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Scuola-lavoro, alternanza dimezzata. Si torna indietro di almeno 15 anni

Nel Documento di Economia e Finanza, il documento che è alla base della futura Legge di Bilancio, l’istruzione è uno dei principali settori colpiti dai tagli per finanziare le altre misure del governo Lega-M5S. Nel DEF si taglia sull’alternanza scuola lavoro: meno 50 milioni di euro.

Si tolgono così risorse per aiutare i ragazzi a fare orientamento, esperienze, acquisire competenze quando invece sarebbe fondamentale continuare a costruire una relazione tra saperi e loro applicazioni, tra competenze e loro espressione sociale.

Oltretutto, la legge di bilancio 2017, aveva inserito la possibilità di assumere, entro sei mesi dall’acquisizione del titolo di studio, studenti che avessero svolto, presso il medesimo datore di lavoro, percorsi di alternanza scuola-lavoro per la qualifica e il diploma professionale, godendo di un esonero contributivo.

Un duro colpo per i nostri ragazzi, perché se il legame scuola-azienda si indebolisce, il rischio è rendere incolmabile questo gap e privare così le nuove generazioni di opportunità per il futuro.

La gravità della situazione è molto bene illustrata nell’articolo di Claudio Tucci “Scuola-lavoro, alternanza dimezzata. Si torna indietro di almeno 15 anni”, pubblicato da Il Sole 24 Ore di ieri.


Il Sole 24 Ore – 8 ottobre 2018
SCUOLA-LAVORO, ALTERNANZA DIMEZZATA
SI TORNA INDIETRO DI ALMENO 15 ANNI
Il Governo punta a ridurre del 50% i tetti orari e i finanziamenti: da 100 a 50 milioni
Brugnoli (Confindustria): servono 3oomila tecnici, il gap resta incolmabile

Claudio Tucci

Verso la manovra: il cantiere dell’Istruzione
Almeno 90 ore di alternanza scuolalavoro per gli studenti dell’ultimo triennio dei licei, tutti gli indirizzi dal classico allo scientifico (meno della metà visto che oggi l’obbligo per i liceali è di 200 ore). Asticella minima più alta per i periti degli istituti tecnici: 150 ore complessive da distribuire nelle classi terze, quarta e quinta, al posto delle attuali 400. Le stesse dei professionali che scenderebbero invece a 180, sempre nell’ultimo triennio. A prevederlo è il restyling della formazione on the job che il ministero dell’Istruzione sta studiando per “smussare” l’obbligatorietà prevista dalla “Buona Scuola” del 2015. E che, se confermato, riporterebbe l’Italia indietro di 15 anni. Al 2003 quando è stata introdotta in via sperimentale e consisteva in media in 96 ore dalla terza superiore in su.

Le modifiche in vista
Le novità dovrebbero confluire in una norma da inserire in legge di bilancio, che servirà ad aprire una discussione in Parlamento. Accanto alla revisione del numero minimo di ore c’è anche la correzione della Carta con i diritti e doveri degli studenti: un regolamento ministeriale potrebbe rivedere gli aspetti “più marcatamente lavoristici” e burocratici, per garantire che l’esperienza formativa resti in una cornice coerente maggiormente in linea con il percorso didattico e con specifica finalità di orientamento.

Concetti ripetuti a più riprese, in queste settimane, dal ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti (anche su Facebook, parlando direttamente con gli studenti).

Nel mirino anche i finanziamenti: al dimezzamento delle ore potrebbe corrispondere quello dei fondi nazionali: dai 100 milioni l’anno, strutturali, odierni si passerebbe a 50. A cui si andrebbero aggiunti comunque i 100 milioni di fondi UE del Pon Scuola, una tantum, per le best practice che verranno individuate.

Le conferme
Anche a giugno 2019 l’alternanza non costituirà requisito d’accesso all’esame di Stato, probabilmente nemmeno come tesina da portare al colloquio. Fermi restando i nuovi tetti resta la flessibilità organizzativa offerta dall’autonomia scolastica. Ciascun istituto potrà offrire ai ragazzi percorsi on the job superiori alle “nuove” 90,150, 180 ore obbligatorie, e fuori dall’orario scolastico (estero, estate, vacanze di Natale e Pasqua). Già oggi, del resto, gli istituti tecnici superano ampiamente le 100 ore.
«L’obiettivo è avere, da Milano a Palermo, esperienze di scuola-lavoro di assoluta qualità e coerenza con il percorso di formazione svolto in classe dallo studente – spiega Carmela Palumbo, capo dipartimento Istruzione del Miur -. L’alternanza non è un contratto di lavoro, come l’apprendistato, e deve quindi avere una finalità squisitamente orientativa».

Il tema è delicato. I primi tre anni di alternanza obbligatoria hanno mostrato luci e ombre. Con migliaia di progetti comunque eccellenti: dalla meccanica alla chimica, dal tessile al farmaceutico. Certo, per le scuole è stata una minirivoluzione e non sono mancati i ragazzi che la scuola-lavoro l’hanno sentita solo raccontare (per gli ostacoli messi da professori e burocrazia). Al momento le imprese sembrano spiazzate: «Serve buon senso da parte dell’esecutivo – incalza il vice presidente di Confindustria per il Capitale umano, Gianni Brugnoli -. Per le aziende l’alternanza non è, e non è mai stata uno strumento per sostituire lavoratori semmai per affascinare i giovani. Per questo l’idea di ridurre le ore, specie nei tecnici, non ci convince. Si penalizza la possibilità, sia per i docenti che per gli studenti, di conoscere l’impresa. E conoscere aiuta a scegliere. La manifattura ha bisogno di quasi 3oomila tecnici nei prossimi anni. Se il legame scuola-azienda si indebolisce, il rischio è rendere incolmabile questo gap».

Alternanza scuola-lavoro

Alternanza scuola-lavoro