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Il diritto d’autore ai tempi dei social

Dopo il rinvio dello scorso luglio, il Parlamento Europeo voterà domani a Strasburgo la direttiva sul copyright che punta a regolare il diritto d’autore riequilibrando il mercato dei diritti sulle opere artistiche e sulle pubblicazioni editoriali in ambiente digitale.

Un voto dall’esito incerto su una direttiva controversa che Christian Rocca ha ben illustrato  nell’articolo “Il diritto d’autore ai tempi dei social”, pubblicato da La Stampa lo scorso 10 settembre, che riportiamo qui di seguito.

Il diritto d’autore ai tempi dei social
Pubblicato il 10/09/2018 da La Stampa

CHRISTIAN ROCCA

Mercoledì mattina, a Strasburgo, il Parlamento europeo affronterà una delle questioni più delicate della nostra epoca, il copyright al tempo di Internet, un argomento che va oltre il linguaggio oscuro di una direttiva europea e le procedure esoteriche delle istituzioni continentali. Secondo l’ex Beatles Paul McCartney, in gioco c’è il futuro della musica; mentre per le associazioni dei giornalisti e degli editori, la posta in palio è la sopravvivenza dell’industria dell’informazione. Dall’altra parte, i giganti della Silicon Valley e i populisti della rete sostengono che lo zelo europeo sul copyright finirà per imbavagliare Internet.

Ciascuno ha le proprie ragioni, fondamentalmente economiche, ma l’aspetto più interessante del voto di dopodomani è quello del possibile impatto che sia l’approvazione sia la bocciatura della direttiva sul copyright potrebbero avere sulla formazione dell’opinione pubblica nella società contemporanea. In sintesi, Strasburgo voterà su un punto preciso: i grandi monopolisti digitali, Facebook e Google, dovranno riconoscere agli editori e agli autori di informazione e di musica una parte infinitesimale degli strabilianti ricavi che ottengono dal loro geniale e cinico modello di business che consiste nel monetizzare, vendendo dati e target pubblicitari, la diffusione virale che i loro utenti fanno di contenuti prodotti da terzi. Oggi funziona così: i big digitali si arricchiscono, gli utenti dei social si informano e si divertono, mentre i produttori di contenuti che consentono ai primi di guadagnare e ai secondi di divertirsi rischiano di sparire perché alla lunga, nemmeno tanto lunga, produrre contenuti non sarà più conveniente.

L’innovazione tecnologica conduce sempre a cambiamenti radicali nei settori industriali e artigianali, ma lo smantellamento del sistema dell’informazione ha conseguenze sociali diverse rispetto alla scomparsa di spazzacamini, carrozze a cavallo o venditori di ghiaccio. Senza un’informazione professionale, o indebolita e incapace di attrarre talenti e cervelli, circolerà soltanto robaccia – post verità, fake news, fatti alternativi – ancora più di quanto ne circoli adesso, in una spirale negativa che minaccia di inghiottire il discorso pubblico, la società civile e il sistema di valori liberaldemocratici.

I centralini e i server di posta del Parlamento europeo hanno registrato un interesse senza precedenti in queste settimane, i gruppi di pressione degli opposti schieramenti hanno tempestato i parlamentari di telefonate, email e appelli, mentre sui social la campagna pro e contro la direttiva non conosce sosta. A giugno, la Commissione giuridica del Parlamento aveva approvato un testo, ma a luglio l’aula plenaria ha bocciato la direttiva. Mercoledì si rivoterà e in queste ore i gruppi parlamentari stanno lavorando per definire gli emendamenti per un possibile compromesso in particolare sugli articoli 11 e 13, i più controversi.

In caso di voto favorevole sarà comunque una corsa contro il tempo perché si aprirà il negoziato nel cosiddetto «trilogo» tra Commissione europea, Consiglio, cioè i governi dei paesi membri, e il Parlamento, i tre detentori del potere legislativo europeo, per concordare un testo comune di direttiva che dovrà comunque poi essere votato di nuovo dal Parlamento entro marzo, prima della fine della legislatura e delle nuove elezioni di maggio 2019. Se non ci riusciranno, o non faranno in tempo, si dovrà ricominciare tutto daccapo con il nuovo Parlamento. E noi resteremo con regole obsolete che mortificano il diritto d’autore, invece di proteggerlo, perché risalgono al 2001, quando non c’erano i social e il discorso pubblico si formava ancora sullo scambio di fatti e di opinioni, non sulla condivisione di bufale e di immagini divertenti sui social.