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2 Giugno. Conoscere e raccontare la storia

Pubblico il mio intervento all’interessante Tavola rotonda «Conoscere e raccontare la storia. Il Calendario civile repubblicano tra storia e memoria, fonti e strumenti digitali» organizzata dall’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica all’interno del Seminario 2 GIUGNO. LA FESTA DELLA REPUBBLICA E IL CALENDARIO CIVILE DEGLI ITALIANI, nell’ambito del ciclo di incontri del progetto “Lezioni di storia contemporanea (1848-1948). Diritti e cittadinanza. Fonti archivistiche e percorsi di ricerca”.

Dopo le relazioni della prima parte del Seminario, centrate sul processo di costruzione di una Public History tessuta di storia, memoria e “vissuto” degli italiani e delle istituzioni, la Tavola Rotonda nella seconda parte ha insistito sul rapporto tra storia, memorie pubbliche, rituali repubblicani e fonti analogiche e digitali che li documentano, rappresentano e trasmettono, anche attraverso il vettore delle nuove tecnologie digitali, al fine di offrire ai Cittadini, e in particolare alle generazioni più giovani, un contributo alla conoscenza della storia della Repubblica.

Il mio intervento:

Il ruolo e il contributo delle istituzioni parlamentari (e dei suoi membri) per la costruzione dell’identità nazionale attraverso la salvaguardia, la diffusione e la valorizzazione della memoria documentaria del Paese

1. Uno sguardo sulle finalità del seminario del 31 maggio 2017
Questo Seminario, così come tutta questa giornata – dedicata alla ricorrenza del 2 giugno – è stato “pensato” dall’Archivio storico della Presidenza della Repubblica e, soprattutto da Marina Giannetto, come momento di incontro tra diversi “attori” (rappresentanti degli organi/istituzioni costituzionali, delle istituzioni archivistiche, culturali e del mondo della ricerca) chiamati a riflettere, partendo da approcci e visioni diversi ma complementari, sui principali e centrali snodi della storia repubblicana.

Un confronto e un dialogo tra varie “letture” che hanno diversi obiettivi, tutti ugualmente rilevanti perché trovano il loro fondamento nella Costituzione che ha dato corpo a quei principi e a quei valori su cui si fonda la Repubblica, indicati dagli italiani con le scelte referendarie proprio del 2 giugno (1946) che ridisegnarono l’impianto istituzionale democratico del nostro Paese.

Così, a partire dall’art. 9 (forse tra gli articoli più innovativi/originali della Costituzione repubblicana) ritroviamo i due principi fondamentali diversi per oggetto, finalità e forza precettiva, ma strettamente correlati: la promozione della cultura e la protezione del patrimonio culturale (a cui i beni archivistici appartengono), come ricordato nel 2003 dall’allora presidente della Repubblica Ciampi, “il cuore della nostra identità, di quella Nazione che è nata ben prima dello Stato e ne rappresenta la più alta legittimazione”.

Promozione e protezione che spettano alla “Repubblica”, a cui bisogna dare, secondo consolidata dottrina, il significato arricchito di Stato nelle sue diverse articolazioni (quindi non solo lo Stato ma tutti i soggetti pubblici).

Continuando a mantenere lo sguardo sulla Costituzione, quest’ultima contiene, all’art. 33, anche il richiamo a una cultura e a un’indagine scientifica (anche storica dunque) che devono essere libere nel loro sviluppo; libertà che, a sua volta, richiama i principi della responsabilità, della trasparenza e disponibilità dei dati generali nell’interesse comune. Una responsabilità e una trasparenza che coinvolgono, naturalmente, in primis chi fa ricerca, nel nostro caso specifico gli storici (fuori e dentro l’Accademia) che devono operare secondo uno statuto scientifico, basato su un uso e secondo ipotesi interpretative corretti delle fonti (di qualsiasi natura) che devono, a loro volta, essere liberamente accessibili e fruibili affinché si possa effettuare una valutazione della coerenza scientifica e dell’efficacia delle argomentazioni di chi opera come mediatore della conoscenza del passato e del presente.

2. Il ruolo delle istituzioni parlamentari (e dei loro Archivi storici) nella tutela, fruizione e valorizzazione delle memorie “repubblicane”
Ma la responsabilità e la trasparenza di cui abbiamo parlato sopra riguardano anche le istituzioni a cui il nostro ordinamento attribuisce anche la funzione di custodire le nostre memorie documentarie, come le istituzioni parlamentari (Camera dei deputati e Senato della Repubblica) che hanno utilizzato l’esenzione dalla sorveglianza dell’Amministrazione archivistica e dall’obbligo di versamento agli Archivi di Stato (riconosciute con la legge 147/1971 non per rimanere “contenitori” chiusi (strutture informative e documentarie rivolte esclusivamente all’interno) bensì per avviare un processo di “metamorfosi” che ha portato, innanzitutto, alla creazione degli Archivi storici parlamentari, strumento di attuazione di una politica conservativa sempre più attenta alle necessità della variegata ed eterogenea “comunità” degli utenti e di una politica di apertura al pubblico sempre più liberale che ha comportato l’adozione di regole sull’accesso e sulla confrontabilità analoghe a quelle in vigore per gli Archivi di Stato.

Così quella concentrazione di carte, iniziata fin dalla metà dell’Ottocento, è diventata patrimonio “pubblico” e la consapevolezza di custodire e gestire un patrimonio documentario di particolare rilievo ha spinto gli Archivi storici del Parlamento ad attuare ulteriori passi per impostare un progetto conservativo più ampio attento, innanzitutto, alle carte istituzionali tra cui si segnalano, per collegarsi tema del seminario del 31 maggio (la festa repubblicana del 2 giugno):

  1. a) gli archivi della transizione costituzionale (dove si trovano i “semi” della successiva scelta repubblicana) quali quelli della Consulta nazionale, del Referendum istituzionale del 1946 e dell’Assemblea costituente;
  2. b) gli archivi del periodo repubblicano quali, ad esempio, quelli dei Verbali d’aula (processi verbali delle sedute delle due Camere), dei Disegni e proposte di legge, delle Interpellanze, interrogazioni e mozioni, delle Commissioni parlamentari d’inchiesta; archivi che, nel loro insieme, sono fonti privilegiate per ricostruire e far conoscere le ragioni del passaggio istituzionale del 1946, voluto dai cittadini ma che ancora non è entrato a pieno titolo nell’identità collettiva del nostro Paese. Ed ancora, che consentono di verificare il grado di trasparenza delle istituzioni repubblicane, la capacità dei loro “anticorpi” democratici.

Lo sforzo di recuperare le “virtù civiche repubblicane”, di fare del 2 giugno una festa non solo formalmente “repubblicana” ma una ritualità civile effettivamente sentita dalla collettività passa, così, anche dalla capacità di consentire agli archivi di esprimere pienamente la loro funzione di strumenti di democrazia, circostanza che può realizzarsi solo con una chiara e “oggettiva”, avalutativa (nel significato che ne danno gli archivisti) scelta conservativa (quali archivi conservare e perché) e dalla possibilità di libero accesso agli archivi conservati da parte degli utenti, trattati in modo egualitario (questa è anche la credibilità democratica di uno Stato).

In questi ultimi anni poi le strategie conservative adottate dagli Archivi storici parlamentari hanno tenuto conto anche delle nuove esigenze espresse dai (potenziali) utenti.

Da qui, innanzitutto, l’attenzione per la ricerca, salvaguardia e acquisizione di archivi privati e, in particolare, delle carte di deputati, ex-deputati, ex-funzionari delle due Camere e ulteriori documenti relativi a esperienze personali e a movimenti politici di particolare interesse storico; fonti ormai considerate centrali per una storiografia “a più voci” non più solo basata sulla memoria ufficiale delle istituzioni.

Tali iniziative – che riflettono la consapevolezza di una “tutela” che non può ridursi ad una conservazione “tombale” ma che deve tendere alla promozione della conoscenza del patrimonio documentario nazionale – sono avvenute sia con modalità “tradizionali”, ovvero attraverso una consistente attività editoriale finalizzata alla pubblicazione di strumenti di corredo archivistici su supporto tradizionale, sia attraverso la creazione, la gestione e l’implementazione di siti degli Archivi storici appositamente dedicati a rendere fruibili, ad un pubblico più ampio rispetto a quello “specialistico” delle sale di studio, descrizioni degli archivi custoditi nonché il risultato della loro digitalizzazione.

Il Portale storico della Camera dei deputati ne è la dimostrazione, così come i progetti di natura didattica realizzati dal Senato e dalla Camera con l’Istituto LUCE, che hanno dato vita ai due portali attraverso i quali si organizzano e si rendono fruibili le risorse digitali sulla storia politica e parlamentare

3. I progetti di tutela e valorizzazione delle istituzioni parlamentari (e dei loro Archivi storici) di natura interistituzionale e collaborativa
Ma le istituzioni parlamentari sono state protagoniste e promotrici, in questi ultimi anni, anche di iniziative carattere interistituzionale, finalizzate ad una politica di tutela e valorizzazione delle fonti documentarie di più ampio respiro (ossia anche di “altre” memorie – non solo quindi quelle conservate dagli Archivi storici parlamentari – considerate centrali perché riflesso della vita sociale, civile e istituzionale del Paese), che possono essere considerate come testimonianza della volontà di favorire la diffusione della conoscenza tra i cittadini della storia dell’Italia repubblicana e che, di conseguenza, possono essere considerate come strumenti ideati al fine di concorrere alla formazione di una dignità propria del civis consapevole e informato.

E di queste iniziative voglio parlarvi.

Un progetto denominato “Archivi della Repubblica” venne concepito e, in minima parte, realizzato ormai 15 anni fa. Il convegno di presentazione si tenne all’Istituto Sturzo nel luglio del 2003.

Sotto la presidenza di Gabriele De Rosa, l’incontro vide gli interventi dei presidenti dei due rami del parlamento Marcello Pera e Pierferdinando Casini.

Il convegno segnava la fine di un lungo periodo di discussione e preparazione di un progetto che conteneva molti elementi di novità rispetto alle politiche e alle modalità tradizionali di considerare e gestire le fonti per la storia politica e istituzionale del nostro paese.

“Archivi della Repubblica” nasceva su proposta di alcune tra le maggiori istituzioni culturali private italiane, espressione delle varie culture politiche che avevano animato la storia italiana ed europea del Novecento, e che ne conservavano memoria presso i propri archivi storici.

In quel periodo, alcuni di questi istituti e le varie comunità di studiosi che vi facevano riferimento prendevano coscienza della profonda fase di cambiamento che si stava verificando nel mondo della ricerca sulla storia contemporanea causata dall’avvento delle nuove tecnologie, della rete, dei nuovi programmi di ricerca internazionali; e della necessità di mutare atteggiamenti, punti di vista, approcci, modalità di gestione e divulgazione rispetto alle fonti e nella scrittura della storia.

Tale consapevolezza era in gran parte indotta dall’irruzione del WEB nel panorama e culturale nazionale e globale, e dai risultati conseguiti dal progetto “Archivi del Novecento”, la prima rete di istituzioni culturali che aveva deciso di mettere in comune le descrizioni del proprio patrimonio archivistico relativo alla cultura e alla politica italiana del XX secolo. Questo progetto, realizzato sotto la guida del consorzio BAICR, arrivò a riunire 83 istituti e a descrivere e ospitare oltre 750 fondi archivistici.

L’atto costitutivo dell’Associazione temporanea di scopo alla base del progetto “Archivi della Repubblica” venne firmato dalla Fondazione Luigi Einaudi, dall’Istituto Luigi Sturzo, dalla Fondazione Istituto Gramsci, dalla Fondazione Ugo La Malfa, dalla Fondazione Ugo Spirito, dalla Fondazione di studi storici “Filippo Turati”, l’Istituto per la Storia della Democrazia Repubblicana di Tarquinia.

Tra le premesse dell’atto:

  • veniva sottolineata la comune attività e volontà di “realizzare basi dati archivistiche relative ai fondi di partiti, di gruppi parlamentari e di personalità politiche da rendere disponibili al pubblico attraverso una rete informatica di consultazione in grado di operare anche sulla rete internet”;
  • veniva poi menzionata l’attività degli archivi storici della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica dedicata all’ “informatizzazione del patrimonio documentario relativo alla storia politico-istituzionale del Paese per renderlo accessibile ad un ampio pubblico”;
  • si rammentava come fosse “in via di definizione una Convenzione tra le fondazioni indicate e gli organismi parlamentari per un progetto di valorizzazione archivistica, attraverso l’interazione tra gli archivi istituzionali, gli archivi di gruppi parlamentari e di singole personalità politiche”.

Quale rappresentante del raggruppamento di istituti veniva indicata la persona del Prof. Gabriele De Rosa.

Scorrendo il testo della relazione introduttiva al convegno di Gabriele De Rosa, si colgono i lineamenti di quello che si proponeva prima di tutto come un progetto culturale, “nato – affermava il grande studioso del movimento cattolico – per rendere fruibili quegli archivi storici ritenuti essenziali per la storiografia contemporanea dell’Italia: archivi dei partiti, delle dirigenze politiche, dei Parlamenti e dei loro gruppi.”

Proseguiva identificando il ruolo primario e, al tempo stesso complementare alle fondazioni, degli archivi della Camera e del Senato, che “conservano un materiale prezioso per quanto riguarda l’espressione elettorale della sovranità popolare, che gioca un ruolo distinto rispetto alla dialettica dei partiti.”

Riteneva strategico l’utilizzo delle “potenzialità della tecnologia per valorizzare le carte e per promuovere reti di relazione scientifica e culturale”, e la scelta di politica culturale “di avvicinare il patrimonio archivistico alla cittadinanza affinché possa diventare strumento di conoscenza più ampia e diretta … ponendo l’ambiente digitale al servizio della conoscenza della storia politica”.

Gli esiti e le realizzazioni di quel progetto rispecchiarono solo in minima parte gli obiettivi iniziali. Molto probabilmente i tempi non erano ancora maturi, sotto molteplici punti di vista…

A livello culturale, le scuole storiografiche erano ancora legate a visioni ideologiche in costante confronto dialettico, eredi di epoche e sistemi politici sì al tramonto, ma ancora radicati nella cultura e nei metodi di ricerca.

Vi era poi una concezione degli archivi e un approccio agli archivi e ai documenti per la storia politica ancora fortemente “privatistico”, spesso usati a supporto della proposizione di tesi fortemente costruite su base ideologica e con metodologie poco inclini all’integrazione con altri sistemi di fonti.

Ma forse il settore meno maturo per una piena realizzazione di quanto si proponeva il progetto era quello tecnologico, dove le potenzialità della rete e di tutti i sistemi a supporto non erano ancora arrivati ai livelli di sviluppo e diffusione necessari.

Non era ancora matura l’elaborazione e la diffusione di modelli concettuali per la rappresentazione in rete dei documenti e dei necessari contesti di produzione.

I principali standard di descrizione e rappresentazione informatica degli archivi erano stati elaborati solo da pochi anni ed era ancora in corso la loro diffusione, assimilazione e aggiornamento da parte delle varie comunità professionali e scientifiche.

Molti linguaggi e strumenti per la divulgazione in rete erano ancora in fase di sviluppo, e spesso si basavano ancora sulla trasposizione in ambiente digitale di modelli consolidati della tradizione archivistica e bibliotecaria su supporti tradizionali.

I software di gestione di questi patrimoni si basavano su sistemi proprietari, per cui la loro gestione e il loro sviluppo erano dettati da logiche (e costi) strettamente commerciali.

Ancora a livello embrionale erano la logica e le politiche dell’Open source per lo sviluppo dei programmi e dell’Open Access per la divulgazione dei contenuti.

Altrettanto acerbo il dibattito attorno all’importanza dei metadati e dell’interoperabilità per la condivisione su piattaforme comuni e per la gestione integrata di oggetti digitali di varia natura.

Le grandi Digital Library, che oggi costituiscono le principali infrastrutture di gestione dei patrimoni culturali e i più diffusi strumenti di accesso multilivello alla conoscenza, stavano muovendo i primi passi con i primi progetti e prototipi (cito ad esempio Minerva ed Europeana).

La cultura delle immagini in rete e la loro potenzialità di fonte era ancora legata all’ambiente della produzione documentaristica e televisiva.

Le raccolte fotografiche e audiovisive erano ancora considerati un “mondo a parte”, costituito da entità concettualmente separate dal mondo degli archivi, anche a causa delle modalità, degli strumenti, dei costi di gestione e conservazione che i supporti originali esigevano.

E mancava una adeguata e diffusa riflessione (a parte qualche “caposcuola”) da parte della storiografia per il loro uso integrato con altre fonti.

La facilità di produzione e riproduzione di documenti digitali, di fotografie e filmati; la disponibilità di strumenti di fruizione di massa in rete come Youtube e Instagram (e tutto l’universo social ad essi collegato); l’acquisizione di una piena consapevolezza delle loro potenzialità anche a livello divulgativo e scientifico: erano ancora elementi che si stavano solo affacciando al mercato globale e che ancora non avevano sovvertito e convertito molti concetti e metodologie legati alla ricerca e alla divulgazione.

In virtù di tutti questi (assieme ad altri) fattori, un progetto come “Archivi della Repubblica”, originato da un gruppo di istituti culturali privati con il coinvolgimento delle istituzioni parlamentari, si connotava indubbiamente come una sfida pionieristica e di difficile realizzazione.

Una riflessione che ha tuttavia contribuito a far maturare il dibattito attorno alle nuove forme di gestione della documentazione e delle fonti per la storia politica e istituzionale (di cui l’Italia – ricordiamolo – può vantare una ricchezza probabilmente senza pari).

Anche grazie a questa riflessione nel 2013, venne ripresentata una proposta di legge (n. 837) a mia prima firma, da alcuni deputati di diversi schieramenti. La proposta di legge, che riprendeva analoga proposta presentata nella XVI legislatura, proponeva la creazione di un Istituto per la storia politica della Repubblica italiana il cui fine era quello di migliorare e incrementare le attività di salvaguardia, fruizione e valorizzazione degli archivi dei partiti politici, fonte centrale per la vita civile, sociale e istituzionale del Paese, custoditi da istituti che, per i tagli e le difficoltà economiche che caratterizzano il settore dei beni culturali (e specie quello dei beni archivistici), riscontravano sempre maggiori difficoltà a svolgere attività di salvaguardia e a intraprendere progetti regolari di riordinamento, inventariazione, digitalizzazione e valorizzazione di tali fonti.

La ratio della proposta di legge – che è poi la ratio di un pluralismo conservativo realmente sostenibile – non era quella di creare un nuovo super “Istituto” quanto di realizzare una nuova modalità di gestione comune dei patrimoni documentari custoditi da Istituti privati, in parte dagli stessi partiti (Partito radicale) e dagli Archivi di Stato. Si prevedeva, quindi, la realizzazione di un coordinamento (virtuale) tra i diversi istituti conservatori al fine di programmare e realizzare, in modo condiviso, progetti di digitalizzazione e di valorizzazione delle fonti custodite dai singoli soggetti.

La proposta di legge rimase come punto di riferimento e si trasformò in un ordine del giorno alla legge di Stabilità 2015, votato dalla Camera dei Deputati il 30 novembre 2014. Accolto dal Governo, prevedeva di sostenere “la digitalizzazione e la salvaguardia dei materiali, delle testimonianze e dei documenti relativi alla storia delle culture politiche del XX secolo – anche attraverso la realizzazione di un portale della storia della Repubblica – al fine di assicurarne la conservazione e la fruizione”.

L’ordine del giorno firmato Piccoli Nardelli, Manzi, Rampi e Orfini, fu ripreso da Marina Giannetto che ne fece l’attuale progetto del Portale delle fonti per la storia della Repubblica.

Il Portale ha come idea ispiratrice quella di costruire, attraverso il web, un punto di accesso comune alle memorie documentarie della storia dell’Italia repubblicana custodite da diverse istituzioni tra cui la Presidenza della Repubblica, i due rami del Parlamento, l’Archivio centrale dello Stato e da alcune tra le più rilevanti fondazioni culturali del nostro Paese (Fondazione Sturzo e Fondazione Istituto Gramsci), utilizzando anche l’esperienza e le competenze dell’Istituto centrale per gli Archivi e del CNR nell’uso delle tecnologie per la descrizione, comunicazione e diffusione di archivi e risorse digitali nonché nell’uso dei Linked Data che garantisce l’interoperabilità dei dati provenienti da repository digitali eterogenei, consentendo, al contempo, una migliore e piena valorizzazione dei loro contenuti informativi ed espressivi.

Oggi questa iniziativa si inserisce in una fase della riflessione archivistica, svolta sia a livello nazionale che internazionale, incentrata sul concetto di “descrizione” archivistica e sulla sua evoluzione, dettata dal passaggio da un ambiente “chiuso” e circoscritto – il singolo istituto di conservazione – ad un nuovo ambiente rappresentato dalla Rete. Passaggio che ha costretto (e costringe) le istituzioni archivistiche e gli archivisti anche a ricercare nuovi linguaggi e nuovi prodotti descrittivi destinati ad un pubblico eterogeneo e indifferenziato, con esigenze e bagaglio culturale difficilmente individuabili.

Il “Portale delle fonti per la storia della Repubblica” rappresenta, a nostro parere, una chiara testimonianza del grado di maturazione di tali ragionamenti.

La finalità principale del progetto – ossia quella di realizzare un portale che agevoli l’accesso dei cittadini alla conoscenza della storia italiana anche per favorirne la partecipazione alla vita politica e democratica del Paese – contiene in sé le potenzialità per ipotizzare, proprio sulla festa del 2 giugno, anche forme di web “partecipativo”, confrontando, ad esempio, l’esperienza dei nostri portali e percorsi tematici presenti nel Sistema archivistico nazionale con i progetti di crowdsourcing realizzati, con successo, da una serie istituzioni conservative straniere.

Oggi siamo in grado di elaborare un progetto condiviso tra tutti gli attori istituzionali presenti, assicurare omogeneità e autorevolezza nell’approccio teorico e metodologico, garantire la piena condivisione dell’impianto.

Le dinamiche che investono la trasformazione delle organizzazioni, dei documenti, del diritto, delle tecnologie, della comunicazione, della trasmissione e dell’utilizzo delle fonti, sono lo specchio di una civiltà e di una cultura in costante evoluzione.

Vanno analizzate, comprese e governate con spirito critico, accettando di relativizzare molte certezze date per acquisite e di mettere in discussione i fondamenti epistemologici di molte discipline.

L’attenzione nel seguire i processi dinamici di formazione e trasformazione degli archivi, dei documenti, del diritto, rappresenta una sfida posta ad una civiltà in costante evoluzione e una rinuncia all’immobilismo culturale.

Ci aiuta riflettere, in prospettiva storica, sulle rivoluzioni culturali indotte dalle scienze e dalle tecnologie, che portano con sé rivoluzioni logiche nel modo di concepire la realtà; anche per continuare a rimeditare gli statuti delle discipline scientifiche e l’organizzazione dei saperi, le loro ragioni, gli spazi di autonomia e le capacità di continuare a produrre elaborazione teorica.