«Nel nostro sistema Paese … i musei e l’arte sono veramente il carburante che, se ben usato, può alimentare un’imbattibile creatività industriale».
Sono rimasta piacevolmente colpita dalle parole di Franco Bernabè, presidente della Commissione italiana per l’Unesco, intervistato da Paolo Conti nell’articolo “L’insostenibilità dei grandi numeri”, pubblicato dal Corriere della Sera lo scorso 2 ottobre, che riportiamo qui di seguito.
L’insostenibilità dei grandi numeri
Bernabè: «L’impatto turistico sta diventando intollerabile: subito norme per governarlo E non si può più disgiungere la cultura dal tema ambientale»
Pubblicato il 2 ottobre 2018 dal Corriere della Sera
Di PAOLO CONTI
Franco Bernabè, banchiere, è il presidente della Commissione italiana per l’Unesco e anche della Quadriennale d’arte di Roma. In passato ha guidato la Biennale di Venezia e il Mart di Trento e Rovereto. La sua passione per il patrimonio culturale italiano si lega a una vasta esperienza internazionale. Un interlocutore adatto per capire cosa si pensi dell’italia, e del suo retaggio storico-artistico, nel mondo.
Come viene percepita l’offerta culturale italiana in campo internazionale?
«Nonostante il pessimismo che si respira troppo spesso in Italia, viene percepita molto bene, come dimostra il volume e il tipo di turismo che raggiunge il nostro Paese soprattutto nelle città d’arte, che si trovano a un preoccupante livello di saturazione. Ma non sempre, da noi, c’è il giusto riconoscimento del valore del nostro patrimonio artistico culturale. Infatti non dobbiamo illuderci: non possiamo pensare che la nostra unicità possa restare eterna, nel panorama dell’offerta culturale planetaria, in continuo cambiamento».
Ormai molti grandi Paesi puntano sia sulla cultura che sull’attenzione all’ambiente…
«Infatti. In molti altri Paesi — penso alla Cina e a tante realtà dell’asia — la politica ambientale e quella culturale vengono viste come motori di miglioramento e di forte crescita dell’economia nel panorama della globalizzazione. Una netta inversione di rotta rispetto alla seconda metà del ’900».
La Cina è ormai il secondo Paese, dopo l’Italia, che ha il maggior numero di siti considerati Patrimonio dell’umanità dall’Unesco. È diventato il nostro competitor culturale?
«È irrealistico vedere nella Cina un nostro avversario. Parliamo di un Paese immenso che sta investendo cifre enormi nell’incremento del suo patrimonio artistico, con l’apertura di innumerevoli musei di arte antica e contemporanea. Le dimensioni sono imparagonabili con le nostre. La Cina ha 4.000 anni di storia, mortificata negli ultimi due secoli prima dal colonialismo e poi dalla tragedia della guerra civile e del maoismo. Invece oggi fa parte preminente dell’orgoglio nazionale. Nel medio-lungo periodo la sua offerta culturale sarà sempre più ricca e vasta, con dimensioni impensabili per l’italia. Ma noi abbiamo il nostro grande ruolo culturale, anche se le dimensioni geografiche sono ridotte, e dobbiamo difenderlo con vigore. Anche dalla saturazione».
Il triangolo del turismo di massa Roma-Firenze-Venezia è sempre più soffocato…
«Un fenomeno che si sta allargando anche ad alcune città minori. La pressione turistica di massa sta diventando intollerabile, soprattutto in alcuni luoghi iconici. Un esempio per tutti: il degrado davanti alla Fontana di Trevi a Roma è il simbolo dei problemi che dovremo affrontare se vorremo davvero fronteggiare la crescita del turismo internazionale. I grandi numeri rischiano di procurare più danni che benefici».
Come si può risolvere una questione sempre più grave?
«Diversificando e allargando ad altri luoghi, per ora assai poco valorizzati, l’offerta turistica. Ma soprattutto intervenendo subito, dal punto di vista normativo, nei luoghi più affollati che rischiano non solo lo snaturamento, ma danni irrimediabili. Vedo due nodi da affrontare: la liberalizzazione del commercio e quella dei bed and breakfast. La liberalizzazione del commercio, nelle grandi città d’arte, ha permesso la morte delle botteghe e attività artigiane che costituivano parte integrante dell’identità dei luoghi. Al loro posto sono nati venditori di chincaglierie, minimarket, fast food e street food. Non solo uno sfregio tremendo ma anche migliaia di persone che, ogni giorno, mangiano girando per le strade e per le vie. Un fenomeno di massa che altri Paesi non tollerano. Lo stesso problema riguarda l’invasione dei bed and breakfast nei centri storici che si stanno massicciamente sostituendo alle residenze di chi, in quelle città, è nato e lavora. Si dovrebbe intervenire legislativamente, e subito, con norme molto chiare e strette. La vera tutela si realizza tenendo conto di un contesto molto ampio. Mi sembra una questione straordinariamente urgente: sottovalutarla sarebbe, in prospettiva, un errore irreparabile».
Lei cosa pensa delle prime domeniche del mese gratuite decise dall’ex ministro Dario Franceschini e delle nuove ipotesi messe a fuoco dall’attuale ministro Alberto Bonisoli, ovvero prime domeniche gratuite in inverno e poi un pacchetto a disposizione dei singoli direttori di musei?
«Penso soprattutto che vada adottato qualsiasi strumento adatto a rendere facilmente accessibili i musei per diffondere quanto più possibile la cultura nei diversi strati della popolazione. La sensibilità all’arte, al bello fanno parte integrante del nostro tessuto anche produttivo. Prendiamo i dettagli: solo l’Italia è capace di proporre oggetti curati nel più piccolo particolare. É ciò che ci rende unici sui mercati planetari: e una simile sapienza passa attraverso l’arte. Infatti senza la nostra grande bellezza non ci sarebbe il gusto del lusso, e le industrie che gli sono legate. Nel nostro sistema-Paese, insomma, i musei e l’arte sono veramente il carburante che, se ben usato, può alimentare un’imbattibile creatività industriale».
Valorizzazione e tutela del Patrimonio possono coesistere?
«Il problema è mal formulato. Per me la vera valorizzazione non è tanto economica quanto, appunto, culturale. Il patrimonio si valorizza davvero facendolo conoscere quanto più possibile soprattutto ai più giovani: i direttori dei musei devono essere propositivi, soggetti attivi, quindi veri imprenditori culturali. E, dall’altra parte, gli stessi musei devono essere luoghi vivi e frequentati. Non solo scrigni destinati alla tutela, come qualcuno vorrebbe: ritenendo — e sbagliando — che la quantità di ingressi sia irrilevante, o che sia addirittura meglio se i visitatori sono pochi. Con i musei, lo sappiamo bene, non si fanno soldi: non succede in nessuna parte del mondo. La vera ricchezza culturale di un Paese si realizza con la crescita della sensibilità collettiva per il bello, per l’arte, per ciò che ci circonda da secoli e costituisce il pilastro della nostra identità».
In questo contesto, la Quadriennale d’arte di Roma, col progetto fino al 2020, punta proprio a dialogare in campo internazionale…
«La Quadriennale ha fortunatamente ritrovato il suo ruolo. Ciò che stiamo facendo, con il direttore artistico Sarah Cosulich e il curatore Stefano Collicelli Cagol, in vista dell’esposizione del 2020, è un’attività di analisi e valorizzazione delle forze che domineranno la scena artistica italiana nei prossimi 1520 anni. Materiale culturale da promuovere all’estero: parlo sia degli artisti che dei curatori. I due programmi, Q-rated, Q-international, in vista dell’esposizione Q-2020, puntano, con un sistema di bandi, a una formazione allargata, al dialogo tra gli artisti italiani e le grandi istituzioni culturali internazionali, alla realizzazione di workshop annuali. Un itinerario per una esposizione dell’arte italiana nel 2020 che non può non tenere conto della situazione della creatività nel resto del mondo».