Un ponte tra Cina e Veneto

Pubblichiamo il servizio realizzato da Ivan Zogia sulla presentazione della mostra a cui ha partecipato l’onorevole Flavia Piccoli Nardelli “Le Meraviglie dello Stato di Chu”, che si svolgerà su tre differenti sedi quali Museo Nazionale Atestino di Este (Padova), del Museo Archeologico Nazionale di Adria (Rovigo) e di quello di Arte Orientale di Venezia fino al 25 settembre.

Il quattrocentenario del primo processo a Galileo

Presso la Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto, la Commissione Cultura della Camera dei deputati e il Pontificio Consiglio della Cultura hanno promosso, nella giornata di venerdì 4 marzo 2016, il convegno dal titolo “Il quattrocentenario del primo processo a Galileo”. I saluti introduttivi sono stati di Flavia Piccoli Nardelli, Presidente della Commissione Cultura della Camera, e del Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Ha introdotto e moderato monsignor Melchor Sanchez De Toca, sottosegretario al Pontificio Consiglio della Cultura. A seguire gli interventi dei professori Paolo Galluzzi, Ugo Baldini, Michele Camerota, Massimo Bucciantini. Le conclusioni sono state di monsignor Luis Francisco Ladaria Ferrer, segretario della Congregazione per la dottrina della fede, e del professor Massimo Firpo, dell’Accademia nazionale dei Lincei.

Riportiamo di seguito l’intervento dell’onorevole Flavia Piccoli Nardelli.

Social musei: colmare il gap con personale e strumenti

#SOCIALMUSEUMS Social media e cultura, tra post e tweet è il titolo del corposo volume che dà conto del decimo rapporto del’Associazione Civita, curato da Luca De Biase, fondatore e caporedattore di Nòva supplemento del quotidiano Il Sole 24 Ore, e Pietro Antonio Valentino, vicepresidente del Comitato Scientifico di Civita, ed edito da Silvana Editoriale.

Il volume prende in esame il rapporto fra social media e mondo della cultura, un tema molto dibattuto sia in sede pubblica che privata e in un momento di profonda trasformazione che sta investendo i musei pubblici anche sul fronte del digitale.

Se gli intellettuali e lo Stato non scelgono e indicano cultura, si diventa uno “sciame” consumistico

Il mese scorso è stato pubblicato il saggio di Zygmunt Bauman Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi, edito da Laterza (pagg. 154, euro 14).  Il titolo originale del volume è Culture in a Liquid Modern World e la prima pubblicazione risale al 2011, presso Polity Press Ltd, Cambridge.

Il libro, che si inserisce a pieno titolo, nella sua storica analisi e nei temi cari al sociologo polacco –  sia per ciò che concerne la trasformazione della società, sia perché in parte riprende il discorso del suo saggio di vent’anni fa “La decadenza degli intellettuali”  – è diviso in 6 capitoli: “La cultura. Storia del concetto”; “Moda, identità liquida e utopia per il presente: alcune tendenze culturali nel ventunesimo secolo”; “La cultura dalla costruzione della nazione alla globalizzazione”;  “La cultura in un mondo di diaspore”;  “La cultura in un’Europa che si unisce” e “La cultura tra Stato e mercato”.

La tesi fondamentale del saggio è che non esiste più un’élite culturale ma consumatori onnivori e che, addirittura, lo snobismo culturale oggi consiste nel non esserlo affatto quando si tratta appunto di consumi culturali. “Il segno distintivo che connota l’appartenenza a una élite culturale sono oggi un massimo di tolleranza e un minimo di schizzinosità” scrive Bauman. E aggiunge: “Il principio dell’elitarismo culturale sta nella sua capacità di sentirsi a proprio agio in qualunque ambiente culturale senza considerarne nessuno come casa propria, e ancor meno l’unica casa propria”.

L’offerta culturale si è moltiplicata e variegata. Questo, in sé potrebbe essere un aspetto positivo che tende ad abbattere le classi sociali dacché, citando Pierre Bordieu, Bauman ricorda che un tempo “c’erano gusti dell’élite culturale alta per natura; gusti medi o conformisti, tipici della classe media, e gusti volgari, adorati dalle classi inferiori, e mescolarli tra loro era difficile come mescolare fuoco e acqua”.

Ma questo mescolarsi (“collegarsi e scollegarsi” a reti diverse, per usare termini cari a Bauman e referenti proprio alla nostra società) e aver liberato l’arte dalla funzione gravosa che le era assegnata in passato, ha creato una distanza, spesso ironica o cinica, nei suoi confronti sia da parte dei suoi creatori come da quella dei suoi destinatari. “L’arte, quando se ne parla, – continua Bauman – raramente ispira quel tono devoto o reverenziale così comune nel passato. Non ci si azzuffa. Non si erigono barricate. Niente scintillare di lame. Se pure si discute della superiorità di una forma d’arte su un’altra, se ne parla senza passione o verve; e i proclami di condanna e le diffamazioni sono più rari di quanto fossero mai stati prima”.

Per Bauman dietro questo stato di cose si nascondono imbarazzo, mancanza di fiducia in se stessi e senso di disorientamento: se gli artisti non hanno grandi e importanti compiti da realizzare, se le loro creazioni non hanno altro scopo che portare fama e fortuna a pochi eletti e divertimento e piacere personale ai loro beneficiari, come possiamo giudicarli se non attraverso la montatura pubblica che di solito li accompagna in un determinato momento?

È proprio dell’economia liquido-moderna, orientata al consumo,  basarsi su un surplus di offerte, sul loro rapido deperimento e sul prematuro appassimento dei loro poteri di seduzione. Diventa quindi essenziale fornire ininterrottamente nuove offerte per alimentare un più rapido avvicendamento di beni, con un intervallo di tempo sempre più breve tra il loro acquisto e il loro abbandono, seguito dalla sostituzione con beni “nuovi e migliori”. Ed è ancora “essenziale” al fine di evitare una situazione in cui un’ulteriore delusione verso specifici beni, si trasformi in una delusione generale verso una vita intessuta e ricamata col filo del fervore consumistico sulla tela delle reti commerciali.

La cultura assomiglia oggi, per il semiologo polacco, a un reparto di un grande magazzino, in cui si aggirano persone trasformate in puri e semplici consumatori.

E pare dunque ovvio che nella nostra modernità liquida la cultura non ha più un “volgo” da illuminare ed elevare ma clienti da sedurre.  E se un tempo, la funzione della cultura era soddisfare bisogni esistenti, oggi pare essere quella di crearne sempre di nuovi.

Sistema scolastico e mondo produttivo: dialogo avviato con l’alternanza scuola – lavoro

L’alternanza scuola lavoro è uno dei principi fondamentali previsti nella legge per “La Buona Scuola”, la legge 107, approvata nella scorsa estate, che ha incontrato notevoli resistenze nel suo cammino. In particolare, per quel che riguarda il tema dell’alternanza, veniamo da una cultura che ha sempre visto forti cesure tra due tipi di istruzione e che considerava l’istruzione tecnica di serie B, dividendo in modo molto netto i segmenti dell’istruzione secondaria superiore. Invertendo questa tendenza abbiamo posto le basi di un cambiamento culturale. La scommessa, naturalmente, interessa la scuola ma nello stesso modo anche l’impresa: perché un investimento vero, culturale oltre che economico, è necessario da una parte e dall’altra. 

L’educazione al patrimonio culturale passa anche per la digitalizzazione

Domani, giovedì 18 febbraio, ad un anno dalla sigla dell’Accordo di Rete che ha avviato la costituzione della Scuola in Digital Cultural Heritage (www.diculther.eu), si terrà l’incontro per la sigla del Protocollo d’Intesa con la Direzione Generale Educazione e Ricerca del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e per l’attuazione del Piano Nazionale per l’Educazione al Patrimonio Culturale.