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Perché ho votato contro il decreto sicurezza

Il decreto legge 113 è molto lontano dall’idea di sicurezza che apparentemente afferma di voler garantire o almeno lo è per la cultura politica cui appartengo. È legato ad un’idea di sicurezza “militarizzata” molto lontana da quella fatta di impegno per la collettività, per la società civile, fatta di aiuto reciproco, in cui mi riconosco. Assimilare in un unico provvedimento sicurezza e immigrazione lo si è detto è profondamente sbagliato: molte delle misure previste non offrono garanzie adeguate, specialmente verso le persone più deboli come i minori non accompagnati.

L’eliminazione del permesso di protezione umanitaria, uno strumento efficace dato il suo carattere temporaneo e la capacità di assistere persone vulnerabili ma non tutelate dalla protezione internazionale, è particolarmente grave.

Il sistema di accoglienza nel nostro Paese è diventato negli anni via via più solido e funzionale. Ma si è deciso di intervenire in maniera dissennata demolendo il sistema degli SPRAR in favore delle grandi strutture che si sono dimostrate le più difficili da gestire, vanificando così la collaborazione fra istituzioni che ne rappresentava le fondamenta. Viene rifiutato un sistema che funziona, fatto di piccoli centri, in media di 8 persone, diffusi sul territorio italiano, gestiti con attenzione dai sindaci che evitano così tensioni sociali con la popolazione locale.

Non è tanto un problema di sindaci, il 70% degli immigrati usciti dagli SPRAR nel 2017 (oltre 9.000) ha concluso il percorso di accoglienza previsto, ha frequentato almeno un corso di lingua per imparare l’italiano, ha seguito corsi di formazione professionale e tirocini formativi e 1/5 circa ha trovato un’occupazione lavorativa. 1825 sono stati i comuni interessati. E soprattutto, tutti i minori ospiti nei centri SPRAR hanno potuto frequentare la scuola.

Voglio ricordare quanto accade per i migranti in Germania a questo proposito.

I corsi d’integrazione sono coordinati dall’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati.

I corsi d’integrazione sono obbligatori per i migranti e si articolano in due parti: da un lato sono previste 700 ore di lezioni di lingua tedesca e, dall’altro lato, un corso d’orientamento di 100 ore. Quest’ultimo comprende un insegnamento di base sul funzionamento e i valori del sistema democratico, sulla storia della Germania e sulla legge e costituzione tedesca.

Alla fine del percorso di studi i partecipanti devono sostenere un esame di lingua e un test di cultura generale denominato “Vivere in Germania”.

Molte le donne coinvolte, nella consapevolezza che dalla loro intermediazione nasce anche la futura integrazione dei figli.

Per quanto riguarda l’offerta, dopo l’anno 2015, è stata fortemente incrementata, soprattutto per quanto concerne i corsi d’orientamento.  I fondi destinati ai corsi d’integrazione sono stati raddoppiati: se nell’anno 2015 si spendevano soltanto 269 Milioni, nel 2016 erano 559 Milioni.

Così nell’anno 2016 oltre 300.000 migranti hanno potuto accedere ai corsi d’integrazioni.

La stessa cosa accade anche in Francia dove il richiedente la cittadinanza deve dimostrare una conoscenza sufficiente della lingua francese, ma anche della storia, della cultura e della società francese.

In Italia sebbene i corsi ci siano, l’apprendimento della lingua è ostacolato da un numero insufficiente di ore erogate, dalle capacità linguistiche pregresse del singolo, dal suo livello di scolarizzazione, da metodologie di insegnamento non appropriate, da una scarsa spinta motivazionale o dalla difficoltà oggettiva di frequentare i corsi per motivi di lavoro.

È uscito oggi il Rapporto Unesco sull’educazione mondiale: l’obiettivo di sviluppo sostenibile che le Nazioni Unite si propongono di raggiungere entro il 2030 prevedeva di “fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva e opportunità di apprendimento per tutti. Purtroppo ci sono scarse speranze di riunirci, perché ci si scontra con una realtà fatta di esclusione nei confronti dei più giovani e dei più deboli.

Serve maggiore integrazione dei migranti nei sistemi educativi, maggiore preparazione per gli insegnanti, capacità di combattere i pregiudizi.

Serve insomma una modalità razionale nell’affrontare i problemi dell’accoglienza.

Oggi con questa legge molti giovani migranti sono costretti ad interrompere all’improvviso i percorsi di scolarizzazione e di formazione intrapresi perché la demolizione degli SPRAR lascerà la possibilità di proseguire la scuola solo ai “rifugiati”, negandola a tutti i “richiedenti asilo.

Eppure la questione dell’immigrazione è di rilevanza globale e riguarda tutti i paesi.

Gestirla bene, secondo il diritto internazionale, è giusto ma è anche nell’interesse degli stati stessi.

E oggi la flessione del numero degli arrivi offre un’occasione importante per migliorare la gestione dei flussi, delle domande di asilo, di chi già si trova nel ostro Paese.

Lasciar spazio ad un dibattito più pacato, più rispettoso della dignità e della razionalità, è doveroso, purtroppo si scontra con la volontà di perpetuare in modo artificioso l’idea di una perenne emergenza. Rischiamo di pagarlo caro.