione dei beni culturali scrive Giuseppe Severini (in particolare sull’immateriale dei beni culturali) mentre Annalisa Gualdani affronta il caso della Madonna del Parto di Piero della Francesca. Concludono il numero l’osservatorio “Giudice amministrativo” di Leonardo Zanetti e la sezione dedicata alla documentazione inerente i temi trattati.