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Gli agrituristi Indiana Jones

Ha fatto molto discutere l’emendamento alla legge di Bilancio 2019 presentato da Lorenzo Viviani, capogruppo della Lega in Commissione Agricoltura alla Camera, che “al fine di contribuire alla valorizzazione dei territori che rivestono interesse storico-archeologico” vorrebbe consentire gli ospiti degli agriturismi di partecipare ad attività di scavo archeologico qualora gli scavi insistano nella proprietà del titolare dell’agriturismo.

Ritengo quindi molto interessante l’articolo “Gli agrituristi Indiana Jones” di Giuliano Volpe, archeologo e presidente emerito del Consiglio superiore Beni culturali e paesaggistici del MiBAC, pubblicato su huffingtonpost.it lo scorso 21 novembre, che illustra bene le evidenti criticità insite nella proposta emendativa.

huffingtonpost.it – 21/11/2018

GLI AGRITURISTI INDIANA JONES

Uno dei primi esiti del “discutibile” trasferimento delle competenze del turismo dal Ministero dei beni e delle Attività Culturali (MiBAC, ora senza “T”) al Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo (MiPAAFT, ora con la “T”) si coglie in un emendamento della Lega alla manovra all’esame del Parlamento

Tra un emendamento che prevede lo stop ai preservativi gratis ai migranti e uno su una tassa per la pesca sportiva, ne è comparso uno sugli archeologi “fai da te” negli agriturismi. Secondo tale emendamento, infatti, “gli imprenditori agricoli esercenti attività agrituristica in aree di particolare pregio culturale, possono promuovere attività di ricerca archeologica e di scavo sui terreni di cui risultano essere proprietari o gestori”. Pertanto “l’imprenditore agricolo concessionario può consentire agli ospiti della struttura agrituristica la partecipazione, senza fini di lucro, alle attività di ricerca archeologica e scavo eseguite sui terreni su cui insiste la propria attività, sotto la direzione, il controllo e la supervisione del direttore dello scavo indicato nell’apposita richiesta di concessione. L’imprenditore agricolo concessionario è custode del patrimonio storico archeologico sito nel terreno ove si svolgono le attività di ricerca e scavo”.

Si crea di fatto la figura dei turisti-archeologi. Infine, per quel che riguarda le risorse, “per gli adempimenti connessi al rilascio delle autorizzazioni per la custodia dei beni artistico-culturali da parte dei privati di cui ai commi 1 e 2, sono stanziate risorse pari a 500.000 euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021”. Prescindendo da come andrà a finire questa bizzarra iniziativa, è evidente che a preoccupare sia la filosofia che la ispira, diametralmente opposta alle norme vigenti (assai restrittive) in tale materia.

Secondo il Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici, infatti, lo scavo archeologico è “riservato” esclusivamente al MiBAC. Le Università e i Centri di Ricerca Scientifica devono ottenere, sulla base di specifici progetti scientifici, una “concessione di scavo” (che anche nella denominazione conserva un sapore da Stato borbonico) mediante una serie procedure anche molto farraginose.

Alcuni anni fa, una circolare dell’allora Direttore Generale per l’Archeologia (ora Direttore Generale per l’Archeologia, le Belle Arti e il Paesaggio) aveva tentato, con un atteggiamento grettamente iper-burocratico, di limitare addirittura la partecipazione degli studenti universitari agli scavi didattici condotti dalle Università, necessari per formare sul campo gli archeologi professionisti e gli stessi futuri funzionari del MiBAC, e aveva impedito ad alcuni atenei di organizzare summer school a pagamento (come tutti i corsi universitari), che prevedessero la partecipazione attiva alle attività di scavo archeologico.

Da anni il mondo dell’Università e della Ricerca chiede di rivedere tali norme, in nome dell’Articolo 33 della Costituzione sulla libertà della ricerca e dello stesso Articolo 9, che attribuisce alla Repubblica (e non solo allo Stato o a un solo Ministero) il compito sia di tutelare “il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” sia di promuovere “lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. In questo caso però, sia ben chiaro, si tratta di ricerca scientifica, condotta da professori, ricercatori, archeologi professionisti.

Nell’emendamento alla manovra, per come è stato presentato, pare emergere al contrario un approccio “amatoriale” privo del più elementare rispetto delle necessarie garanzie di rigore scientifico (se non con un generico riferimento ad un “direttore dello scavo”, sulle cui competenze nulla si precisa: basterà una laurea triennale per dirigere? E basta un “direttore” per guidare una squadra di dilettanti allo sbaraglio?). Insomma, pare una sorta di allegra “caccia al tesoro” per allietare le giornate di “archeoagroturisti”, tra un caciocavallo, una carota biologica e un bicchiere di vino genuino.

È forse il caso di ricordare, almeno agli emendatori, che lo scavo archeologico è un’operazione assai complessa, che richiede alta professionalità, anni di studio e una lunga pratica sul campo. È soprattutto una pratica “distruttiva”: con lo scavo si smonta una stratigrafia formatasi nel corso di millenni e di fatto la si distrugge. Con i metodi e le tecniche, con i sistemi di analisi e di documentazione, propri della moderna archeologia stratigrafica, l’archeologo ricostruisce ciò che ha smontato, interpreta le relazioni tra strutture, stati e reperti e propone un racconto storico.

In altre parole, sarebbe come affidare a turisti in visita in una città interventi chirurgici condotti su pazienti veri, quale divertente esperienza da associare a una passeggiata, un tuffo in piscina e una serata in discoteca. O si pensa che quelle del medico o dell’ingegnere siano professioni e l’archeologia sia solo un hobby?

Colpisce anche in questa occasione il silenzio del MiBAC, privo peraltro da mesi anche dei suoi organi di consulenza e indirizzo (il Consiglio Superiore dei Beni Culturali e Paesaggistici e i sette comitati tecnico-scientifici), oltre che dei Solone che negli anni passati protestavano quotidianamente e che ora appaiono pienamente soddisfatti dalle politiche nel campo della cultura.

Personalmente non avrei nulla in contrario se si favorisse il sostegno finanziario e organizzativo da parte di imprenditori dell’agriturismo (o del turismo in generale) per l’organizzazione di indagini archeologiche (non necessariamente solo lo scavo, ma anche la ricognizione in campagna per l’individuazione e la documentazione di siti archeologici ancora sconosciuti: ce ne sono migliaia nelle campagne italiane) tramite accordi con le Università e i centri di ricerca. O, anche, con il coinvolgimento di società o singoli archeologi professionisti, dotati di adeguati titoli e qualifiche certificate, che possano prevedere pure il coinvolgimento di turisti interessati alla cultura, attraverso lezioni, conferenze, laboratori e anche, perché no, alcune operazioni sul campo.

Il tutto ovviamente con le necessarie autorizzazioni (rilasciate non all’agriturismo, ma all’Università o all’archeologo professionista) e il controllo delle soprintendenze territoriali del MiBAC. Sarebbe anche un modo per effettuare un’azione di educazione al patrimonio e – aspetto non irrilevante – un’ulteriore opportunità di lavoro per gli archeologi professionisti. Io stesso negli anni passati ho diretto e condotto con un’équipe universitaria un corso, nell’ambito delle “Lezioni di archeologia subacquea” organizzate a Ustica dalla rivista Archeologia Viva, che prevedeva anche alcune attività sul cantiere archeologico subacqueo; la sistemazione era in un villaggio turistico e al corso partecipavano decine di studenti e di appassionati, adeguatamente formati, indirizzati e monitorati.

Turisti, cioè, integrati in équipe di ricerca scientifica, non certo lasciati liberi di “scavare” alla ricerca del Sacro Graal o dell’Arca (o della caciotta) perduta!