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150 anni Aie: Ferrari, “La difesa della libertà d’espressione è la maggior gloria dell’editoria”

«Molti esaltano il miracolo italiano del secondo dopoguerra, ma pochi ricordano lo sforzo immane dell’Italia postunitaria per uscire dall’arretratezza».

«Il maggior merito, vorremmo dire la maggior gloria, dell’editoria italiana nel dopoguerra è stato la difesa della libertà di espressione», ha affermato Gian Arturo Ferrari nel suo intervento (in allegato il discorso completo di Ferrari) alla cerimonia di celebrazione oggi a Roma dei 150 anni dell’Associazione Italiana Editori (AIE).

«Una difesa – ha continuato Ferrari –non a parole, ma nei fatti. L’episodio di maggior rilievo è stato senza dubbio la pubblicazione nel 1957 del Dottor Zivago di Boris Pasternak, che diede alla nostra editoria un rilievo mondiale. Il capolavoro, ferocemente avversato dall’autorità politica del suo Paese, poté vedere la luce prima in Italia e poi nel resto del mondo solo grazie all’impegno e al coraggio di un editore italiano, Giangiacomo Feltrinelli. Nel 1989 fu ancora un editore italiano, Mondadori, l’unico al mondo a pubblicare I versi satanici di Salman Rushdie dopo la condanna a morte promulgata dall’ayatollah Khomeini. Gli editori italiani il loro esame di maturità l’hanno passato».

Nel suo intervento in cui si ripercorrono i primi 150 anni dell’AIE, Gian Arturo Ferrari ha ricordato che «molti esaltano il miracolo italiano del secondo dopoguerra, ma pochi ricordano lo sforzo immane dell’Italia postunitaria per uscire da una spaventosa arretratezza, per entrare nella modernità. Per restare ai libri, mancavano al nostro Paese tutti gli ingredienti fondamentali che avevano cambiato il volto dell’editoria in Francia, Gran Bretagna e Germania».

«L’evoluzione dell’editoria libraria prevede che nella figura dell’editore – ha proseguito Ferrari – si vengano progressivamente scindendo le funzioni proprietarie e imprenditoriali da quelle specificamente editoriali, di scelta e pubblicazione dei libri».

re, secondo Ferrari, le «figure che hanno lasciato una traccia indelebile. La prima è stata quella, oggi ignota ai più, di Luigi Rusca (…). Rusca fu l’architetto della Mondadori, le diede una struttura poi riprodotta in quasi tutte le case editrici italiane. Separò la produzione italiana, che lasciò ad Arnoldo, da quella straniera di cui si occupò invece personalmente. (…). Se senza Rusca non ci sarebbe stata Mondadori, senza Pavese non ci sarebbe stata Einaudi. Cesare Pavese non fu l’architetto, ma il muratore dell’Einaudi, la tirò letteralmente su, mattone dopo mattone, libro dopo libro, occupandosi di tutto, leggendo tutto, provvedendo a tutto. (…)».

Terza figura centrale in questo primo secolo e mezzo dell’editoria italiana, secondo Ferrari, Mario Spagnol, che «ha avuto il coraggio, nell’atmosfera compunta e plumbea degli anni Settanta, di difendere tutto quello che era considerato indifendibile: il mercato, i bestseller, il successo, l’editoria di massa (…). Proprio lui si deve “l’essere stato l’inventore del paperback in Italia».