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Diritto all’informazione, pluralismo e riforma del finanziamento all’editoria

Pubblichiamo l’interessante intervento del prof. Astolfo Di Amato, dell’Università Federico II di Napoli, audito dalla Commissione Cultura della Camera nell’ambito dell’esame della proposta di legge sull’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria. L’audizione si è svolta mercoledì 25 febbraio 2015.

Prof. Astolfo Di Amato: «1. Il punto di partenza del mio intervento non può che essere il diritto alla informazione. Si tratta di un concetto connaturato a quello di partecipazione democratica: in tanto si può partecipare in quanto si conosca e si sia consapevoli. E’ un concetto che è enunciato nell’art. 10 della CEDU e che la nostra Corte costituzionale ricava dall’art. 21 costo (n. 420/94).
Il diritto all’informazione implica indefettibilmente il pluralismo (sempre Cort. Cost. 420/94). Il principio del pluralismo, a sua volta, è enunciato in modo esplicito nell’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Ad esso fa riferimento anche la delibera del 31 gennaio 2007 del Consiglio di Europa, la quale fa espressamente obbligo agli stati di adottare le misure anche finanziarie per assicurare un pluralismo strutturale.

2. Cosa si intende per pluralismo? L’espressione è stata coniata nell’ambito delle scienze sociali e, secondo Bobbio «si chiama pluralismo quella concezione che propone come modello una società composta da più gruppi o centri di potere, anche in conflitto tra loro, ai quali è assegnata la funzione di limitare, controllare, contrastare, al limite di eliminare, il centro di potere dominante identificato storicamente nello stato» (dizionario di politica). In questo senso il pluralismo dà evidenza alla complessità ed alla frammentazione degli interessi sociali.

Applicato ai media, indica l’esistenza di una pluralità di fonti di informazione, in grado di dare voce a tali gruppi, consentendo al cittadino di conosce le loro rispettive posizioni.

In questo senso vi sono varie accezioni (pluralismo esterno: accesso di tutti alle tribune politiche; pluralismo interno; contenuti diversi da parte dello stesso editore e sullo stesso media).

La giurisprudenza della Corte Costituzionale (n. 826 del 1988) definisce il pluralismo, individuandolo nello spazio concesso alle maggiori correnti di pensiero, opinioni politiche, sociali e culturali presenti nel paese, onde agevolare la partecipazione dei cittadini allo sviluppo sociale e culturale del paese.

Il pluralismo, quindi, è un modo per dare concretezza al diritto ad essere informati secondo diversi punti di vista. Che non sono solo politici, ma anche territoriali, o legati a specifici interessi culturali. In questo senso il pluralismo indica qualcosa di più e di diverso dal diritto di ascoltare gli altri e comunicare con gli altri. Implica il diritto a ricevere una informazione qualificata, frutto di un’opera professionale di selezione e di verifica.

3. Il pluralismo, così come il diritto all’informazione, evocano quindi il concetto di impresa, costituendo questa lo schema tipico, nel nostro sistema, di una attività organizzata per la produzione di beni o di servizi. A sua volta il concetto di impresa evoca quello di mercato. E qui bisogna fare una riflessione.

Il mercato, qualunque mercato, lasciato a sé stesso ha tendenze monopolistiche o al più oligopolistiche. Questa affermazione è ancora più vera con riferimento alla impresa di informazione. Questo dipende dalla struttura dei costi di una impresa del genere. Il costo di una redazione o di un inviato, che costituiscono la parte più cospicua degli oneri di una impresa di informazione, sono gli stessi sia che vi sia un solo lettore e sia che vi siano milioni di lettori. Questo fa sì che l’impresa marginale è inevitabilmente espulsa dal mercato. Sia essa start up o no. A sua volta, l’impresa dominante diventa sempre più dominante.

Il mercato delle imprese di informazione, dunque, presenta in modo accentuato la tendenza alla concentrazione. Gli studi che sono stati svolti negli Stati Uniti su questa materia riferiscono che in questo settore si è verificata una concentrazione molto intensa: negli ultimi trenta anni si è passati da circa cinquanta grandi corporation a cinque/sei. Si veda Bagdikian, The new media monopoly, quarta edizione del 2004.

4. In questo quadro, la circostanza che le fonti del diritto si preoccupino di declinare un obbligo di tutela del pluralismo ha un preciso significato sul piano delle regole del mercato. Significa, in particolare, che questo campo non può essere dominato dal liberismo, nelle sue varie formulazioni. Vi deve essere uno specifico statuto dell’impresa di informazione, che la sottrae, almeno parzialmente, alle regole del mercato. In particolare, devono essere introdotti dei correttivi.
Quali correttivi? Aiuti dello stato, secondo quanto previsto dalla delibera del Consiglio di Europa (merita ricordare che MARIO Monti come Commissario europeo aveva aperto una procedura per aiuti di stato). Interventi sugli altri introiti delle imprese di informazione: vendite e pubblicità.

5. Ricostruito il quadro, i problemi che si pongono sono:
a) A quale settore si debba applicare questa disciplina che contraddice totalmente il liberismo;
b) Quale debba essere il criterio di attribuzione dei vantaggi;
c) Quali imprese ne possano beneficiare;
d) Quali possano essere i benefici.

6. La prima questione va risolta tenendo conto della convergenza. Con l’avvento delle tecnologie informatiche, che consentono l’utilizzo comune delle architetture reticolari di comunicazioni intese come vettori neutri, in grado di veicolare informazioni di ogni tipo. La conseguenza è stata una congiunzione, quasi una saldatura dei vari mercati.

Il libro verde della Commissione Europea del 24 aprile 2013 parla di “fusione progressiva”. Fatto sta che il fenomeno della convergenza rende superata una qualsiasi prospettiva che non muova dalla considerazione di una nozione unitaria di impresa di informazione, indipendentemente dal media di volta in volta concretamente utilizzato.

Questa, del resto, è la conclusione cui giunge il rapporto della Università di OXFORD del 2011, che analizza i sistemi di sostegno all’editoria di Finlandia, Francia, Germania, Italia, Inghilterra e Stati Uniti (mettendo, tra l’altro, in evidenza che l’onere pro capite in Italia è il più basso d’Europa).

Va anche detto che la limitazione alla carta stampata introdurrebbe una disparità di trattamento in danno delle nuove generazioni, che privilegiano internet.

7. La seconda questione esige una rivoluzione culturale. Sinora il pluralismo, sebbene inteso come strumento di attuazione del diritto ad essere informati, è stato poi interpretato come criterio di tutela di chi dà l’informazione e la tutela di chi la riceve è scomparsa.

Scompaiono, di conseguenza, i contenuti di quel diritto, che sono quelli alla “imparzialità, completezza, obiettività, e continuità della informazione (Media pluralismo is important for a healthy and informed democracy society, relazione al Segretario di Stato USA del 2009) (Lipari e Alpa).

Rispettare il senso del pluralismo, significa, innanzitutto agevolare le imprese che forniscono una informazione rispettosa del diritto alla conoscenza dell’utente. Non può, perciò, essere concepito un sostegno per chi omette o distorce i fatti. Potrà operare, ma non beneficiare di forme di sostegno. Il criterio non può che essere quello della correttezza dell’informazione, che potrà essere registrata da appositi osservatori.

Né si dica che potrebbe essere una censura perché: a) questo non significa impedire la libertà di comunicare qualsiasi cosa, ma solo fissare dei criteri di finanziamento; b) gli ordini dei giornalisti sono abituati in sede disciplinare a giudicare la correttezza della informazione data dai loro colleghi; non si vede perché un tale giudizio non possa essere dato ai fini dell’ammissione alle agevolazioni.

8. Nel senso indicato, un peso decisivo nella attribuzione delle agevolazioni deve essere quello della garanzia di indipendenza. Perciò va privilegiato l’editore puro. Questo significa mettere sul piatto della bilancia non solo l’appartenenza a gruppi industriali, ma anche la dipendenza dal gettito pubblicitario che può venire da certe imprese.

Occorre, senza scadere nel massimalismo, introdurre dei limiti alle risorse provenienti da un singolo soggetto economico, per poter beneficiare delle agevolazioni. O quantomeno introdurre una rapporto proporzionale inverso.

Quanto alle cooperative esse sono certamente uno strumento idoneo a garantire l’indipendenza, ma devono presentare alcune caratteristiche: la platea sociale deve essere formata esclusivamente da soggetti che lavorano nell’impresa di informazione; la cooperativa deve essere proprietaria della testata; la gestione deve avvenire all’interno della cooperativa.

9. Un criterio ulteriore deve essere quello di un minimo di diffusione.
Proprio perché il tema del pluralismo va visto dalla parte dell’utente, se non vi sono utenti in numero adeguato, il sostegno non è giustificato.
Questo aspetto potrebbe, probabilmente, essere declinato in modo più favorevole per le start up, sia pure per un periodo di tempo predeterminato e non suscettibile di proroghe.
In ordine alla diffusione, poi, vanno previsti criteri diversi, a seconda che si tratti di giornali locali o nazionali.
Al riguardo va sottolineato che la conoscenza di quanto avviene nel proprio territorio, e perciò sull’uscio di casa, non può essere sostituita dalla conoscenza di fatti lontani, che, per quanto importanti, rischiano di far perdere il contatto con la propria realtà e, forse, anche con la propria identità

10. Quanto ai benefici, mi limito a considerare quelli diretti. In primo luogo il finanziamento pubblico, cui l’Italia è obbligata in virtù della delibera del Consiglio Europeo già citata e che, comunque, è presente, in varie forme, in tutto il mondo occidentale.

In secondo luogo attraverso un apposito fondo creato con proventi dei privati. AI riguardo si deve tener presente che il riferirsi alla pubblicità può significare il riferirsi ad una realtà in via di superamento. L’esperienza americana dice che i grandi gruppi si stanno progressivamente allontanando dalle forme tradizionali di promozione, per adottarne altre, facilitate dai social network o dalla strumentalizzazione dei motori di ricerca su internet. Bisogna, perciò, individuare in modo più evoluto la categoria dei costi di espansione delle imprese sul mercato, su cui deve gravare il contributo per il sostegno del pluralismo.

11. Si è detto che l’attività di informazione richiede una struttura di impresa. Come tale caratterizzata dalla necessità di una corretta programmazione aziendale. Si è anche detto che agli incentivi devono poter accedere le sole imprese di informazione riferibili ad editori puri.

Appare, allora, evidente che i contributi non possono essere il frutto di elargizioni discrezionali. La necessità di una programmazione, presente in ogni impresa, richiede che ad essi corrisponda un preciso diritto soggettivo. E, quindi, la possibilità di tenerne conto nei budget preventivi».

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